Cos’hanno in comune una padella, una lampada a LED e la tecnica di mimetizzazione più innovativa al mondo? Diciamo che la risposta dipende dalla persona a cui lo chiedi. La maggior parte di noi farebbe fatica a collegare i puntini, Sharon Glotzer e Michael Engel invece, ingegneri chimici all’università del Michigan, non hanno dubbi sul fatto che ci sia un’importante connessione. Una connessione che, dalla sua scoperta avvenuta più di 30 anni fa, ha totalmente sconvolto il mondo della scienza dei materiali.
L’ingrediente segreto comune a tutti e tre gli elementi è infatti il cristallo quasiperiodico, l’impossibile disposizione atomica scoperta da Dan Shechtman nel 1982. In pratica il quasicristallo è una struttura cristallina che rompe la periodicità (si può spostare il cristallo di una cella unitaria senza cambiarne il pattern) di un normale cristallo per una disposizione ordinata anche se aperiodica. Questo significa che il quasicristallo riempirà ogni spazio disponibile, ma in modo da non ripetere mai il pattern di disposizione dei propri atomi. Glotzer e Engel sono recentemente riusciti a simulare il quasicristallo più complesso di sempre, una scoperta che potrebbe rivoluzionare il campo della cristallografia spalancando le porte per un nuovo mondo di applicazioni prima impensabili fuori dalla fantascienza, come la capacità di rendere gli oggetti invisibili o di creare robot che cambiano forma.
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Mentre la maggior parte delle applicazioni correnti dei quasicristalli è piuttosto ordinaria, per esempio la copertura delle padelle o degli strumenti chirurgici, la simulazione di un quasicristallo icosaedrico che si auto-forma ad opera di Glotzer e Engel apre nuove eccitanti strade nella ricerca e nello sviluppo e verso nuove tecniche di mimetizzazione.
“La mimetizzazione sta tutta nel ridirezionare la luce per cambiare l’aspetto di qualcosa” dice Glotzer. “Produrre materiali mimetici o per la trasformazione ottica significa controllare la struttura della materia, modificando lo spazio tra le particelle che la compongono per controllare il modo in cui la luce viene assorbita e riflessa.”
I quasicristalli icosaedrici (IQCs) sono tra le uniche strutture ad avere una cosa chiamata band gap fotonico, che definisce il range di frequenze fotoniche che possono passare attraverso il materiale. I band gap fotonici sono determinati dalla disposizione nello spazio del reticolo atomico. In altre parole, il fatto che un fotone rimanga intrappolato o no nel reticolo dipende dalla frequenza fotonica (misurata come una lunghezza d’onda) in relazione allo spazio tra atomi e il modo in cui questi sono organizzati (periodicamente, aperiodicamente, ecc…). Se la lunghezza d’onda cade nel range del band gap fotonico per quel determinato materiale, i fotoni non riusciranno a passare attraverso quella struttura.
Quindi essere in grado di modificare i band gap fotonici significa poter manipolare le strutture atomiche in modo da rendere visibile il materiale solo attraverso determinate frequenze fotoniche. Un bel passo avanti per chi vorrebbe rendere le cose invisibili, cosa che in parte spiega il perchè sia il dipartimento di difesa che l’esercito degli Stati Uniti abbiano contribuito a finanziare il progetto di Glotzer e Engel.
Se l’esistenza di band gap fotonici non è nulla di nuovo, essere in grado di manipolare la materia allo stato solido in modo da sfruttare a pieno questi gap è rimasto un obiettivo irraggiungibile. In questo senso il quasicristallo simulato da Glotzer e Engel rappresenta un ritorno alle fondamenta della cristallografia, piuttosto che qualcosa di completamente nuovo.
A quanto dice il team, prima della simulazione gli scienziati sapevano che mettendo insieme determinati metalli nelle giuste condizioni termodinamiche (pressione, temperatura) si sarebbe formato un quasicristallo. Sapevano anche che, date alcune corrette condizioni ambientali, era possibile assistere alla formazione di quasicristalli in natura. (A oggi sono stati scoperti due quasicristalli naturali: il primo nel 2009 e il secondo lo scorso 13 marzo, proveniente da un meteorite di 4,5 miliardi di anni fa trovato in Russia.
Quello che gli scienziati non avevano capito, dice Engel, era ciò che succedeva nella reazione che dava vita alla formazione dei quasicristalli. C’era un input e un output, ma quello che succedeva in mezzo era un mistero. L’esperimento di Glotzer e Engel rappresentò un primo passo nella risoluzione di questo dilemma da serie A.
“A lungo si sono cercati metodi per modellare [il modo in cui i quasicristalli icosaedrici si formano]” dice Engel. “Ciò ha davvero un’importanza fondamentale, non rende per forza [i IQC] dotati di proprietà o applicazioni migliori, ma ci permette di studiare il modo in cui questi cristalli si formano.”
Capire come si formano i quasicristalli è il primo passo per poterli manipolare a nostro piacimento. Mentre la manipolazione si trova ancora in uno stadio iniziale, l’aumentata sofisticatezza tecnologica potrebbe presumibilmente portare ad avanzamenti futuri abbastanza fuori di testa, come, per capirci, i robot che cambiano forma in stile la terminator.
Il parziale motivo per cui ancora non vediamo robot t-1000 vagabondare sul suolo terrestre è che la nostra conoscenza della materia e la nostra capacità di trovare applicazioni utili per la sbalorditiva quantità di metalli presenti in natura è ancora piuttosto rudimentale.
Capire come si formano i quasicristalli ci permetterebbe di colmare un’enorme lacuna nella nostra conoscenza della fisica e della chimica. Migliorare la nostra conoscenza a riguardo è quindi essenziale per il futuro della manipolazione della materia, che sia essa legata o meno ai quasicristalli.
“Non dico che il quasicristallo icosaedrico sia di per sè la struttura del futuro [per quanto riguarda i materiali che cambiano di forma], ma sicuramente rappresenta il tipo di complessità e di controllo che vorremmo avere sulle particelle che costituiscono la materia.” Dice sempre Glotzer. “Se capissimo cosa serve per ottenere una determinata struttura, potremmo immaginare di cambiare le condizioni di partenza e modificare la struttura stessa. Tutto ciò che riguarda un materiale dipende dalla sua struttura.”
La struttura quasicristallina fu scoperta nel 1982 da Dan Shechtman, professore di scienze dei materiali al Technion-Israel Institute of Technology, mentre osservava una lega di alluminio velocemente raffreddato con manganese, attraverso un microscopio elettronico.
Ciò che vide sfidò le leggi della natura. O almeno il modo in cui erano comprese in quegli anni.
Invece che trovarsi davanti una serie di atomi disposti in modo casuale, come si aspettava, Shechtman osservò una diffrazione con una simmetria radiale di ordine 10, qualcosa che si pensava fosse impossibile (successivi esperimenti dimostrarono che la struttura osservata da Shechtman in realtà aveva una simmetria radiale di ordine 5.)
La simmetria radiale pentagonale di Shechtman sfidava la definizione stessa di cristallo, che era rimasta immutata dalla nascita della cristallografia come scienza, circa una settantina di anni prima. Secondo la nozione comune a quell’epoca, un cristallo era qualcosa per definizione ordinato e periodico, cioè che mostrava determinati pattern a intervalli regolari. Partendo da questa definizione, i cristalli potevano mostrare solamente simmetrie di ordine 2,3,4 o 6. (Intendendo per simmetria radiale la capacità di rimanere simmetrici dopo esser stati rotati n volte attorno al proprio asse).
Dopo la propria scoperta di un pattern di diffrazione con una simmetria pentagonale, Shechtman pare abbia esclamato che “Non può esistere una tale creatura”. I suoi colleghi concordarono con lui.
“Tutti i cristalli studiati dal 1912 in poi erano periodici. Sono stati studiati centinaia di migliaia di diversi cristalli. La gente non credeva che potesse esserci nulla di diverso in quanto migliaia di rinomati scienziati che avevano definito il campo della cristallografia, avevano trovato solo cristalli periodici”. Così mi ha detto Shechtman su Skype.
Quando quindi Shechtman rivelò la propria scoperta, che gli sarebbe valsa il Nobel per la chimica nel 2011, fu accolto non solo dall’incredulità generale, ma da un vero e proprio atteggiamento di ostilità. Dopo essere venuto a conoscenza della scoperta di Shechtman, il direttore del suo laboratorio pare gli abbia consigliato di rivedersi il libro di testo sulle basi della diffrazione dei raggi-x, così da capire come la sua scoperta non potesse essere possibile. Quando Shechtman gli rispose che non aveva alcun bisogno di quel libro, visto che la sua scoperta non era inclusa in esso, fu definito la disgrazia del team.
Shechtman fu così screditato da scienziati da ogni parte del mondo, inclusi pesi massimi quali il due volte premio Nobel per la chimica Linus Pauling, che liquidò i risultati di Shechtman come una “geminazione”, la fusione di due normali cristalli ad un determinato angolo.
“Quando me ne uscii con i risultati, la gente fece molta fatica ad accettarli. Ho dovuto difendere la mia tesi per un bel po’” mi ha detto Shechtman.
Dovettero passare due anni dal momento della scoperta alla pubblicazione dei risultati. Dopo la pubblicazione, a detta di Shechtman, “si scatenò l’inferno“.
“Poco dopo la prima pubblicazione, iniziò a crearsi una comunità di giovani scienziati avanguardisti, che da tutto il mondo iniziarono a supportarmi e si unirono alla mia battaglia. Non ero più solo.” Mi ha detto. “Ma nei primi due anni lo sono stato.”
La scoperta di Shechtman indusse l’International Union of Crystallography a ridefinire il concetto stesso di ciò che si era inteso per cristallo fino al 1992. La definizione corrente identifica il cristallo come caratterizzato da “un numero finito di pattern di diffrazione”, che vale sia per le strutture periodiche che tradizionalmente definiscono i cristalli, che per quelle quasicristalline aperiodiche scoperte da Shechtman.
“I cristalli quasiperiodici restano cristalli. Non hanno nulla a che vedere con la materia amorfa”. Afferma Shechtman. “I materiali amorfi non sono ordinati (come il vetro), i quasicristalli sono cristalli, ma la relazione atomica all’interno di essi è diversa da quella dei cristalli periodici. E’ perfettamente ordinata, ma non periodica. “
La matematica che sta dietro alla scoperta di Shechtman ha una storia bella lunga che arriva addirittura a Fibonacci, che nel 1202 cercò di scoprire quanto velocemente i conigli potessero riprodursi in condizioni ideali. (La successione trovata in realtà ci porta in India e molto più indietro nella storia rispetto a Fibonacci, che però è accreditato come colui che l’ha introdotta in occidente).
Fibonacci iniziò il suo arduo esperimento assumendo che due conigli lasciati in un determinato luogo possono generare un’altra coppia di conigli in un mese. Ci vuole poi un altro mese prima che la nuova coppia riesca a dare vita ad altri due conigli. Ciò che Fibonacci si chiese fu quante coppie ci sarebbero state dopo un anno. La successione trovata (1,1,2,3,5,8,13,21,34,55,89,144) è conosciuta come successione di Fibonacci, dove ogni numero può essere sempre ricavato dalla somma dei due che lo precedono.
La successione di Fibonacci può essere vista come una versione 1-D del quasicristallo di Shechtman, dove c’è ordine ma non ripetizione. Un equivalente modello in 2-D fu invece scoperto nel 1974 dal celebre matematico e fisico inglese Roger Penrose.
Ecco cosa significa ordine: c’è una correlazione tra come appare in un punto e in un altro.
Oltre ad aver scoperto che i buchi neri possono derivare dal collasso gravitazionale delle stelle, Penrose scoprì un metodo per tassellare una superficie aperiodicamente, che diventò la prima dimostrazione di simmetria radiale di ordine 5 (cioè la possibilità di ruotare di 72 gradi senza mutare il proprio aspetto). Nella sua prima iterazione, Penrose usò 4 diverse forme tutte riconducibili ad un pentagono. Passò poi ad una tassellatura aperiodica che usava solo due rombi, uno “grasso” e uno “magro”.
Localmente [i tasselli di Penrose] sono strutture davvero semplici: ci sono solo due tasselli e il modo in cui sono disposti ci dice che non si ripetono in modo perfetto”, dice Engel. “Ma c’è sempre un numero discreto, un numero finito di modi in cui li puoi disporre. Il fatto che tu abbia solamente una quantità finita di modi per disporli fa sì che anche se sei infinitamente lontano da dove hai iniziato a costruire la struttura, questa rimane comunque in un certo senso prevedibile. C’è quindi una correlazione, intendendo con ciò che i tasselli non sono indipendenti l’uno dall’altro. E questo è ciò che significa ordine: c’è una correlazione tra come appare in un punto e in un altro.”
Traduci la tassellatura di Penrose su un reticolo atomico tridimensionale e ottieni l’essenza del quasicristallo. Il punto importante, a detta di Shechtman, è che “non c’è alcun pattern, di nessuna dimensione, che si ripeta. Quindi c’è ordine, ma di nuovo, nessuna periodicità”. L’ordine deriva dal fatto che ognuno può ricostruire la sequenza di Fibonacci o la tassellatura di Penrose, ma, nonostante questo ordine, se la sequenza o la tassellatura vengono spostate in un qualsiasi modo sarà impossibile ottenere un’esatta ripetizione.
Nei 30 anni passati dalla scoperta di Shechtman, sono stati scoperti centinaia di quasicristalli, molti dei quali basati su leghe di alluminio. Il primo quasicristallo trovato, l’icosaedrite, fu trovato in Russia nel 2009. I quasicristalli, sia naturali che artificiali, sono divisi in due tipi fondamentali: quasicristalli poligonali e icosaedrali. I primi sono periodici lungo una direzione (perpendicolarmente allo strato quasiperiodico), i secondi non hanno alcun tipo di periodicità, che è proprio ciò che rende la simulazione di Glotzer and Engel una bella gatta da pelare.
Il quasicristallo icosaedrale è il più “esotico”, afferma Engel. “E’ il più complesso spazialmente e geometricamente”.
Nel loro esperimento, Glotzer e Engel provano a rispondere ad una delle domande che più perseguitano la cristallografia: come può l’ordine di lungo raggio essere generato da interazioni locali che non mostrano periodicità? Mentre la maggior parte dei quasicristalli realmente esistenti è costituita da due o più elementi, l’università del Michigan ha creato simulazioni usando soltanto un tipo di particella. Un’altra “prima volta” per la cristallografia.
In pratica il team cercava di determinare quali condizioni termodinamiche favorissero la formazione di quasicristalli icosaedrici, dati certi parametri iniziali che determinano il campo di forza, o il modo in cui le particelle interagiscono l’una con l’altra. Questi parametri sono stati disegnati in modo da poter essere ricreati in laboratorio. Per esempio, un parametro stabiliva che le particelle potevano interagire solo con altre particelle al massimo a tre particelle di distanza.
“Sostanzialmente stavamo risolvendo l’equazione del moto di Newton”, dice Glotzer. “Hai un po’ di particelle che interagisco secondo un dato campo di forza. Ciò significa che in un determinato momento, ogni atomo nel sistema ha una forza esercitata su di esso da ogni altro atomo nel sistema. Sommi tutte queste forze su ogni atomo e poi risolvi l’equazione f =ma. Sommando tutte queste forze riesci a trovare l’accelerazione che ti dice come muovere le particelle. Poi fai lo stesso per tutte le particelle nel sistema.
I risultati ci dicono dove le particelle “vogliono essere” sotto condizioni termodinamiche variabili, come la pressione e la temperatura. Date queste condizioni iniziali, nella simulazione il cristallo si “auto-costruisce”.
“Ciò che conosciamo sono i campi di forza tra le particelle e l’equazione di Newton”, dice Glotzer. “Non sappiamo cosa succederà dopo: è molto diverso da costruire (un quasicristallo icosaedrico) a mano.”
Come hanno poi scoperto, l’interazione tra le particelle che portava alla formazione del quasicristallo era favorita da interazioni governate dalla sezione aurea. La sezione aurea o golden ratio è un numero irrazionale che comincia per 1.61803 e deriva dal quoziente di due numeri il quale quoziente è uguale a quello tra la loro somma e l’intero più grande. E’ collegato alla successione di Fibonacci in quanto il quoziente tra ogni cifra della successione e il suo precedente è un’approssimazione della sezione aurea. Un’approssimazione all’infinito.
In un discorso alla Royal Institution nel 2014, Penrose speculò sul fatto che il quasicristallo icosaedrico potesse essere governato da interazioni di meccanica quantistica, dato che una struttura complessa aperiodica ha dimostrato di avere un ordine nel lungo raggio solamente da potenziali locali. I risultati ottenuti da Glotzer e Engel sembrano portare in un’altra direzione.
“Le nostre simulazioni suggeriscono che forse la meccanica quantistica non è neanche necessaria”. Dice sempre Engel. “Forse puoi arrivarci dalle interazioni classiche, non quantistiche. Come ciò funzioni esattamente è una domanda aperta. Per ora speriamo di trovare una risposta attraverso il nostro modello.
Se i robot che cambiano forma derivanti dai principi dei quasicristalli forse sono ancora prematuri, i quasicristalli stanno già giocando un ruolo importante nella nostra vita di tutti i giorni. Li troviamo comunemente nei rivestimenti (come sulle padelle o sugli strumenti chirurgici) e sono spesso utilizzati in piccole quantità all’interno delle normali leghe metalliche, per rinforzarle mantenendone la lucentezza. Sono sempre più diffusi anche nella manifattura additiva, anche nota come stampa 3D, grazie al loro basso attrito e resistenza all’usura.
Dove ci porterà il futuro dei quasicristalli è relativamente incerto al momento. Ciò che sappiamo è che i quasicristalli, la materia impossibile della natura, ci consegnano un collegamento mancante importante nello studio della materia stessa, e potrebbero dare il via alla totale manipolazione dell’universo solido in un futuro non troppo remoto.