A metà agosto sono salito su un elicottero risalente alla Guerra Fredda per raggiungere le montagne artiche dell’isola di Baffin, nel territorio Inuit di Nunavut. Ero stato assunto come nuovo addetto al monitoraggio degli orsi, in viaggio con sei tecnici di manutenzione verso una stazione radar del North Warning System, una struttura che si estende per tutto il Circolo Polare Artico del nord America. Chiamata in origine DEW Line (Distant Early Warning), era la prima linea di difesa contro un eventuale attacco sovietico: un primitivo sistema di allarme per l’apocalisse.
La DEW Line è stata costruita in collaborazione da Canada e Stati Uniti nel 1957, ed è ancora una componente chiave del North American Aerospace Defense Command. Il suo compito era guardare le spalle dell’America del nord dai Russi, mentre il mio era quello di guardare le spalle di chi lavora lì dagli orsi polari.
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Questi animali sono predatori abili, pazienti e intelligenti. Se decidono di darti la caccia, possono tenerti d’occhio da lontano per giorni, memorizzando la tua routine quotidiana per poterti attaccare quando sei più vulnerabile. Ucciderne uno è una faccenda complicata. I fucili sono accurati solo quando l’animale è abbastanza vicino, ma anche in quel caso c’è chi ha visto pallottole rimbalzare contro il suo cranio spesso (In Canada, è legale cacciare gli orsi polari, che sono considerati una specie di interesse speciale).
In un confronto faccia a faccia con un orso polare, il rischio di danni seri è assicurato per entrambe le parti. Anche se riesci nel tuo intento, uccidere un orso apre per via diretta un’indagine di polizia. Per quanto sia abbastanza bravo a sparare, non ho mai ucciso un animale con un fucile prima di accettare questo lavoro. E comunque chi a questo mondo vorrebbe mai uccidere un orso polare?
L’autore spara un colpo in aria per spaventare un orso polare. Video: Kate Lunau/YouTube via Patrick Lampman
Sono stato assunto tramite una lunga lista di subappaltatori assunti da Raytheon (un grosso contraente della difesa USA). Il mio ruolo era uno strano incrocio tra il Dottor Stranamore e il guardiacaccia australiano di Jurassic Park.
Le mie qualifiche erano date dall’aver passato anni a piantare alberi nel nord ovest del Canada, dove incontrare un orso può essere una faccenda quotidiana. Ora mi ritrovavo su un elicottero Sikorsky, con un fucile Winchester vecchio di 30 anni in mano, che avevo modificato perché tenesse più bussolotti. Avevo appena comprato l’arma, in quello che, per gli abitanti del nord, è il sud, poco prima che il contratto di lavoro entrasse in vigore. Potete immaginarvi la reazione nel negozio di armi qualche giorno prima che partissi per l’Artico, quando ho detto ai commessi a che cosa mi sarebbe servito quel fucile.
La stazione senza equipaggio comprende tre grosse cupole radar, un eliporto, e un piccolo edificio, tutti sollevati da terra con delle palafitte alte due metri e mezzo. Per le due settimane che ho passato lì, io e gli altri sei lavoratori dormivamo dentro all’edificio in compagnia del ronzio assordante di tre generatori diesel. Facevamo i nostri bisogni in un cesso a incinerazione dietro una tenda, e ci lavavamo con una pila di salviette per bebé — niente docce vere. Mangiavamo in una cucina-baracca al piano terra fatta di carport riarrangiati, e l’odore di mortadella fritta e zuppa Campbell si spargeva in tutte le direzioni.
Mi aspetto di vedere solo terreni piatti e una linea d’orizzonte lunga chilometri in tutte le direzioni, che mi permettesse di avvistare qualsiasi orso in arrivo con ampio margine. Invece, la stazione era su un altopiano che affaccia sul mare, mentre gli altri tre lati sono coperti da cime montuose, il che significava che qualsiasi orso rimaneva nascosto alla vista fino a che non si avvicinava fino a 70 metri, una distanza decisamente pericolosa.
La mia giornata quotidiana consisteva in alzarsi alle sette del mattino, analizzare le condizioni metereologiche, e proteggere i lavoratori mentre scendevano alla cucina-baracca per fare colazione. La nebbia e le nuvole basse rendevano gli orsi praticamente invisibili, per cui uscivamo solo quando la visibilità era perfetta.
Il tempo nell’Artico è del tutto imprevedibile. Abbiamo aspettato tre giorni solo per ricevere il via libera da Iqaluit per raggiungere il sito, ed eravamo preparati per restare bloccati là anche per due mesi di fila. Alcuni dei ragazzi mi hanno raccontato di essere stati fermi anche per tre settimane dopo la fine di un progetto; erano costretti a stare all’interno, passando il tempo a leggere qualsiasi numero di Popular Mechanics riuscissero a trovare in giro.
La maggior parte dei giorni erano soleggiati, ma il vento era tanto freddo da penetrarti nelle ossa. Ogni giorno mi coprivo con un giaccone militare, mettevo i mezzi guanti e strati e strati di lana. Legati alla cinta avevo un binocolo e un grosso coltello, che si sarebbe rivelato semplicemente ridicolo se avessi dovuto lottare contro un orso, ma mi dava comunque un senso di vaga sicurezza. Mentre facevo le ronde intorno alle cupole radar, credo di aver esplorato qualsiasi metodo possibile e immaginabile per trasportare il fucile. La domanda sulla mia effettiva capacità di reggere alla pressione di un attacco da parte di un orso polare e sparare al momento giusto, restava costante dietro ogni pensiero.
Non so descrivere la natura pericolosa e allo stesso tempo noiosa di questo lavoro. O aspettavo di combattere contro il più grosso e feroce predatore terrestre, o non facevo assolutamente niente tutto il giorno.
Ho passato così tanto tempo osservando le creste montuose lontane in cerca di una massa bianca in movimento, che gli orsi erano diventati praticamente un parto della mia immaginazione. Uno dei ragazzi amava dormire con la porta aperta, il che significa che l’unica cosa tra noi e il mostro bianco era una manciata di scale di metallo che gli orsi — a quanto pare — “non apprezzano.” Anche nei miei sogni, gli orsi erano sempre lì.
Durante i periodi di isolazione più lunghi, mi dicevano che l’addetto al monitoraggio orsi erano i primi a impazzire. Dopo una settimana ho capito perché. Avrei fatto qualsiasi cosa per vedere un orso davvero.
Solo l’ultima mattina, dopo due settimane prive di qualsiasi accadimento, mentre mi stavo lavando i denti, sono stato finalmente accontentato.
Con gli sbuffi di fiato che uscivano visibili dalle sue fauci aperte, la sagoma di una gigantesca massa bianca scavalcava il crinale su cui avevo allenato la mia mira nei giorni passati. Questa creatura avanzava con aria sicura sui massi e, mosso palesemente da un programma tutto suo, si è avvicinato a noi senza il minimo timore.
Guardare la sua mole possente oscillare a ogni passo, le vere proporzioni e la vera forza dell’animale che ero stato chiamato ad affrontare cominciavano a delinearsi nel mio cervello. Ho scattato una foto che non gli farà mai giustizia, ho abbassato la macchina fotografica e sollevato il fucile.
Il tragico difetto degli orsi polari è la loro curiosità. Un sottoprodotto della loro intelligenza, li spinge spesso a correre rischi mortali. Questa è la cosa più importante da riconoscere quando fai questo lavoro, e cercare di usare deterrenti il più possibile. Dopo aver contemplato accuratamente i suoi canini gialli e affilati, gli enormi artigli neri che fuori uscivano dalle sue zampe, e, infine, il bianco dei suoi occhi, era ovvio che a separarci restavano solo un paio di rampe di scale.
Con il fucile puntato al cielo, ho premuto il grilletto, spingendolo in ritirata solo di una decina di metri, prima di vederlo ricominciare subito a ficcanasare in giro, come se fosse lui ad avere il controllo.
L’elicottero è atterrato un’ora dopo e siamo tutti tornati a casa.
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