Foto di Rhys James e Grant Armour
Ibiza è il classico posto che aleggia come uno spettro nel nostro immaginario collettivo. Una meta estiva per chi va in cerca di sole, mare e malattie sessualmente trasmissibili, una specie di Shangri-La tech-house. Un luogo la cui magnificenza menefreghista rende del tutto accettabile la fatica di circa 50 settimane l’anno spese tra tabulati e pizza surgelata. Un luogo per il quale si lavora non solo prima di arrivare—e racimolare così i soldi necessari—ma in cui si lavora anche durante la vacanza, semplicemente per tenere viva la festa.
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Lo stereotipo fa di Ibiza il paradiso degli impasticcati e degli hippie di Portobello, quelle masse smandibolanti accalcate in una parte dell’isola, tra gli spasmi mortiferi di un DJ set da 15 ore di Roger Sanchez, mentre dall’altra parte ci sono gli amici di Jade Jagger e James Blunt seduti a fumare hashish.
Negli ultimi anni la reputazione dell’isola è cresciuta a tal punto da diventare la meta di tutti, dai ragazzi di provincia con le braccia tatuate ai giovani oligarchi; dai capi di Resident Advisor ai viaggiatori con zaino in spalla, e ovviamente celebrità come Orlando Bloom, che quest’estate ha platealmente tentato di picchiare un bambino.
Non essendoci mai stato mi ha sempre affascinato, e nelle nuvolose mattine di febbraio sognavo giorni migliori guardando “Needin’ U” di David Morales all’infinito e ascoltando “Sunchyme” di Dario G. Quest’estate abbiamo finalmente deciso di andarci per girare un documentario.
Ibiza è sempre stata un luogo decadente. Il suo nome deriva persino da Bes, il dio egizio della musica e del ballo. Ma il concetto di isola come paradiso dei clubber si associa a un nome su tutti: Alfredo Fiorito. Argentino di nascita, era fuggito dalla dittatura militare nel 1976 e arrivato in Spagna per poi raggiungere alcuni amici nelle Baleari. La Spagna si stava divincolando dalla morsa del regime franchista, pronta a godersi la libertà arrivata con la democrazia. E quale posto migliore per farlo se non Ibiza?
Passato da negoziante e barista a DJ, fu presto reclutato dal neonato Amnesia, dove si è creato un certo seguito con i suoi leggendari set da 12 ore. Mixando la new beat belga con i Woodentops e Joe Smooth, con l’hip-hop e persino gli U2, Alfredo dava vita a rave ancora prima dell’esistenza stessa dei rave; le suggestive melodie pop mescolate a musica più ritmata hanno creato il genere noto come “Balearic Beat”.
Qualche tempo dopo, Paul Oakenfold e Danny Rampling portavano il genere di Alfredo nel quartiere londinese di Bermondsey. Il loro Shoom Club si mescolò con l’esplosione dell’ecstasy dando vita a un’ossessione mondiale: la cultura rave. La musica house sarà anche nata a Chicago, ma tutto quello che viene dopo arriva da Ibiza e da Alfredo.
Ma Ibiza non è museo. Da allora è diventata un grande, immenso business. Il dolce profumo dei soldi pervade tutta l’isola, e le discoteche sono più simili ai casinò di Las Vegas o i parchi a tema. L’entrata supera quasi sempre i 50 euro, a cui si aggiungono le consumazioni a non meno di 15 e i taxi.
Detto questo, nel mondo non ci sono molti posti in cui vedere i DJ più famosi in locali del calibro dei super club di Ibiza. Lo Space sta a Carl Cox come il Bernabeu sta a Cristiano Ronaldo, o come il Louvre sta alla Gioconda. Si tratta di vere e proprie arene concepite per essere oltraggiosamente uniche.
I locali stessi sono delle esperienze: ti spingono al limite, certo, ma ti danno anche la possibilità di vivere momenti talmente belli che ti fanno venir voglia di valicare quel limite una volta per tutte. Ciò avviene in parte perché il costo dell’entrata è alto, in parte perché ogni sera attirano la stessa folla di una partita di calcio e in parte perché ci sono persone che hanno aspettato tutto l’anno una di queste serate. Non si va allo Space per rilassarsi.
La vita che si fa a Ibiza è pesante––quando sono tornato, avevo la sensazione di essere convalescente dopo un’operazione––ma è così diversa dalla vita di tutti i giorni da spingerti a prendere un aereo e tuffartici dentro. Ci si sveglia alle cinque di pomeriggio, si inizia a bere alle cinque e mezza, si mangia una pizza, si va in spiaggia, si beve ancora, verso le due di notte si va in un locale, si va via alle sette di mattina, si continua a far festa a casa fino a mezzogiorno e si ripete il tutto il giorno successivo. Bere un paio di birre e tornare a casa con Uber non è proprio la stessa cosa.
All’Amnesia, una delle discoteche più famose di Ibiza, ho incontrato Luciano, che nell’isola è una specie di leggenda. Origins, la serata che organizza, è una delle più importanti di Ibiza, attira qualche migliaio di persone ogni sera e gli fa guadagnare un mucchio di soldi.
La palese violazione delle leggi antifumo e la sua musica che mischia tribal house, minimal techno e suggestioni estrapolate dalle sue origini svizzero-cilene sono state una costante durante la mia permanenza sull’isola e mi hanno mostrato come dovrebbe essere un vero DJ di Ibiza. Deve giudicare il pubblico, deve tenerlo sulle spine, deve fare delle piccole magie e, ogni volta che può, deve spruzzargli addosso del biossido di carbonio.
Poco distante dal mondo delle grandi discoteche c’è la parte a basso costo dell’isola. Un luogo affollato di bar che prendono il nome dai locali delle sitcom inglesi degli anni Settanta e di cocainomani che indossano fasce di colori accesi e girano ubriachi con le palle che gli scivolano fuori dal costume, vomitando nei tombini.
Questo posto è San Antonio, il luogo da dove proviene tutto ciò che fa schifo di Ibiza. Il tizio nella foto qui sopra, che ha continuato per un sacco di tempo a indicarci il tatuaggio a forma di pene che aveva sul polpaccio, è un buon esempio del tipo di persona che si può trovare a San Antonio, impegnata a mangiare patatine fritte sulla spiaggia e cantare canzoni stupide mentre la gente del posto rimpiange il disastro dell’Invincibile Armata.
Per fortuna, Ibiza non è tutta come San Antonio.
Un locale che si distingue dagli altri è lo Zoo Project, che––anche se è sempre affollato di inglesi ubriachi––riesce a organizzare serate in cui suonano DJ decenti, il tutto in uno zoo abbandonato sulle colline intorno a San Antonio.
Forse è per via del posto, forse è perché sembra un campeggio, ma gli stessi tizi che a San Antonio erano degli stronzi qui diventano persone normali che rincorrono il “sogno di Ibiza” vestite come il cast di Cats. Ariel (a sinistra) è una delle tante ballerine inglese venute qui a lavorare, lasciandosi alle spalle un lavoro d’ufficio.
Ariel faceva la sirenetta––il genere di lavoro che può esistere solo a Ibiza. Non ho controllato, ma dubito che in Inghilterra ci siano molte persone che di lavoro fanno le sirenette.
Ad Ibiza, il mestiere della ballerina è molto più che intrattenimento. Nei fatti, è parte integrante della cultura e dell’economia locale. Con i loro movimenti sensuali e i costumi, le ballerine conducono le danze; inoltre, nel tardo pomeriggio, girano per strada vestite a festa cercando di trasformare i bagnanti sui bagnasciuga in consumatori per i locali dove lavorano. In generale rappresentano lo stile di vita promosso da questi locali, che consiste nell’essere sempre svegli, pronti a divertirsi, eccitati e affamati.
Questo gruppo––un collettivo internazionale composto da ballerine e sosia di David Luiz che suonano il bongo––lavora per molti locali, tra cui l’Amnesia di Luciano, ed è tra i più rispettati dell’isola. Nel documentario li abbiamo seguiti in spiaggia per vedere come riescono a trasformare i bagnanti che prendono il sole in festaioli pronti a scatenarsi.
Corinne, di Roma, è la tipica ballerina di Ibiza. Dopo anni di danza, e dopo essere venuta qui un paio di volte in vacanza è tornata per lavorarci, sapendo che Ibiza è uno dei posti migliori al mondo per fare ciò che ama. Oltre a fare la ballerina lavora per una ditta di nolo barche, e negli ultimi anni ha quasi smesso di fare festa. In un certo senso, è maturata proprio nell’isola famosa per il suo stile di vita caotico.
Ho capito che Ibiza non è solo un posto dove andare a spendere soldi, ma anche un luogo che offre molte opportunità all’interno di un continente ormai in declino. Un luogo dove i giovani svegli possono andare a fare un sacco di soldi. Una sorta di versione in bikini di Furore.
Jamie Brennan, detto Kryoman, è forse l’uomo che conduce la vita più strana in tutta l’isola. È un ex fattorino diventato famoso facendo il robot nei locali alle serate EDM.
Negli ultimi anni, gli affari di Kryoman sono andati a gonfie vele. Oggi, Jamie gira per tutti i locali di Ibiza con il suo spettacolo. È probabile che molti dei suoi spettatori si chiedano se stanno davvero vedendo un cyborg che balla intorno a David Guetta o se è l’effetto delle pasticche che hanno preso prima di entrare.
Nel nostro documentario l’abbiamo incontrato nel garage di casa sua, in una zona tranquilla dell’isola, mentre si stava preparando per una serata allo Space.
Ma l’inglese che ha fatto più successo a Ibiza è sicuramente l’uomo qui sopra, ossia Carl Cox. Proveniente da Carshalton, è venuto a Ibiza circa 30 anni fa e da allora è una delle figure più importanti dell’isola. Cox è molto più di un DJ. È per Ibiza quello che Disneyworld è per la Florida, e nonostante questo è riuscito a mantenere intatta la sua reputazione di “uomo più gentile della techno” rispondendo in modo tranquillo e cortese alle mie domande nonostante fosse reduce da una serata e avesse mangiato solo un panino.
Alfredo Fiorito, l’uomo che ha inventato Ibiza
Ma se Carl Cox è il re di Ibiza, Afredo ne è il Dio. Verso la fine della nostra permanenza sull’isola siamo finalmente riusciti a incontrarlo. Non mi vergogno di affermare che è uno dei miei eroi e che le sue compilation mi hanno svoltato un sacco di giornate noiose. Ascoltarlo dire la sua sull’isola è stato molto interessante.
Alfredo si esibisce ancora come DJ nelle discoteche più famose e ha assistito a tutti i cambiamenti e le rivoluzioni attraverso cui l’isola è passata, non solo come DJ ma anche come residente, come qualcuno che semplicemente ama Ibiza e che, dopo 35 anni, riesce ancora a provare lo stesso stupore della prima volta che vi ha messo piede. Ascoltare i suoi racconti sui cambiamenti, sul passato, sul futuro, sulla natura della musica elettronica, sulla somiglianza tra la sua giovinezza e quella di oggi, è stato al tempo stesso una delusione, una fonte di ispirazione e in generale quanto di più lontano ci sia dall’immagine che vi potreste essere fatti dei DJ deep house che si lamentano su Twitter del cibo dell’aeroporto.
Al di là delle differenze ciò che lega davvero tutti i discorsi che abbiamo fatto fino ad ora è proprio il luogo stesso. Le discoteche, la musica, le droghe e i soldi continueranno a cambiare, ma Ibiza rimarrà uno dei posti più belli non solo d’Europa, ma di tutto il mondo. E sono questi vasti cieli caldi notturni, questi tramonti a tarda sera, queste spiagge rocciose, e ancora queste cascate di acqua azzurra che sembrano gigantesche piscine cadute dal bordo del mondo, sono questi molteplici elementi che tengono insieme un’unica e immutabile Ibiza.
Sta arrivando ottobre e la stagione di Ibiza volge al termine. Le feste di chiusura delle discoteche si stanno avvicinando e gente come Ariel, Corinne e Jamie e centinaia di altri residenti part-time torneranno alle loro vite di tutti i giorni, nel mondo reale. Ma quest’estate, come tutte le altre estati che hanno passato ad Ibiza, rimarrà impressa nella loro mente e andrà a costituire un altro strano capitolo della loro vita, proprio come la settimana che ho trascorso lì con loro rimarrà impressa nella mia.
Sono abbastanza sicuro che il mio corpo avrà bisogno di altro tempo per riprendersi, e dato che la mia vita sociale in inverno si limita a scattose conversazioni nelle zone fumatori e a biglietti del guardaroba che vanno perduti, credo che da oggi le mie aspettative sulle serate non saranno mai più le stesse. Non ci sono palme a Elephant and Castle. A Ibiza è tutta una questione di resistenza, di ambiente meraviglioso, di divertimento e proprio per questo è un’esperienza che rimarrà impressa nella mia mente molto più a lungo di tutte le altre serate che ho fatto.
Ibiza, mi hai quasi ucciso, ma sono sicuro che un giorno tornerò da te.
Il documentario sarà presto in onda su VICE.com. Segui Clive Martin su Twitter. @thugclive