Mrs. Aubrey Dowson era una suffragetta membro della sezione di Birmingham della National Union of Women’s suffrage societies, ebbe un’idea brillante: mise insieme un libro (…) di 77 pagine di semplici ricette condite dall’appello al voto
Con Instagram credo di avere un rapporto abbastanza equilibrato: come ben immaginate seguo un bel po’ di profili di cibo per diletto e lavoro; l’hashtag #Ashtangayoga per vedere tutte quelle persone che si mettono le gambe dietro la testa con la naturalezza con cui io mi lavo i denti; e poi seguo qualche utente random che dice cose sensate nelle stories.
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Non ho un particolare feticismo nella scoperta di nuovi utenti, perché dopo un po’ che il mio collo è chinato sullo smartphone mi rendo conto che il passo successivo si chiama “gobba”. Però quando mi hanno segnalato il profilo di Guerilla Cakes mi sono ridestata dal torpore di #FoodPorn generico e mi è scattato qualcosa.
Le mie torte sono manifesti commestibili e sono semplici da fare. Hanno un compito sociale, che poi è quello che svolge il cibo oltre al nutrimento: il cibo è condivisione, socialità, tradizione, elemento di unione
Con Guerilla Cakes, tramite il profilo Instagram di Munchies, abbiamo iniziato a scambiarci messaggi carini di reciproca stima. Decido che era l’ora di conoscerla un po’ meglio, perché questo suo progetto di scrivere statement su una torta color rosa shocking, con frasi importanti tipo “Il Fascismo non è un’opinione” oppure “Il flusso non è un Lusso” mi aveva colpito al cuore.
Simona ha 40 anni, le piacciono i social dai tempi di MySpace – mi scrive via mail – ma è anche laureata in Sociologia, e attualmente insegna in un alberghiero. Non ha mai seguito corsi di pasticceria prestigiosi, mi scrive che è un’autodidatta. Le piace cucinare, ha un marito e, come traspare bene dal suo profilo, è una femminista. In più è calabrese come me.
“Il mio sogno è di tornare in Calabria, aprire un wine bar e trascorrere il tempo libero a respirare al mare”. Cara Simona, sul mare e sul wine bar siamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Negli ultimi anni ho notato un ritorno nei programmi TV dedicati al cibo e alla cucina a una rappresentazione della donna ancora legata esclusivamente alla sfera della cura, della casa. Chef, giudici, personaggi forti sono sempre e solo uomini. Al massimo se sei un giudice, sei un giudice di bon ton.
MUNCHIES: Ciao Simona, perché Guerilla femminista con le torte?
Simona: Vorrei poter dire di essere stata io a inventare le torte femministe, ma non è così. E non è stata nemmeno qualche instagrammer d’oltre oceano. Vi racconto una storia: nel 1912, Mrs. Aubrey Dowson una suffragetta membro della sezione di Birmingham della National Union of Women’s suffrage societies, ebbe un’idea brillante: mise insieme un libro di ricette dal titolo The Women’s suffrage cookery book. 77 pagine di semplici ricette condite dall’appello al voto. Le suffragette usarono un mezzo che riuscì a raggiungere un pubblico vastissimo di donne che forse non avrebbero avuto altro modo di avvicinarsi alla politica. Ho preso “semplicemente” spunto da questa storia meravigliosa: non più un libro di ricette (per ora), ma Instagram. Ho pensato di sfruttare l’enorme successo del cake design e del mondo del food per trasmettere dei messaggi “politici” in un luogo popolarissimo che difficilmente si presta ai temi importanti.
Quando e perché hai deciso di aprire il profilo?
Dopo l’estate dello scorso anno. Ho lavorato al logo, fatto delle ricerche e tante prove, anche se ancora combino dei veri pasticci, soprattutto con le foto. So benissimo che l’immagine su Instagram è tutto, ma, tutto sommato, l’idea è di trasmettere dei messaggi e anche l’imperfezione è un meta-messaggio: ragazze la forma non è tutto. È importante quello che siete, dite, pensate, fate. Le mie torte sono manifesti commestibili e sono semplici da fare. Hanno un compito sociale, che poi è quello che svolge il cibo oltre al nutrimento: il cibo è condivisione, socialità, tradizione, elemento di unione. Quando porto una torta a tavola, non solo si mangia ma inevitabilmente “se ne parla”.
Hai studi di pasticceria alle spalle o sei autodidatta?
Assolutamente autodidatta. Mi è sempre piaciuto fare dolci perché preferisco fare dei dolci da mangiare per la prima colazione, piuttosto che comprare cibi pieni di conservanti e zuccheri e grassi industriali. C’è da dire, in aggiunta, che da un paio d’anni insegno in un alberghiero e ho avuto quindi modo di entrare in contatto con il mondo della pasticceria e della cucina, “ritornando a scuola”. Credo che anche questa esperienza, in aggiunta all’urgenza di comunicare, abbia inciso sulla decisione di aprire il profilo.
Pensi che sia importante il femminismo legato alla cucina in questi tempi?
Femminismo e cucina sono uno strano binomio: normalmente la cucina di casa è vista come il luogo storico della segregazione femminile, quello in cui volevano infatti far breccia le suffragette con il loro libro di ricette. La cucina, regno della brava casalinga, è il posto più lontano dal mondo del lavoro. Ovviamente le cose non stanno più esattamente così. Tuttavia, personalmente, ho notato un ritorno, negli ultimi anni e soprattutto nei programmi TV dedicati al cibo e alla cucina, a una rappresentazione della donna ancora legata esclusivamente alla sfera della cura, dell’intimità familiare, della casa. Chef, giudici, personaggi forti sono sempre e solo uomini. Al massimo se sei un giudice, sei un giudice di bon ton. Le varie Benedette sono relegate in cucina, a suggerire alle mamme come districarsi nelle faccende domestiche. Sarebbe una bella idea fare entrare in cucina temi diversi. Magari un bel format in cui cucinare diventa l’occasione per parlare di altro, anche di femminismo. Un femminismo che sia ecumenico, politico: un movimento che parla a tutti, che si faccia traino dei diritti di tutti e di come vadano tutelati in un’epoca in cui, incredibilmente, molto di ciò che abbiamo conquistato sembra essere in pericolo.
La torta e lo slogan che senti più tua o di cui vai più orgogliosa.
Amo tutte le mie torte, anche quelle che sono in cantiere. Una delle torte che mi piace di più è la torta Fuck your borders che sarebbe stato carino lanciare in faccia al nostro Ministro dell’Interno, cui è dedicata. Ero poco meno che adolescente quando cadde il Muro di Berlino, per dirne una. Sono nata e cresciuta in un mondo aperto, senza confini. Mangiamo etnico, compriamo online, le nostre classi sono multiculturali e interculturali già da un pezzo. La nostra mente è naturalmente aperta, è ormai una dimensione dell’io. Perché imporre confini? Perché tornare all’identitarismo, alla chiusura, perché tornare indietro? Per fortuna i giovanissimi oggi vivono esperienze quotidiane lontanissime da ciò che la propaganda politica di questi signori vuol farci credere, ma c’è ancora tantissimo bisogno di lotta, per mantenere alta l’attenzione.
Hai ricevuto messaggi di supporto o contro in questi mesi di attività?
Da quando sono online ho ricevuto solo messaggi di supporto o incoraggiamento. È vero che i numeri ancora sono bassi (spero che crescano!), ma è pur vero che Instagram è un social sul quale le persone sono “selezionate”, diciamo così: amanti delle foto, del bello, utenti pro in genere. Una grande differenza rispetto ad esempio a Facebook che è un social più “generalista”.
Come evolverà il profilo?
So che dovrò iniziare a curarlo anche con le stories. Inizierò non appeno tornerò giù a casa. Sono partita con il progetto e quasi subito dopo per Pavia. Ho una cucina piccolissima, per niente carina e scomoda, niente planetaria e pochi attrezzi. Mi piacerebbe partire con piccole stories mentre preparo le torte, poi magari allargare la prospettiva.
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