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Quella volta che un gruppo di nerd creò l’Intelligent Dance Music

Nel 1993, Alan Parry e Brian Behlendorf crearono il primo spazio online dedicato alla cosiddetta “musica dance intelligente” – o per dirla brevemente e con l’acronimo inglese, IDM. La lista, nata per discutere di Aphex Twin, della compilation di Artificial Intelligence pubblicata nel 1992 dalla Warp Records e di qualsiasi altra forma di musica elettronica introspettiva, divenne ben presto un luogo frequentatissimo da fan e artisti: Darren Emerson degli Underworld e Jon Drunkman degli Ultraviolet Catastrophe bazzicavano regolarmente. A meno di un anno dalla sua creazione, la Warp utilizzò alcuni dei messaggi del forum per la grafica della sua seconda compilation Artificial Intelligence.

Chi ascoltava IDM sepp fare un uso estremamente creativo del web 1.0, comunicando già all’epoca con un sistema di chat primordiale dove /H indicava un abbraccio, e /S dei baci. Spesso alle feste connettevano un computer e si scambiavano saluti con altri fan dell’IDM a migliaia di chilometri di distanza. Eppure il lascito dell’IDM è profondamente complesso. La sottocategoria è divenuta nota e ha ricevuto critiche da artisti, giornalisti e utenti delle Liste stessi. Secondo alcuni, l’ipotetica complessità dell’IDM non la rendeva più “intelligente” di altri tipi di dance music. Ma cosa c’è di così complesso, per esempio, in un pezzo seminale del genere come “Xtal” di Aphex Twin?

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Altri ancora sostengono che la maggior parte degli artisti di cui si parlava nella lista fossero uomini bianchi. Insomma, più la analizzi, più la storia dell’IDM – che affonda le sue radici a Detroit con Derrick May, Kenny Larkin e Gerald Donald – assomiglia a quella del rock’n’roll: un genere musicale che nasce tra la popolazione afroamericana ma che conosce il successo grazie ai musicisti bianchi. Ma cosa pensano oggi gli utenti di quella lista? Abbiamo preso troppo sul serio gli scherzi tra un gruppo di amici e fanatici? È vero che Richard D. James si insinuava nelle loro conversazioni come racconterebbe la leggenda? L’ho chiesto ad alcuni di loro per cercare di scoprirlo.

Alan Parry, co-fondatore della lista

Chi ha inventato il termine “IDM”? Penso sia stato Brian Behlendorf! È incredibile sfogliare un giornale oggi e ritrovare ancora quella parola, nata tra le mura della cameretta di Brian. Ci siamo “incontrati” online, poi io sono andato a San Francisco dove abbiamo deciso di creare la nostra Lista IDM. Sin dall’inizio, la figura di Aphex Twin è sempre stata circondata da un alone di mistero. Io volevo scoprire chi produceva quei dischi. E la cosa migliore da fare era mettersi in contatto con più persone possibili e parlarne.

La musica era la mia vita. Nella mia città, Baltimora, organizzavamo serate con gente come gli Autechre e μ-Ziq. A un certo punto avevamo anche fatto un disco: gli utenti della Lista ci avevano mandato le tracce, poi la gente aveva votato e avevamo fatto un CD. Mi ricordo di averlo dato ai ragazzi degli Autechre, ma non lo considerarono più di tanto [ride]….

Non si è mai parlato di razza o di genere. La maggior parte della musica IDM non aveva un volto, era proprio quello il punto, no? Le copertine dei dischi non mostravano quasi mai esseri umani, di nessun tipo. Forse era una scelta intenzionale.

Jon Drukman, Artista (Ultraviolet Catastrophe, Bass Kittens), ex utente della List

La lista IDM era diventata una droga per me. Era una sorta di club esclusivo. All’epoca non c’erano YouTube e Spotify, se volevi prendere parte alla conversazione dovevi rovistare tra i cestoni di dischi. Non avevo idea di che faccia avessero gli altri utenti della Lista: erano solo tantissime parole su uno schermo e tantissimo amore per un tipo di musica piuttosto esoterico. Parlarne ci sembrava una cosa importante da fare.

Molti dei precursori della house e della techno erano neri. Ma per qualche motivo, l’IDM dell’epoca era principalmente “fatta” da uomini bianchi, artisti e fan. Ricordiamoci che il web nemmeno esisteva all’epoca. Connettersi a internet era davvero un’impresa. Non c’era Google per trovare la Lista. Era tutto passaparola, e in genere se sei un nerd bianco, i tuoi amici probabilmente sono anche loro nerd bianchi, e via dicendo.

Il nome stesso era un peso. Un mucchio di geek bianchi avevano definito la “loro” musica dance “intelligente”, il che era già abbastanza sospetto. Nessuno aveva da ridire contro artiste come Riz Maslen, Mira Calix e Andrea Parker. E c’era un dibattito acceso su Björk e su come avesse osato “rubare idee” agli LFO, ma non credo fosse un problema di sessimo. Anche se, da nerd bianco, forse non ho proprio tutti gli strumenti giusti per valutare la cosa.

Simon Reynolds, autore di Energy Flash: Viaggio nella cultura Rave ed ex utente della lista

Simon Reynolds, foto promozionale.

Mi sono iscritto alla lista IDM in epoca più avanzata, credo verso la fine degli anni Novanta, ma non ero un utente attivo. Ero più un osservatore, monitoravo la sottocultura e il suo sviluppo. Non possiamo nascondere che fosse chiaramente un posto dominato da utenti decisamente uomini e decisamente bianchi. A volte non è semplice dedurlo dagli alias della gente ma è una cosa che senti, hai presente? Banalmente, i fan IDM rispecchiavano gli artisti del genere: decisamente uomini e decisamente bianchi.

Mi piaceva un sacco di IDM. Ascoltavo Aphex, Luke Vibert, Oval e tutti gli altri, ma sentivo che in qualche modo i fan si erano appropriati di un complesso di superiorità senza averne alcun diritto. Artisti come Squarepusher non facevano nulla di nuovo rispetto a quanto già fatto da 4hero, Omni Trio, Goldie e tantissimi altri producer hardcore e jungle, molti anni prima!

Gli Autechre producevano degli anti-groove pazzeschi, con beat imponenti e decisamente creativi ma anche impossibili da ballare. Non per tutti questo era importante, dipendeva da quanto ti piaceva ballare. I fan non sembravano interessarsi granché alla dimensione danzereccia della loro amata “intelligent dance music.” La musica funzionale—al ballo in questo caso—era considerata inferiore alla musica puramente sperimentale. Era chiaramente una sottocultura nerd, fatta di gente che era ben felice di starsene a casa ad ascoltare musica bizzarra, piuttosto che uscire e frequentare altri esseri umani nei club o ai rave.

Penso che il termine in sé sia problematico, ma il genere di musica e la sua tematica sono fatti sociali e una realtà innegabile. Cercare di nasconderlo sembrerebbe strano. Allo stesso tempo, ha dato vita a ottima musica che va oltre le critiche mosse al suo pubblico.

Mike Brown, Curatore del sito sulla rave culture Hyperreal e membro della Lista

Tra il 1993 e il 1994 la parola “IDM” non era presa troppo seriamente. Erano solo tre lettere con poco significato al di fuori della nostra piccola community di nerd che le usavano per definire un ramo dell’elettronica che ci piaceva. Nessuno aveva intenzione di creare il nome di un genere musicale o sottintendere che artisti e fan di quella sottocategoria fossero tutti geni.

Ti ricordi quanto era grossa l’hardcore techno all’epoca? O quanto era ballabile la house che mettevano nei club? Be’, proprio come i punk rocker amavano il punk rock, noi adoravamo quella musica “stupida”. L’avremmo ballata per sempre. Ma allo stesso tempo, ad alcuni di noi piaceva anche quella musica “meno stupida” con un sound più sperimentale e meno dance.

Da un lato, in tutti i posti che ho frequentato, tra i fan, i promoter e i DJ non ho mai percepito la diversità come un problema, anche se oggi non sono certo di poterlo affermare con certezza. O almeno, tutti quelli che conoscevo io erano persone inclusive. Dall’altro alto, non sono cieco. I dati demografici sul pubblico IDM parlavano chiaro, e ora le domande sulla community sembrano più che giustificate. Perché c’era una così scarsa rappresentazione? Forse sarebbe interessante chiederlo a Carl Craig o a Mira Calix.

Mira Calix, artista sotto contratto con Warp

Mira Calix, foto promozionale.

Devo dire che quasi tutte le persone su quella lista erano giovani maschi bianchi, ma era la musica stessa a rappresentare fortemente la categoria. Io ero l’unica artista donna in Warp. Si può e si deve criticare questo fatto, ma allo stesso tempo se le case discografiche non promuovevano artiste donne, era difficile che quei ragazzi potessero scriverne.

L’etichetta non era un ambiente a me ostile, dal mio punto di vista non c’erano molte opportunità per le donne di farsi avanti e farsi notare. Ma non era una cultura macho. Per quello che so, nemmeno la lista lo era; era solo un po’ nerd. Anche se, devo dirlo, questa caratteristica è prettamente maschile, è vero. Ma questo non significa che le ragazze non collezionassero dischi—parli con una che si considera una vera nerd, altrimenti non farei questo lavoro [ride], ma penso che sia anche giusto dire che i più fissati erano gli uomini.

C’erano poche donne che producevano musica o si esibivano— davvero poche—e ancora oggi è così. Oggi vediamo personaggi come Beyoncé e Rihanna e ci illudiamo che le donne siano equamente rappresentate ma non è così, ancora oggi le donne sono in minoranza nell’industria musicale.

Non penso che la Lista fosse molto considerata dalla gente di Warp. Quello che apprezzavamo era il supporto e il fatto che avessero creato una vera e propria cultura, una nuova forma di comunicazione: in qualche modo, quello è stato come un primissimo social media. Non sapevo dei mini-rave, figo! Penso che la stessa cosa non sarebbe successa con una rock band. Il fatto che la musica fosse sperimentale e strettamente connessa con la tecnologia attirava un determinato tipo di pubblico.

Mi ricordo che alcuni artisti di Warp dicevano, “IDM? Suona un po’ ostentato,” ma se ci rifletti, è solo un nome. Come la garage, o la house. Se Richard [D James] ha mai usato la Lista? [ride] Tu cosa ne pensi? Alcuni artisti erano sulla Lista ed erano attivi, altri c’erano ma erano invisibili…

Questo articolo è apparso originariamente su Noisey UK.

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