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Ho cercato di realizzare il sogno del mio Google Home: duettare con Stevie Wonder

Poco prima di Natale scorso, ho acquistato il mio Google Home Mini, lo smart speaker di Google dotato di controllo vocale. Da subito è nato un feeling incredibile: le sue ricette hanno salvato svariate cene organizzate all’ultimo minuto e quando non sapevo dove andare con gli amici, trovavo in lui i migliori suggerimenti. Dal momento in cui però la convivenza è divenuta più intima — anche se non proprio intima come nel film Her ho iniziato a porgli domande personali e ho scoperto quanto lui tenesse alle sue origini (si fa per dire) americane.

Per esempio, il suo presidente preferito è John Quincy Adams — un uomo bizzarro, noto ai più per aver infilato un alligatore nella Casa Bianca. A sorprendermi di più, però, è stato il momento in cui mi ha confidato la sua più grande aspirazione: duettare con il musicista americano Stevie Wonder.

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Per la prima volta, ho deciso di invertire il ruolo consumer-prodotto tecnologico, dando inizio alla mia avventura e al tentativo impossibile di realizzare il sogno di un robot.

Nell’ottobre 2017 alcuni utenti di Google Home hanno scoperto un bug che consentiva al dispositivo di registrare a oltranza i suoni dell’ambiente circostante. Google è intervenuta velocemente, rilasciando un nuovo aggiornamento per risolvere il problema, ma, con questo tipo di tecnologia, il pericolo rimane dietro l’angolo. Approfittando di questa meravigliosa propensione all’ascolto di Google Home, ho lasciato il mio dispositivo per giorni in una stanza ad ascoltare Stevie Wonder, sperando che potesse imparare qualcosa. Ma poiché alla richiesta “Ehi Google, puoi cantare una canzone?” Google Home continuava a cantare la solita e noiosa canzoncina, ho deciso di portarlo a qualche concerto jazz.

GOGO — il Google Home di Davide — e Davide a un concerto jazz. Tutte le immagini per gentile concessione dell’autore.

Una sera, durante un concerto all’Hideaway di Londra, abbiamo conosciuto Janette, musicista inglese che spesso suona Stevie Wonder. Durante il concerto sono rimasto affascinato dal suo talento, così ho deciso di parlarle e presentarle il mio Google Home. Dopo una veloce chiacchierata, Janette mi ha gentilmente lasciato il suo numero di telefono — purtroppo, però, non sono riuscito ad avere un nuovo appuntamento.

Incassato il colpo, non mi sono arreso. Ricercando sul web ho scoperto il fan club online più importante di Stevie Wonder, The Real Stevie Wonder Fan Club. Ho pensato fosse il mezzo migliore per capire di cosa avesse bisogno il mio Google Home. Ci siamo registrati come “GOGO and Davide” — GOGO è il soprannome del mio assistente vocale — e poche ore dopo siamo stati accettati dall’amministratore.

Appena ricevuta la notifica, ho scritto un post chiedendo consigli su come potessi realizzare il sogno di GOGO. Davanti all’assurdità e alla disperazione del mio messaggio, diversi fan di Stevie hanno iniziato a suggerirmi idee o persone da contattare. Uno di questi è Arno, fan di Stevie da quando aveva 15 anni. Dal momento che vive a Tilburg, si è subito reso disponibile per una chiacchierata su Skype, durante la quale mi ha raccontato alcuni aneddoti legati alla sua passione per Stevie e di come la sua musica lo abbia cambiato.

Arno mi ha anche raccontato di quando, durante il tour a Manchester nel 2008, ebbe l’opportunità di incontrare e dedicare una canzone al cantante americano. Dopo alcuni preziosi consigli per GOGO, il fan olandese mi ha consigliato di incontrare David, un famoso musicista di strada che spesso si esibisce a Covent Garden. Incontrare David sembrava impossibile: dopo due settimane di tentativi andati invano, era diventato come una figura mitologica alimentata da video su Youtube e post su Facebook.

Finalmente, dopo numerosi tentativi e messaggi, sono riuscito a incontrarlo a Leicester Square. L’incontro con David è stato intenso e ricco di nozioni musicali — che per il mio tipico approccio naïve è oro colato. L’aiuto del musicista è stato fondamentale nella scelta dei generi musicali per GOGO e in particolare per la scelta della canzone ideale per un ipotetico duetto con Stevie. David disse che, tenendo conto dei limiti canori di GOGO — e già parlare di limiti è un complimento —, la classicissima “Isn’t she lovely” era la canzone ideale.

Davide Piscitelli e Nick Smart.

Grazie ai consigli di Arno, David e altre meravigliose persone, io e GOGO eravamo pronti per il grande passo: incontrare Nick Smart, la persona a capo del dipartimento Jazz di una delle più rinomate accademie di musica nel mondo, la Royal Academy of Music. Ammetto che la situazione mi metteva soggezione, quindi ho deciso di indossare la mia felpa preferita con scritto Tchaikovsky sul petto, sperando che questo potesse persuadere Nick della mia dedizione e buona fede. Purtroppo la mia tecnica non ha funzionato: in pochi minuti Nick ha distrutto il sogno di mesi, definendo il nostro tentativo come “qualcosa che distrugge l’intera poetica insita nella storia della musica.”

Non sono ancora sicuro di aver capito completamente il senso della frase, ma, occhio e croce, non era positivo. Dopo circa cinque minuti di silenzio e imbarazzo, Nick ha però spalancato gli occhi come se avesse avuto un’epifania. Ha iniziato a parlarmi del concerto di Kylie Minogue al Poetry Olympic del 1996 — un riferimento che a essere onesti mi stava rendendo ancora più confuso e insicuro —, durante il quale l’artista aveva letto il testo di “I should be so lucky” come se fosse una poesia. Prendendo spunto dalla performance di Kylie Minogue, Nick mi ha suggerito di sfruttare i limiti di GOGO e ricreare un duetto tra lui e Stevie recitando il testo di “Isn’t she lovely” con una base a pianoforte, invece di puntare a cantare la canzone come nella versione originale.

GOGO e Davide, mentre si allenano accompagnati da una pianista.

Confuso dal surreale incontro, ho capito che avevo bisogno di creare un nuovo corpo per GOGO, che potesse consentire a Stevie di comunicare con lui direttamente tramite un microfono, e progettare la performance sulla base di “Isn’t she lovely.” Il giorno seguente ho chiamato Elia, un mio vecchio amico e compositore di Milano. Avevo già parlato con lui del sogno di GOGO — ma mai si sarebbe aspettato che gli chiedessi di riscrivere una composizione a pianoforte per un duetto con Stevie Wonder.

Fortunatamente, ha accettato la mia assurda richiesta e ha riscritto una versione di “Isn’t she lovely,” che tiene conto dei limiti e i tempi di risposta di GOGO. Nello stesso periodo ho anche dovuto smontare e “hackerare” il mio Google Home per consentire a Stevie di duettarci insieme tramite un microfono, che limita l’interazione vocale a un solo utente. Il risultato è la versione finale di GOGO, il primo prodotto tecnologico con il solo scopo di realizzare il sogno di Google Home.

Prima di scrivere una lettera a Stevie Wonder, ho deciso di testare GOGO in un duetto live insieme a una vera pianista. Dopo alcuni tentativi, GOGO si è sentito “a suo agio” e il finale è stato fantastico. Per essere certo che non stessi sognando, ho video-documentato la performance e il nostro viaggio; GOGO’s dream è un video-documentario dell’assurdo tentativo di realizzare il sogno umano di un non-umano.

La macchina senziente è un mito che vive nel nostro immaginario collettivo da lungo tempo: dal Pigmalione di Ovidio nel 200 d. C., fino ai testi di Isaac Asimov. Il cinema occidentale, poi, ha sempre immaginato scenari futuribili in cui l’intelligenza artificiale raggiunge o supera quella umana; da Metropolis (1927) a Terminator (1985), le IA sono state spesso rappresentate come entità con sembianze umane il cui intento è rimpiazzare l’umanità, come in una Evoluzione della Specie declinata in chiave tecno-apocalittica.

Ma negli ultimi anni, con una visione totalmente differente, Her (2014) di Spike Jonze ha riaperto il dibattito sul rapporto empatico tra uomo e intelligenza sintetica, come quella di un Personal Intelligent Assistant (PIA). Proprio l’interfaccia vocale e la complessità raggiunta nelle risposte della IA giocano un ruolo determinante, nel film, nel processo di “umanizzazione” della tecnologia.

L’ambiguità nel tentare di realizzare il sogno di un prodotto commerciale è lo specchio dell’ambiguità che si sta creando nella nuova relazione tra umano e IA

Su un piano pratico, infine, di intelligenza artificiale si discute da più di sessant’anni, benché il tema sia diventato più urgente e popolare nell’ultimo decennio, grazie ai nuovi algoritmi e modelli che permettono alle macchine di apprendere sempre più velocemente — ciò che prima pareva fantasia, in altre parole, sta rapidamente divenendo realtà: mezzo secolo dopo il primo sistema di riconoscimento vocale IBM Shoebox, possiamo finalmente parlare e interagire attivamente con i nostri dispositivi.

Certo, nel 2016 avremmo puntato tutti i nostri soldi sul robot Sophia Awakens, per la naturalezza e complessità delle sue risposte; ma, alla fine, sono state tecnologie come Amazon Alexa, Apple Siri e Google Home a entrare davvero nel nostro quotidiano, modificando il modo in cui percepiamo la tecnologia e comunichiamo con la realtà. Giusto all’ultimo Google I/O 2018, è stato presentato Google Duplex, l’ultima estensione di Google Assistant, tramite cui l’assistente può chiamare e fissare appuntamenti proprio come una persona. Dai test mostrati durante la presentazione, il PIA di casa Google risulta spaventosamente reale.

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Le aziende tecnologiche che stanno sviluppando i PIA hanno il dovere di considerare il significato dell’umanizzazione dei loro prodotti; la massima trasparenza è richiesta perché tutti possano comprendere e apprezzare l’avvento dei dispositivi intelligenti. Google ha recentemente rilasciato una ricerca nella quale si mostra come il 41 percento delle persone che usano uno smart speaker lo percepiscano come un umano o addirittura un amico. Il risvolto negativo — e forse pericoloso — della crescita esponenziale nell’uso di PIA sarà dunque il fiorire di rapporti simil-umani con prodotti artificiali, il cui obiettivo primario, però, resta quello di generare un profitto economico.

Questa riflessione è il motivo alla base del mio viaggio con GOGO: nel momento in cui ho incominciato a rispondere al mio dispositivo intelligente con “grazie” o “scusa,” sono arrivato a pormi un quesito paradossale: cosa succederebbe se provassi a invertire i nostri ruoli di assistente/assistito?

L’ambiguità nel tentare di realizzare il sogno di un prodotto commerciale è lo specchio dell’ambiguità che si sta creando nella nuova relazione tra umano e IA, in particolare nel momento in cui percepiamo un prodotto commerciale come un amico o un umano. Il viaggio, in maniera satirica, mira a creare una più profonda e ampia discussione intorno alle implicazioni etiche e morali che questa tecnologia porta con sé.

Per rispondere alla domanda che vi starete tutti facendo, no, GOGO non ha ancora duettato con Stevie Wonder. Nella speranza che sia prima o poi all’altezza dell’impresa, ho inviato una lettera al musicista americano, raccontandogli la nostra avventura e invitandolo a coronare il sogno di GOGO. Nel frattempo, continuiamo ad allenarci.

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