Música

L’IDM è stata il Romanticismo del nuovo millennio

Il termine Intelligent Dance Music apparve per la prima volta sulla mailing list del portale Hyperreal, nel 1993, coniato da una ristretta cricca di appassionati della nuova ondata di elettronica che stava cambiando le regole del gioco. Epicentro artistico fu il Regno Unito e una folta rappresentanza di talenti provenienti quasi in toto dalla stessa casa madre, la Warp Records di Sheffield, che ne è stata inconsapevolmente un vero e proprio nido. A partire da Artificial Intelligence (la storica compilation dalla cover con il robot seduto sulla poltrona, ad ascoltare vinili di Pink Floyd e Kraftwerk, per intenderci), il claim “electronic listening music” fu lanciato in orbita come una sentenza, generando domande esistenziali ai più comuni fruitori di musica da ballo.

Perché intelligente? Nel termine stesso risiede molto probabilmente la sintesi della controversia, tutt’ora aperta a dibattiti. Ciò che pare chiaro è che si tentò di dare una cornice ad un genere cerebrale, il lato così strettamente connesso alla tecnologia e alla consacrazione della computer music eppure così filosofico e distaccato dalla fenomenologia di base, della stessa elettronica. Un filone che vide sbocciare precursori di intere generazioni come Aphex Twin, Autechre, Boards of Canada, Squarepusher, The Orb, che avrebbero influenzato persino la strada della musica pop di alcuni mostri sacri che si stavano formando (Radiohead, Björk, Moby su tutti).

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“Can dumb people enjoy IDM, too?” fu uno dei primi topic di discussione su IDM List nel 1993, in quello che potremmo definire un corrispettivo del moderno Reddit. Oltre alla prima Artificial Intelligence era da poco uscito anche Selected Ambient Works 85-92 di Aphex Twin. La scena da club si era divisa tra chi avrebbe firmato per sentire auliche sperimentazioni tra breakbeat, l’ambient e la techno e chi preferiva il lato più ludico e spensierato creato dai rave senza freni. Ma la musica, per tornare al centro della dance, stava facendo esattamente il percorso che doveva. La techno era in una fase di diffusione totale, aveva da qualche tempo raggiunto le masse, i rave furono conseguenza di una scalata verticale. Fin troppo, probabilmente, al punto che il tasso di sperimentazione si era arrestato a favore dell’esasperazione dello stesso entusiasmo.

Era la fattura estremamente articolata, inclassificabile, che attraeva più di ogni cosa del lato intelligente della techno. Ma, soprattutto, il fatto che riuscisse a coniugare le peculiarità di un brano d’ascolto a quelle di uno che è possibile ritrovarsi a ballare a notte fonda, nel buio di un club. La dance, nell’IDM, era la discendenza familiare ma non il metodo. Acutizzava i dettagli ed i contrasti di sintomi storici completamente diversi apparsi nel secolo precedente, in musica.

L’ascendenza che risaltava maggiormente è infatti quella dalle avanguardie storiche (John Cage, Russolo, Stockhausen), e il motivo per cui fosse considerata una techno “artistica” è proprio quel far inconsciamente fede a concettualismi provenienti dagli anni Venti, Trenta e Quaranta. Come affermò Schumann, «sembra che la musica voglia di nuovo ritornare alle sue origini, quando ancora non l’opprimeva la legge del rigore della battuta, e sollevarsi fieramente indipendente al discorso libero d’ogni costrizione».

Un momento. Schumann? Come entra a far parte di questo discorso?

Facciamo un altro rapido salto indietro.

Siamo nell’Ottocento, in Europa imperversa un vivace dibattito su quella che venne definita musica assoluta. Un termine nato dal movimento romantico, a oggi ricondotto a Wagner, che evoca la spiritualità, la simbolicità e la forza motrice di una musica strumentale capace di un trasporto totale. Da Haydn a Mozart, proseguendo fino alla via di non ritorno, con Ludwig van Beethoven, si era creato un solco con il passato. Diventava impossibile non mettere in moto la mente, le idee dell’artista erano simboli, metafore dentro l’opera, non intaccate da interventi di un terzo elemento quale il testo, come era prassi fino al Settecento.

In questo scenario, personaggi del calibro di Schopenhauer furono incentivati nel sostenere che la musica è un’arte “liberatoria” e che “ci libera dal mondo del Principio – dal mondo della nostra Angst pratica, filosofica, politica, esistenziale”. L’analisi di un altro compositore dell’epoca, il boemo Tomášek, era che artisti come Beethoven suscitavano l’idea che la stranezza e l’ineguaglianza sembravano essere l’obiettivo principale, l’ideologia trainante di quell’arte. Un linguaggio superiore, che traeva dall’indeterminatezza il punto di forza, perché destabilizzava in toto il pubblico, non abituato all’azione dell’ascolto critico, attento.

Nel decennio successivo all’ascesa dell’house e della techno che volevano soverchiare il dominio dei generi più ancorati ai canoni “terreni”, con l’IDM gli stessi confini vengono ridisegnati, esattamente come il Romanticismo tedesco fece con l’evoluzione della musica classica. E questo, per chiudere il cerchio storico, ha significato che i concetti strutturali dell’ascolto nella musica assoluta sono in tutto e per tutto quelli che l’intelligent dance music generò all’interno della musica da ballo, negli anni Novanta.

L’ambizione e la creatività, o l’ambizione per la creatività, hanno significato per entrambe le correnti artistiche il nesso al di sopra di tutto. Un sincretismo sonoro che, sia nella musica assoluta “pura” che nell’intelligent dance music, cerca il futuro con le idee rimaste celate ed inespresse nel passato. Quindi sì, Schumann, come anche Berlioz (“la musica commuove attraverso i suoni gli essere dotati di immaginazione”), anticiparono un concetto che sarebbe stato il dogma dei bedroom producers, quando apparvero personal computer e sintetizzatori. La musica, aldilà di ogni formalismo, rappresenta sé stessa e nient’altro, sia essa un’orchestra o un synth, sia metaforica o concreta. Schumann aveva ragione, ma non poteva sapere che ciò che realizzava un compositore ottocentesco, ciò che suonava un’intera orchestra e riempiva i teatri sarebbe stata la necessità di un genere agli antipodi.

Il fil rouge si dispiega lungo miriadi di piccole ma decisive evoluzioni, frutto del Romanticismo e delle libertà capacitive diventate funzioni (dall’impressionismo di Debussy a Schönberg, dalla liberazione del suono di Varèse alla musique concrète). Nella reazione allo stallo del passato ha trovato spazio in queste rivoluzioni stilistiche un’universalità di linguaggio volutamente sfasata rispetto alla contemporaneità. Gli Autechre non pensavano affatto che la loro musica suonasse atonale, come “macchine elettroniche inceppate”, perché nel rigore tecnico di quella scrittura c’era lo stesso – se non un superiore – impegno di un loop ciclico di hit da classifica della new wave o del pop.

Altri illustri autori dell’epoca come i Boards of Canada reinventarono lo spazio come nella musica a programma intimista, rimisero i sample (field recordings, soprattutto) al centro della scena e crearono un revival sci-fi anni Settanta. Aphex Twin faceva dell’irregolarità virtuosistica il perno su cui la trama doveva instaurare un dialogo, come in Brahms. Seppe anche rielaborare formule che la techno stava abbandonando o non aveva mai usato al meglio (come il pianoforte, di cui Druqks è quasi interamente composto), scavalcò barriere tra club e pop.

La tortuosità e la complessa associazione ossimorica degli artisti IDM appartennero anche a Wagner, seppur si discostò poi dall’idea beethoveniana di “arte per l’arte”, come del resto molti artisti degli anni Novanta che si riavvicinarono progressivamente al dancefloor più delicato, dopo le loro fasi sperimentali e “colte” (pensiamo a Carl Craig, a Jeff Mills, o ai The Orb, questi ultimi specialmente per via dei diversi cambi di formazione della band).

Da una parte il rischio di volersi spingere troppo oltre e disegnare l’evoluzione come una mera scoperta dovuta alla tecnologia, dall’altra quella di apparire folli mentori di una concezione di musica strumentale impossibile da attuare. Mancava il testo, mancava uno spartito (inteso come “copione”, “abitudine”) e una direzione preesistente, come nelle più grandi Sinfonie romantiche, ma una volta superata lo sgomento iniziale non importava più a nessuno. Per tutte e due le scuole di pensiero fu questione di tempo, prima di una rivoluzione che avevano avuto ragione a progettare.

Il concetto di arte universale della Nona Sinfonia avrebbe consegnato al mondo una musica nuova, che si tramanda anche attraverso Selected Ambient Works, Frequencies, Incunabula, Music Has The Right To Children. A volte la nostra percezione ci fa immaginare distanze che non esistono. L’IDM ha colto lo spirito romantico di più di un secolo prima, facendo incontrare Kraftwerk, Eno e Beethoven nello stesso luogo, ma soprattutto, imparando ― senza farci più di tanto caso ― a parlare di arte dentro un club.

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