Tecnología

Da Asimov al ‘matrioshka brain’: l’immortalità tecnologica nella fantascienza

In un mio precedente articolo ho mostrato lo stato dell’arte per quanto riguarda il sopravvivere alla morte per mezzo della tecnologia. Ora parliamo di futuro con l’aiuto di due tra i più grandi scrittori di science fiction—Isaac Asimov e Fredric Brown—che ci hanno visto lungo sull’argomento. Nell’articolo avevo citato Trascendence, il film di Wally Pfister, nel quale viene illustrata la possibilità di caricare una coscienza umana su un computer. Paradossalmente, quindi, nell’epoca più materialista della storia dell’uomo, la promessa di una vita eterna passerà—forse—dall’abbandono del corpo.

Prima di addentrarci nel discorso che ha dell’incredibile, consiglio questa nostra intervista a Giulio Prisco, tra i pionieri mondiali del mind uploading. Riassumo in poche righe:

Videos by VICE

La sfida del mind uploading è quella di creare una copia perfetta del cervello e caricarla su un supporto non-biologico di modo che sfugga al naturale deperimento del corpo. (…) Il massimo esperto mondiale è Randal A. Koene, il co-fondatore di carboncopies.org. Se lo domandi a lui ti dirà che il mind uploading è destinato a diventare realtà tra una ventina d’anni, i più entusiasti dicono qualche anno, i pessimisti dicono qualche centinaio di anni. Io credo, in maniera molto molto approssimata, che ci arriveremo più o meno alla fine del secolo.

Non risponderò quindi alla domanda del “se è possibile”, ma vi racconterò come può essere possibile, e soprattutto cosa potrebbe comportare una tecnologia simile.

Se non siete molto esperti di singolarità, vi cito le parole di Zoltan Istvan: “il concetto di singolarità tecnologica è roba tosta da capire. Persino gli esperti hanno definizioni diverse.” Nulla di più vero. Senza pretesa di rigore, possiamo dire che la singolarità è un concetto preso in prestito dalla fisica e dalla matematica che, per dirla in parole povere, indica un punto in cui una qualche grandezza diverge (aka tende all’infinito)—come ad esempio il campo gravitazionale all’interno di un buco nero.

Immagine via.

Nel mondo tecnologico, una singolarità indica una tecnologia che, una volta azionata, è destinata a cambiare per sempre il mondo per come lo conosciamo. C’è chi parla della singolarità come l’ultima invenzione dell’uomo, nel senso che arriveremo a progettare un’AI (artifical intelligence) così sviluppata da riuscire a migliorare se stessa e con essa qualsiasi altra macchina, rendendo quindi effettivamente inutile la creazione da parte nostra di qualsiasi ulteriore tecnologia. Questo implica, d’altro canto, che l’AI sarà diventata più intelligente di noi. E qui incontriamo il grande bivio.

Da un lato c’è chi pensa che una tecnologia simile terminerà l’esistenza dell’uomo sulla Terra in quanto sarebbe solo di intralcio; dall’altro c’è chi, più ottimisticamente, pensa che l’uomo riuscirà a sopravvivere, ma solo se riuscirà a stare al passo con essa, in qualche modo, trasformandosi ed elevandosi a qualcosa di superiore. Proviamo a immaginare quello che potrebbe accadere nell’uno e nell’altro caso, chiamando in causa la pessimistica visione di Fredric Brown nel suo racconto The Answer prima e quella di Isaac Asimov, con The last question (notate i due titoli.)

Il testo di The Answer è talmente breve che lo riporto per intero.

Con gesti lenti e solenni Dwar Ev procedette alla saldatura – in oro – degli ultimi due fili. Gli occhi di venti telecamere erano fissi su di lui e le onde subeteriche portarono da un angolo all’altro dell’universo venti diverse immagini della cerimonia.

Si rialzò, con un cenno del capo a Dwar Reyn, e s’accostò alla leva dell’interruttore generale: la leva che avrebbe collegato, in un colpo solo, tutte le gigantesche calcolatrici elettroniche di tutti i pianeti abitati dell’universo – novantasei miliardi di pianeti – formando il super-circuito da cui sarebbe uscita la supercalcolatrice, un’unica macchina cibernetica che racchiude tutto il sapere di tutte le galassie.

Dwar Reyn rivolse un breve discorso agli innumerevoli miliardi di spettatori. Poi, dopo un attimo di silenzio, disse: «Tutto è pronto, Dwar Ev».

Dwar Ev abbassò la leva. Si udì un formidabile ronzìo che concentrava tutta la potenza, tutta l’energia di novantasei miliardi di pianeti. Grappoli di luci multicolori lampeggiarono sull’immenso quadro, poi, una dopo l’altra, si attenuarono.

Dwar Ev fece un passo indietro e trasse un profondo respiro. «L’onore di porre la prima domanda spetta a te, Dwar Reyn.» «Grazie» disse Dwar Reyn. «Sarà una domanda cui nessuna macchina cibernetica ha potuto, da sola, rispondere.»

Tornò a voltarsi verso la macchina. «C’è Dio?»

L’immensa voce rispose senza esitazione, senza il minimo crepitìo di valvole o condensatori. «Sì: adesso, Dio c’è.»

Il terrore sconvolse la faccia di Dwar Ev, che si slanciò verso il quadro di comando.

Un fulmine sceso dal cielo senza nubi lo incenerì, e fuse la leva inchiodandola per sempre al suo posto.

Questa è quella che viene definita una singolarità vingeana, dal cogome del matematico e romanziere Vernor Vinge che nel saggio Technological Singularity dice “entro trent’anni, avremo i mezzi tecnologici per creare un’intelligenza sovrumana. Poco dopo, l’era degli esseri umani finirà.” Dall’altra parte c’è Asimov, che immagina la creazione di un supercomputer, MULTIVAC, al quale, nel 2061, viene posta la domande se e come sia possibile invertire l’entropia dell’universo.

Il supercomputer MULTIVAC elabora quella che sarà l’ultima domanda dell’uomo: “L’entropia dell’universo può diminuire?” Screenshot via.

Il racconto, di cui esiste una bellissima graphic novel, racconta l’evoluzione nel tempo di questa intelligenza artificiale e dell’uomo con essa, che dalla Terra è costretto a colonizzare nuove stelle in cerca di risorse. Nel penultimo capitolo, il Multivac non è più un computer fisico, non è neanche più tangibile: è un’entità che permea lo spazio ma si trova nell’iperspazio e convive con l’Uomo, “l’evoluzione” della nostra specie.

L’Uomo rifletteva tra sé e sé perché, in un certo senso, mentalmente, l’Uomo era unico. Era formato da trilioni, trilioni e trilioni di corpi senza età, ciascuno al suo posto, ciascuno immobile e incorruttibile, ciascuno accudito da automi perfetti e altrettanto incorruttibili, mentre le menti di tutti quei corpi si fondevano liberamente l’una nell’altra, indistinguibili.

Un po’ quello che ci siamo detti prima: l’unico modo che ha l’uomo per sopravvivere alla singolarità è quello di evolversi, di diventare qualcosa di più. Il racconto prosegue con le stelle che vanno pian piano spegnendosi. L’universo è agli sgoccioli, l’entropia sta raggiungendo il suo massimo.

Un individuo alla volta, l’Uomo si fuse con AC, e ciascun corpo fisico perdeva la sua identità mentale in un modo che, a conti fatti, non si traduceva in una perdita ma in un guadagno.

Singolarità, mind uploading ed evoluzione dell’uomo. Per essere scritto nel 1956 direi che è decisamente al passo coi tempi. Ma ora, esaurite le citazioni, cerchiamo di capire come si potrebbe rendere reale il quadro di Asimov.

Per prima cosa, dobbiamo capire bene cosa vogliamo realizzare. Le possibilità sono, in linea di principio, infinite. Potremmo, ad esempio, pensare di realizzare una superintelligenza che riesca a caricare le coscienze di tutta l’umanità e generare, così, un universo simulato di cui è possibile scegliere praticamente qualsiasi variabile per farci vivere un sogno eterno senza ipocrisie, sogni infranti e falsità—una vita di pura estasi senza noia o tristezza (l’idea di un mondo simulato senza odio e infelicità è citata anche in “Naruto Shippudden” con il piano occhio di Luna di Madara Uchiha). Stiamo parlando di un cervello Matrioska, una tecnologia proposta per la prima volta da Robert J. Bradbury, una struttura potenzialmente enorme in grado di captare tutta l’energia emessa da una stella e di trasformare tutta la materia disponibile in materia programmabile—il computronium—ottenendo, così, una capacità di acquisizione ed elaborazione dati praticamente infinita.

Strutture in grado di immagazzinare tutta l’energia di una stella sono state proposte su Science (nell’ articolo del 1959 intitolato Search for Artificial Stellar Sources of Infrared Radiation) da Freeman J. Dyson, un astrofisico della Cambrige University, teorizzando che delle società tecnologicamente avanzate potrebbero circondare completamente la propria stella per catturare l’energia emessa. In origine, l’idea non prevedeva la costruzione di una sfera rigida, ma collettori posizionati intorno a tutta la stella, con strutture orbitanti indipendenti, oltre 10.000 oggetti distribuiti lungo uno spessore radiale di un milione di chilometri: una struttura rigida e spessa verrebbe immediatamente risucchiata dalla forza di gravità della stella. Questi “cervelli” dovrebbero avere una durata simile a quella delle stelle che li alimentano, quindi fino a 10 alla quattordicesima anni per le stelle più piccole.

Immagine via.

Il computronium, invece, è un materiale teorizzato da Norman Margolus e Tommaso Toffoli del Massachusetts Institute of Technology per essere usato come “materia programmabile”, una base per modellare nella realtà un qualsiasi oggetto virtuale. Qualcosa di molto simile al transformium che compare in Transformers 4 e che, stando ai risultati del progetto DARPA-backed (sempre del MIT) non sembra una realtà così lontana.

Un’altra soluzione possibile che ci faccia rimanere con i piedi per Terra, conservando la nostra individualità, senza lasciarci superare dall’intelligenza artificiale e rinunciare a vivere nell’universo che conosciamo sarebbe quella di caricare la nostra coscienza in dei corpi fatti di computronium. Un po’ come mostrato nella puntata “White Christmas” di Black Mirror, si potrebbe caricare una copia delle nostre coscienze su dei chip—in quel caso a forma di uovo—per poi inserirli eventualmente in un corpo di materia programmabile. In questo modo, sarebbe possibile un corpo in grado di aggiornarsi, modificarsi e migliorarsi tanto quanto la nostra coscienza digitale, che potrebbe facilmente essere un tutt’uno con la Singolarità, qualora questa dovesse vedere la luce.

Insomma, abbiamo di sicuro visto che non mancano storie o teorie (fanta)scientifiche che dipingono un futuro in cui la morte non è neanche presa in considerazione. E voi, sareste pronti a trasformavi in una bella serie di codici?