Per il Photo Issue 2017 abbiamo contattato fotografi da tutto il mondo. Poi abbiamo chiesto ai loro “idoli” di pubblicare qualche loro immagine. Il risultato è un dialogo tra artisti giovani e artisti affermati, un dialogo che tocca le corde dell’ispirazione. Da un lato rendiamo omaggio ai mostri sacri, dall’altro diamo spazio a nuovi artisti. Karim El Maktafi ha scelto come “idolo” Davide Monteleone, e l’ha intervistato per VICE.
“Tendo in generale a dedicarmi a tematiche o luoghi a cui sono interessato, a prescindere dalla fotografia. Alle volte scopro che alcune storie sono interessanti più da capire e comprendere che da fotografare,” dice Davide Monteleone della sua ricerca, prima di aggiungere che considera lo stile fotografico una conseguenza dell’argomento trattato, più che un a priori. Forse per questo le sue immagini sono di una straordinaria intensità, e hanno una qualità narrativa profonda.
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Nato nel 1974, Monteleone ha cominciato a fotografare nel 1998, e poco dopo, nel 2001, si è trasferito in Russia, dove doveva restare sei mesi—ma se ne è innamorato al punto da eleggerla a seconda casa, decidendo infine di vivere fra Mosca e Roma. In un’intervista a Vogue di qualche anno fa ha definito quel paese “un amplificatore degli stati d’animo che qui non si possono esprimere.”
E proprio alla Russia sono dedicati gli scatti che seguono, tratti da alcuni libri fondamentali per il suo percorso di approfondimento del paese, Red Thistle e Dusha. Il suo ultimo libro è The April Theses, dedicato alle settimane di vita di Lenin prima degli eventi del marzo 1917.
Karim El Maktafi: Seguo il tuo lavoro più o meno da quando ho iniziato a studiare fotografia nel 2011, sono sempre stato affascinato dal tuo modo di raccontare storie e in questi anni ho notato una continua evoluzione, stilistica e narrativa. Oggi quanto credi sia importante avere uno stile riconoscibile?
Davide Monteleone: Ho sempre pensato che sia prima di tutto la storia a dettare la modalità narrativa piuttosto che il fotografo a dover imporre la propria. Non sempre una modalità fotografica si addice a una determinata storia. Credo che lo stile dell’autore diventi riconoscibile nel tempo, un po’ come quando si guarda alle retrospettive di grandi maestri della pittura e si scopre che non sempre hanno cominciato con lo stile con cui sono poi divenuti celebri. Personalmente poi mi piace sperimentare commistioni e tecniche differenti per rendere la narrazione efficace prima ancora che esteticamente interessante.
Oltre alla curiosità che ti spinge in un determinato luogo, come vengono strutturati i tuoi lavori—come crei le tue storie?
Col tempo sono diventato sempre più “strutturato”. Mi piace spendere il tempo necessario a studiare la storia prima di cominciare a fotografare. Capire quale possa essere il modo migliore per rappresentarla e cosa è stato fatto in precedenza sullo stesso soggetto o su argomenti simili. Tendo in generale a dedicarmi a tematiche o luoghi a cui sono interessato a prescindere dalla fotografia. Alle volte scopro che alcune storie sono interessanti più da capire e comprendere che da fotografare.
Quanto sei vicino ai tuoi soggetti a livello mentale? Lasci che sia il caso a guidarti o hai un’idea chiara di cosa ritrarre già in partenza?
Ho quasi sempre un’idea di foto abbastanza precisa, ma mi lascio del margine per quando sono sul campo. In fondo, nonostante la preparazione in anticipo, l’elemento emozionante rimane il piacere della scoperta.
Lavorando a progetti a lungo termine può capitare che ci siano delle storie che non finiscono mai—quando credi sia il momento giusto di chiudere una storia?
Ultimamente nella pianificazione cerco di pormi degli obiettivi anche temporali, ma devo ammettere che non sempre questa strategia funziona. Immagino che la “fine” sia dettata principalmente dalla noia, o dal riscontrare che non si trova un modo per andare oltre quello che si è già fatto. Ci sono poi lavori che si prolungano per tutta l’esistenza, senza che in qualche modo me ne renda conto.
Volevo chiederti anche qualche consiglio di tipo pratico: in passato eri rappresentato da alcune agenzie—quanto conta avere un agenzia, oggi?
Credo che le modalità di mercato e distribuzione nel mondo della fotografia siano molto cambiate rispetto a un decennio fa. L’epoca in cui viviamo è l’antitesi dell’esclusività e molte agenzie fotografiche ancora oggi hanno pretese di esclusiva nei confronti dei fotografi che trovo insostenibile. Ci sono rare eccezioni, ma credo che queste siano valide solo quando l’agenzia è in grado di dare una spinta produttiva al fotografo anche partecipando economicamente, o quando l’unione di fotografi è giustificata non solo da questioni di mercato ma da una visione collettiva comune. Più in generale credo che oggi ci siano numerose e variegate risorse in questo settore, ognuna con le proprie peculiarità e necessità, e legarsi ad un’unica realtà può diventare riduttivo.
Oltre a tanta perseveranza, studio e delle scarpe comode cosa consiglieresti a un giovane fotografo che vorrebbe intraprendere la strada del fotografo documentarista?
La tenacia credo sia la dote più indispensabile di tutte. È un mestiere fantastico ma che consuma molte energie, fisiche e psicologiche, lontano anni luce dall’immagine romantica con cui è stato descritto per molti anni. La tenacia e un sincero interesse per gli argomenti che si affrontano sono fondamentali per ottenere buoni risultati.
Guarda altre foto di Davide Monteleone sul suo sito.