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Il “Maker Gene” di Arduino alla Biennale di Venezia

Una piccola scheda elettronica che permette di creare numerosi dispositivi, dai controller di luci e di velocità, ai sensori di luce, temperatura e umidità. È un software open-source e il suo hardware è completamente libero. Semplificare e rendere la tecnologia alla portata di tutti: questa è la missione di Arduino.

Esposta, per la prima volta, quest’anno alla Biennale di Architettura di Venezia, la piccola scheda elettronica trasmette un messaggio forte e chiaro: “si può fare”. E a farlo può essere chiunque. Arduino è infatti, da ormai oltre 10 anni, l’emblema di come l’approccio aperto stia rinnovando il mondo della tecnologia, dell’architettura e del design.

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Enrico Bassi, ex direttore del Fablab di Torino e curatore della mostra The maker gene, ci ha spiegato i meccanismi, le applicazioni e, soprattutto, l’importanza di Arduino. Esprimere il gene del maker, l’impulso a imparare e creare in prima persona, è una mentalità che Enrico Bassi vuole diffondere non a partire dalla politica, ma dal sistema scolastico.

è fondamentale far capire, a chi scrive le leggi, l’importanza di quello che sta accadendo, i benefici che possono nascere e i danni che la burocrazia può fare.

Motherboard: Perché portare Arduino alla Biennale di Venezia? 
Enrico Bassi: Alla Biennale volevamo portare proprio questo senso di positività. Una volta tanto c’è qualcuno che ti dice: “si può fare! Anche tu, che non sei un ingegnere o un programmatore, puoi riuscire a costruire progetti interattivi, che tu ci creda o meno”. Questo principalmente grazie all’open-source e alla condivisione.

Cosa può fare per l’architettura?
Molto. Arduino è un “cervello” per oggetti, spazi, installazioni, o architetture. Può controllare l’apertura o la chiusura di una finestra sulla base dell’umidità, irrigare una parete verticale, modificare la luce sulla base del numero di persone presenti, o qualsiasi altra cosa il progettista voglia fare. La sua potenza è la flessibilità. E naturalmente, la semplicità.

Quali sono i progetti presentati e perché, tra i tanti che usano Arduino, questa scelta?
Volevamo portare tre esempi italiani: un’azienda, una start-up e un giovanissimo “maker” che, con Arduino, stanno facendo passi da gigante. Non siamo andati a pescarli nella Silicon Valley o a New York, non abbiamo scelto nomi famosi o aziende da milioni di dollari. Abbiamo selezionato progetti altrettanto validi, che nascono intorno a noi.

I ragazzi di Wasp project producono e vendono stampanti 3D per finanziare il loro progetto: stampare unità abitative in argilla e materiali locali, soprattutto per i paesi in via di sviluppo.

Il progetto MEG di Claudio D’Alessio e Pietro Santoro, invece, è una serra per la coltivazione indoor, i cui parametri di umidità, temperatura, luce e acqua, si controllano tramite un’App. Questo consente, inoltre, lo scambio di “ricette” per la coltivazione di piante particolari, dai peperoncini cileni in Svezia, ai pomodori pachino a Tokyo.

Michele Lizzit, infine, è un ragazzo di 14 anni che, grazie ad Arduino, si è costruito, in terza media, il crittografo Enigma della Seconda guerra mondiale in versione digitale.

Michele Lizzit. Immagine via: Maker Gene

Cosa stanno sviluppando oggi i laboratori Arduino?
Arduino prosegue con il suo lavoro di diffusione dell’open-source e dello sharing. Continuiamo a cercare di semplificare l’uso dell’elettronica e della programmazione, per renderla alla portata di tutti. Per noi è fondamentale la democratizzazione della tecnologia. Una cosa è tanto più importante, quante più persone possano accedervi. I settori in cui si applicano queste conoscenze sono infiniti: insegnamento, robotica, autocostruzione, design, architettura, arte, musica, artigianato e così via. Non si può pensare che sia un qualcosa di nicchia.

Qual è il sensore più innovativo che si può usare con Arduino?
Attualmente, i sensori più sviluppati sono quelli ambientali e biomedici. I primi ci permettono di “vedere” le cose invisibili intorno a noi, nelle nostre case, strade o città, come l’inquinamento, le reti di connessione e i campi elettromagnetici. I sensori biomedici, invece, ci permettono di “vedere” dentro di noi, dal battito cardiaco allo stress, al rilassamento e alla tensione muscolare. Ma l’innovazione non è solo tecnologia, ma anche arte, architettura e design.

Tra poco ci sarà il Maker Faire di Roma, in cui la partecipazione di Arduino è fondamentale. Qual è il panorama dei maker in Italia?
L’Italia ha grandi potenzialità in questo senso. Nascono ogni giorno spazi di condivisione come Fablab e Makerspace, sempre più professori si avvicinano ad Arduino, sempre meno si cerca di vendere a un’azienda una propria idea e sempre più spesso ci si organizza tra crowdfunding e autoproduzione. Il making italiano sta attraversando la propria adolescenza, un periodo in cui si cerca un’identità, un modo di esprimersi. È arrivato, quindi, il momento di fare attenzione ai “faker”, o “mailer”, che parlano di making senza conoscerlo, che si spacciano per esperti senza essersi mai sporcati le mani e che considerano l’open source una fonte da cui attingere, senza mai restituire.

Abbiamo molto da imparare dagli Stati Uniti, o dal resto d’Europa, in quanto a qualità di un progetto, non siamo secondi a nessuno.

È arrivato il momento di fare attenzione ai “faker”, o “mailer”, che parlano di making senza conoscerlo, che si spacciano per esperti senza essersi mai sporcati le mani e che considerano l’open source una fonte da cui attingere, senza mai restituire.

Cosa bisognerebbe fare in Italia per diffondere questa mentalità?
Sicuramente partire dalla scuola. Molti penserebbero alla politica, ma personalmente credo più nell’educazione, che nelle costrizioni delle leggi. Tuttavia, è fondamentale far capire, a chi scrive le leggi, l’importanza di quello che sta accadendo, i benefici che possono nascere e i danni che la burocrazia può fare.