Happi-Fork

Estratto dall’Ottavo Annuale di Narrativa di VICE.


Foto di Jessica Barthel e Stephanie Pfeander

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Presenziare non è facile, specie da quand’è morto il mio cliente preferito, il bellissimo banchiere Dirk Goldfinger, il cui arresto per insider trading è stata la notizia più importante dello scorso autunno, e da quando, questa primavera, dopo aver partecipato alla sua veglia funebre e, subito dopo, a una festa di professionisti del settore sanitario, ho ricevuto la Happi-Fork. Dirk Goldfinger era una persona riservata. Ma dopo il suo arresto, non era stato in grado di evitare che il suo volto finisse in prima pagina su tutti i quotidiani. La sua fronte alta e abbronzata, che un tempo era stata solcata da una singola ruga di concentrazione, si era aggrottata in più punti, e sotto gli occhi si erano formate delle grosse borse che nemmeno il botulino era riuscito a rendere meno marcate. Anche se la sua azienda aveva investito in modo sconsiderato—seguendo consigli avventati—in Olestra, Frito-Lay e Kellogg’s, Dirk Goldfinger era in realtà una persona ascetica, mangiava solo carne biologica e non consumava mai granturco, né solanaceae, né soia.

Io lo amavo. E lo amavano anche i suoi medici. Aveva sempre la battuta pronta, era un inguaribile ottimista e sembrava non avere età. Mentre ad altri finanzieri, passati i quarant’anni, iniziano a crescere doppi menti e pappagorge, lui veniva nel mio ufficio per ristabilire i suoi livelli di iodio e manteneva in perfetto stato la sua tiroide assumendo ogni giorno radici di Coleus. Confesso che le due ore passate con lui steso a pancia in su sul mio lettino per i massaggi, col braccio destro alzato dritto davanti a sé, esercitando pressioni sul suo avambraccio mentre gli infilavo in bocca pezzetti di cibo, ad esempio pomodorini, per identificare le sue allergie alimentari, sono state una delle esperienze più erotiche della mia vita. Alla fine, quando ho dato a Dirk la sua dieta personalizzata, lui mi ha detto, “Sei la migliore. Grazie.” Quando poi gli ho suggerito (in modo interessato) che la sua salute avrebbe tratto dei benefici dal vedermi “più spesso,” lui ha detto, “Intendi per monitorare le mie allergie o per uscire insieme?” E quando poi io ho sorriso e detto, “Per uscire insieme?” lui ha risposto, accigliato, “Sarò sincero con te. Quando le persone ‘escono insieme,’ finiscono per trovarsi troppo a loro agio le une con le altre, ingrassano, mangiano di più. Ergo, ti vedo più come la mia nutrizionista.”

In carcere, non era durato molto. Gli altri detenuti soffrivano di gonfiore di stomaco e, dato che non poteva più seguire la sua dieta personalizzata, aveva iniziato a soffrirne anche lui. Mi scriveva delle lettere: “I secondini non sanno cosa sia il pane di farro. Che succede se mangio quello normale?” Data la gravità dei crimini che aveva commesso, non mi era concesso portargli provviste. I cibi che gli servivano erano pieni di soia e lui aveva iniziato a ingrassare sul torace. Nelle foto scattate durante il processo appare grasso, rugoso, con il triplo mento, e i suoi capelli, un tempo scuri e ricci, si erano fatti più radi e si erano ingrigiti, specie intorno alle orecchie. Alla sua veglia funebre, ho incontrato il suo agopunturista, il suo chiropratico, la sua massaggiatrice, il suo personal trainer e il suo maestro di Reiki. Ci siamo attardati tutti insieme vicino alla sua bara. La morte, o una truccatrice particolarmente capace in forza alle pompe funebri, l’aveva riportato come per magia alla gloria passata: le sue labbra grandi e carnose erano arricciate in modo invitante. Il suo naso romano era ampio e diritto. La fronte abbronzata e spaziosa era liscia e il suo corpo di un metro e ottanta era stato vestito di una giacca in lino blu, e sembrava in perfetta forma.

Più tardi, ho camminato per le strade scure di Beverly Grove, sentendomi triste. Il Viper Room, il 7969 e tutti gli altri locali dove andavo quando ero giovane erano spariti, insieme ai giorni sconsiderati in cui sorseggiavo Coca Light, tiravo di coca e mettevo dello zucchero in più nella mia bibita ipocalorica. Ora mi prendevo cura di me stessa, correvo nove chilometri al giorno, assumevo integratori vitaminici a ogni pasto e dormivo sotto una piramide che produceva onde cerebrali omega e alfa. Al cellulare avevo attaccato un dispositivo per neutralizzare le onde elettromagnetiche che produceva. Il mio ragazzo era della bilancia, gruppo sanguigno A; insegnava matematica alle elementari, si lavava i denti con dentifricio Crest, era grasso e mangiava regolarmente bagel, ciambelle e cereali. Mentre camminavo di fronte a SEE Eyewear, ho pensato a quanto fosse breve la vita e a quanto fosse costosa la chirurgia oculistica laser, intervento a cui Dirk Goldfinger il perfezionista si era sottoposto quando aveva trent’anni. Era un tipo intuitivo, pensavo, molto diverso dagli altri banchieri, nonché l’uomo più intelligente che avessi mai incontrato. Quando gli avevo spiegato che la causa della presenza di fluoro nell’acqua corrente della città era la radioattività del materiale di scarto prodotto dalle manifatture di alluminio, aveva capito subito che “radioattivo” voleva dire “cattivo” e si era affrettato a comprare un filtro per l’acqua a osmosi inversa. Da quando aveva trovato un dentista olistico non aveva più permesso a nessun altro di infilare del mercurio nei suoi denti. Sì, aveva paura dei prodotti dell’agricoltura non biologica e del matrimonio, ma aveva scalato l’Everest, fatto il bagno nell’Arroyo Calabasas e una volta si era lanciato sulle rotaie della metropolitana alla fermata di Hollywood-Vine per salvare un turista tedesco da un treno della linea rossa in arrivo. Poiché ho sbirciato di nascosto la sua dichiarazione dei redditi, so anche che devolveva la maggior parte dei suoi profitti in beneficenza. Eppure, poiché aveva acquisito in modo illegale tutto il pacchetto azionario di Olestra in una volta sola, non era più tra noi.

Era di cattivo gusto presenziare a una festa di professionisti della salute la sera della sua veglia funebre, ma l’ho fatto lo stesso. Alla festa, quelli del settore energetico discutevano modi per aumentare i propri introiti, per esempio corsi per “Aumentare la propria frequenza spirituale” e “Superare la propria frode interiore.” L’iscrizione costava 3.000 dollari. Me ne sono andata subito. Nella borsa con i gadget che mi avevano dato, c’erano un “Braccialetto intelligente” che stordisce chi lo indossa con una scossa a 3.000 volt se assume più di 1,200 calorie nell’arco di 24 ore, del filo interdentale alla menta e la Happi-Fork.

Ero a metà strada, diretta a Silver Lake, quando ho letto le istruzioni sulla confezione: “Happi-Fork vibrerà e diventerà rossa se chi la usa non fa una pausa abbastanza lunga tra ogni boccone del pasto che sta mangiando. Una volta finito, valuterà la performance dell’utente.” Sono stata investita da un profondo senso di disperazione. Ho fatto inversione per tornare alla festa, ma quando ci sono arrivata le porte erano chiuse. L’organizzatore, un guru della cucina organica che si faceva chiamare L’uomo di cioccolata, stava uscendo, in compagnia di due famose gemelle bionde che facevano le attrici, e quando gli ho detto che volevo cambiare la mia borsa con i gadget, lui si è fatto uno shot di nettare di cacao e acai e ha detto, “E tu chi cazzo sei? Vattene.”

Sono tornata a casa. Il mio dolce fidanzato bilancia mi stava aspettando. Aveva cucinato della pasta di riso con un sugo alle zucchine. Era il ragazzo più dolce con cui fossi mai stata, che per il mio compleanno mi faceva torte senza zucchero, mi portava al parco a tema di Jurassic Park e cercava in ogni modo di rendermi felice. Non era colpa sua se nel test d’ammissione all’università aveva preso solo 780 e se non credeva all’agopuntura. Aveva una malattia del sangue che gli causava problemi di circolazione e carenze di vitamina D, per cui ogni volta che la temperatura scendeva sotto i 26 gradi riempiva il monolocale di stufe e faceva tutto molto in fretta, per mantenere alta la temperatura corporea.

Per mangiare, ho usato la Happi-Fork. Tenerla in mano mi faceva sentire stupida. La pasta era gommosa. Il mio ragazzo mi ha chiesto com’era la festa.

Ho detto che era carina.

Mi ha chiesto com’era la pasta.

Ho detto che era buona. Ho pensato che stavo sembrando maleducata, così ho aggiunto, “Molto buona.”

Lui ha mangiato la sua pasta, arrotolando uno spaghetto dopo l’altro e portando il boccone alla bocca.

Mangia malissimo, ho pensato; poi ho pensato, Chi sono io per criticarlo? Sono anch’io un essere umano. Maledetta stronza! Smetti di giudicare la gente!

“Sono contento che tu sia a casa,” mi ha detto il mio ragazzo. Ha sorriso. “Mi sei mancata.”

“Anche tu mi sei mancato,” ho detto.

Aveva un po’ di sugo alle zucchine che gli colava da un angolo della bocca.

Il mio ragazzo mi ha chiesto di passargli il sugo.

L’ho fatto. Ne ha messo un altro po’ sulla sua pasta. Poi si è riempito la bocca con un boccone e, subito, con un altro.

All’improvviso, la Happi-Fork mi è sfuggita di mano.

“Oh!” ha detto il mio ragazzo. “OH! OH! OH!” con gli occhi completamente spalancati. La Happi-Fork fluttuava nell’aria, vibrando, schizzando su e giù e infilzandogli la mano.

Ho realizzato che la Happi-Fork doveva funzionare via bluetooth, con un microchip e un rilevatore di movimenti.

“Oh!” ha detto il mio ragazzo. “Che cazzo succede?”

Ha ripreso a mangiare, e la Happi-Fork ha ricominciato a infilzarlo.

Prima che potessi dirgli di mangiare più lentamente, la forchetta è diventata rossa e una voce ha detto, “Risultato scarso. Fai schifo!”

Ho spiegato, desolata, che la Happi-Fork avrebbe dovuto aiutare la gente a mangiare più lentamente.

“Oh,” ha detto il mio ragazzo. “Tutto qui?” Poi ha ripreso a mangiare, più lentamente.

Ma la Happi-Fork continuava a fluttuare sopra il tavolo e, ogni tanto, lo infilzava.

“Devo confessare,” ha detto il mio ragazzo dopo il pasto. “Che i tuoi gadget salutisti non mi piacciono per niente.”

“Lo so,” ho detto io.

“E d’ora in avanti,” ha detto, “Voglio che iniziamo a mangiare il glutine.”

“Va bene,” ho detto docilmente.

Dopo cena, il mio ragazzo mi ha fatto un massaggio alla schiena.

“Tutto questo nutrizionismo ti farà impazzire,” mi ha detto. “Buttiamo via questo aggeggio, va bene?”

Ha aperto un cassetto, ci ha messo dentro la Happi-Fork, ha spostato l’interruttore da on a off e ha chiuso il cassetto.

Sono stata d’accordo che da quel momento non l’avremmo più usata.

Ma non gli ho raccontato del terrore che avevo provato quando avevo ricevuto la forchetta, o dell’insieme di imperitura lussuria e profonda tristezza che avevo provato nel guardare il bel viso di Dirk Goldfinger nella bara, al suo funerale.

Brava forchetta! ho pensato tra me e me. Impedisci alle persone di mangiare e, di conseguenza, di ingrassare! Dicendo alle persone quello che non si direbbero mai l’un l’altra, questo aggeggio potrebbe salvare tutte le relazioni!

Prima di andare a letto, mi sono messa al computer. Sono andata sul sito di NU-Tensils. La Happi-Fork era un prodotto NU-Iteration, spiegava il sito, ma non era niente di nuovo, perché testi canonici alla mano, era sempre esistita. Nell’undicesimo secolo, spiegava il sito, la Happi-Fork era il monocolo d’oro di re Enrico X di Baviera, il quale aveva ordinato che fosse gettato nell’Atlantico perché, ogni volta che lo indossava, vedeva tutte le persone intorno a lui brutte e piene di verruche. Ai tempi della dinastia Ming, la Happi-Fork era un bastone di giada con un “doppio fondo,” al cui interno c’era una baionetta che le concubine dell’imperatore usavano per pugnalarsi al cuore nel giorno del loro trentanovesimo compleanno. Ai tempi di Cleopatra, la Happi-Fork era una sfinge che si aggirava intorno alle piramidi e divorava solo gli egiziani con il naso storto. Nell’antica Gerusalemme, era un mattone nel Muro del pianto, indistinguibile dagli altri mattoni tranne che per il fatto che, se lo si guardava, provocava depressione, attacchi d’ansia e disturbi ossessivo-compulsivi che duravano per sempre. Pare che i monaci di un certo monastero tibetano, che non mangiavano cibo ma sopravvivevano tenendo la bocca aperta per due ore ogni pomeriggio, con la lingua fuori, e leccando i raggi del sole, si facevano infilzare la schiena dalla Happi-Fork, che all’epoca era il corno di cuccioli di rinoceronte addestrati a questo scopo.

Sopraffatta dall’angoscia, ho pensato a cosa siano le forchette: nient’altro che utensili. Non contengono calorie. Sono anche del tutto inutili, visto che ci sono popoli interi, ad esempio gli indiani, che mangiano con le mani. Eppure sono il simbolo della transustanziazione di ogni molecola di energia consumata dall’essere umano sotto forma di cibo. Sono appuntite, come le spade, i diamanti e le matite. Durante l’ultima cena, Gesù aveva usato una forchetta—e poi era morto! L’amore, i soldi, i desideri, le calorie, le emozioni, l’ossidazione, l’invecchiamento, la morte—tutto questo, in fin dei conti, non entra forse in noi tramite una forchetta? Una volta che si era usata la Happi-Fork, com’era possibile dimenticarsene?

Ho promesso a me stessa che il giorno dopo avrei distrutto quella cosa. Per ora, mi sono detta, era spenta e intrappolata in un cassetto.

Sono andata a dormire. Il mio ragazzo mi aspettava a letto. Poco dopo, abbiamo fatto quella cosa di cui mia madre non ha mai parlato in tutta la sua vita, e che mio padre chiamava “celebrazione di Dio.”

La nostra celebrazione mi piaceva, e ho cercato di non pensare al fatto che il mio ragazzo dovesse muoversi sempre velocemente per mantenersi caldo.

“Scusa se vado così veloce,” mi ha detto.

“Nessun problema,” ho detto io.

Poi mi ha sussurrato una cosa che mi sussurra spesso, una cosa che non dovrei rivelare, perché farlo equivarrebbe a rivelare qualcosa di sordido e privato, e cioè: “Vedi come hai fatto diventare grande e dura la mia salsiccia?”

La prima volta che me l’avevo detto ero rimasta confusa, perché non mangio maiale. Ma poi mi aveva spiegato cosa intendeva, e anche se la sua “salsiccia” in realtà era un po’ piccola, avevo detto, “Sì.” L’avevo anche detto con entusiasmo. Ma quella notte, la notte in cui avevo ricevuto la Happi-Fork, non riuscivo a dirlo. Non ho potuto nemmeno evitare di immaginare, per un attimo, che Dirk Goldfinger fosse vivo, nel mio ufficio da nutrizionista. Sapevo che aveva una salsiccia molto grande, perché una volta mentre lo visitavo l’avevo palpato, e lui aveva detto, “Ehi! Mi hai appena palpato!” e io avevo risposto, “No! Ti stavo controllando la prostata.”

Subito dopo essermi ricordata di quel momento, mentre tentavo di non pensare a Dirk Goldfinger, di togliermelo dalla testa e concentrarmi su quel momento, ho visto la Happi-Fork. Fluttuava nell’aria, poco sopra la testa del mio ragazzo.

“Impossibile!” ho urlato. “Tu sei in un cassetto!”

“Cosa?” mi ha chiesto il mio ragazzo.

È rimasto zitto.

Ho strizzato gli occhi.

Non ho visto nulla: solo il monolocale del mio ragazzo; il suo corpo, le sue natiche rosa e morbide.

“Niente,” ho detto.

Il mio ragazzo ha ricominciato a fare quella cosa che fanno le coppie. Si muoveva in fretta. Mi sussurrava dei complimenti, e io facevo lo stesso. Mi aveva appena sussurrato una cosa molto sconcia, “Metto il mio pesce spada nella tua credenza,” quando all’improvviso ha gridato, “Oh! Oh! Oh!” e si è toccato il sedere.

Ed ecco la Happi-Fork, che fluttuava nell’aria dietro di lui, vibrando e infilzandolo. Andava avanti e indietro molto in fretta e pizzicava di continuo il sedere del mio ragazzo.

“Happi-Fork!” ho urlato. “Smettila!”

“Che cazzo succede?” ha detto il mio ragazzo. “Come ha fatto a uscire dal cassetto?”

Ho capito che l’Happi-Fork doveva avere un sistema di accensione automatica.

Gliel’ho spiegato.

“Non mi interessa!” ha detto. “Non la voglio nel mio appartamento. Mi ha infilzato il culo!”

Ha afferrato la forchetta, ma gli è sfuggita di mano. Si è messa a fluttuare nell’aria vicino alla sua testa. “Fai schifo,” ha detto la Happi-Fork. “Non sei capace.”

“Sai che c’è?” ha detto il mio ragazzo, girandosi verso di me. ” Tu fai schifo. Sono stanco di mangiare biscotti di cavolo. Voglio una ragazza normale che mangi il pane!”

La Happi-Fork ha iniziato a fluttuare più in basso, fino ad adagiarsi sul letto. L’ho spenta. Le chiappe del mio ragazzo sanguinavano da nove piccole ferite.

“Vattene,” ha proseguito. “Sei una stronza con cattivi pensieri. Io riesco a sentire i tuoi pensieri quando mi critichi, sappilo. Lo sapevi che riesco a sentire i tuoi pensieri? Lo so che pensi che io sia scemo perché ho preso solo 780 nel test d’ammissione all’università. So che il mio filtro per l’acqua rimuove solo il 30 percento del cloro e il dieci percento del piombo. Ma l’acqua ha un buon sapore, e a me piace così! E poi nemmeno tu sei perfetta. A me non piace che tu ti tinga i capelli, per esempio! E non sono stupido. Lo so che hai un lucidalabbra alla lisina nella borsa. So anche che non sono stati i germi sulle dita del dentista, come hai detto tu, a farmi venire le piaghe in bocca; lo so che sei stata tu ad attaccarmi l’erpes!”

Mi sono sentita in colpa. “Scusa,” ho detto.

“Non sono perfetto,” ha continuato il mio ragazzo. “Come quel banchiere a cui pensi sempre, Dirk Goldfinger, che è stato sbattuto dentro per aver preso tangenti nell’ambito dell’affare Olestra. Faccio compere da Rite Aid. Vattene via da qui, e porta con te quella forchetta!”

Ho raccolto le mie cose e me ne sono andata. Ho camminato fino al Gerald Desmond Bridge, facendo pensieri ossessivi come Qui, qui, qui, e Questo momento, e Forchetta, forchetta, forchetta. Quando sono arrivata al centro del ponte, ho buttato quell’oggetto nell’acqua.

“FERMA!” ha detto un poliziotto. “Che cos’è che hai buttato? Vandala!”

“Niente,” ho detto. “Mi scusi, per favore! Sono una nutrizionista certificata! Non ho nemmeno la patente! Era un gadget che mi hanno dato a una festa!”

Il poliziotto mi ha guardata. Indossava un’uniforme blu con i bottoni d’oro, aveva il doppio mento e la pancia.

“Non ti credo,” ha detto. “Non si sa mai con i vandali. Penso tu sia stata cattiva. Molto cattiva.”

“Va bene, agente,” ho detto.

Io non sono più l’”io” di questa storia, ma sono ancora me stessa abbastanza da poterla raccontare. Basti dire che anche se la forchetta è sul fondo della baia, io la vedo sempre. Una volta la vedevo prima dal davanti e poi dal dietro. Oggi vedo tutti i suoi lati nello stesso momento. La mattina, mi sveglio con delle punture sulle mani. So che per il poliziotto è lo stesso. Chi può dire il perché di tutto ciò? Se solo potessi vivere solamente di raggi solari, penso spesso, come i monaci tibetani; come sarebbe facile se a punzecchiarmi fosse un cucciolo di rinoceronte. Molte persone, tra cui i miei clienti, pensano che io sia pazza; la verità è che sono sempre la forchetta. In alcune antiche profezie di Nostradamus è scritto che chi riceve la Happi-Fork un giorno sarà in grado di percepire l’ombra della rosa, e di percepire che dietro la rosa sta uno squarcio nel velo. Io non sono più la stessa persona che ero quando ho ricevuto la Happi-Fork; ora sono la fidanzata di un agente di polizia. In più, conto ogni singola caloria e uso una bilancia di precisione per pesare il cibo che mangio. Presto la forchetta occuperà tutto il mio campo visivo. Forse tra i suoi rebbi troverò Dio.