Perdere e perderemo – Intervista al portiere della nazionale più sfigata del mondo

Dai cento spettatori del campo sportivo di Borgomaggiore agli ottantamila di Wembley, la vita di Aldo Simoncini è un enorme paradosso. Probabilmente molti di voi non sapranno nemmeno chi è, ma la sua figura, anche se all’interno di un contesto particolare, rappresenta un esempio iconico di sopportazione.

Studente di Informatica all’Università di Cesena, e calciatore dilettante, Aldo fa parte della nazionale di calcio del San Marino, “orgogliosamente” ultima nel ranking FIFA insieme al Bhutan.

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I giocatori di una nazione piccola come San Marino difficilmente militano in categorie superiori alla Seconda Divisione, e nel contesto del calcio europeo rappresentano più di tutte la squadra cuscinetto contro cui è quasi impossibile perdere. E infatti nessuno perde mai. L’essere nato in uno stato che a causa della sua ridotta popolazione ha difficoltà nel selezionare giocatori, però, gli permette di confrontarsi ad ogni qualificazione con i migliori professionisti del mondo.

Poche settimane fa Aldo ha avuto il privilegio di scendere in campo a Wembley, nella partita di qualificazione contro l’Inghilterra, e nonostante le cinque reti di passivo ha fatto un’ottima figura. Abbiamo deciso di incontrarlo qualche giorno prima della partita, nella sua città, per farci raccontare la sua strana condizione anfibia, e la cultura della sconfitta.

In 40 partite giocate con la maglia della nazionale, infatti, Aldo non ha mai visto la propria squadra vincere, o pareggiare. Il che è normale, visto che San Marino, pur detenendo il record per il gol segnato più rapidamente nella storia delle partite fra nazionali (contro l’Inghilterra, in una partita terminata 7-1), ha una media di 4,33 gol subiti a partita. Per la precisione 537 in 124 incontri.

Aldo è uno dei simboli della sua nazione e non lascerà la squadra almeno finché San Marino non troverà un successo che manca da tanto, tantissimo tempo-dalla storica vittoria contro il Liechtenstein: l’unica ottenuta dalla “Serenissima”in 27 anni di storia. Era il 28 aprile 2004. 

In una squadra del genere ricopre sicuramente il ruolo più ingrato: quello del portiere.

Ci diamo appuntamento di fronte al Palazzo Pubblico di San Marino, repubblica invasa da turisti russi affamati di pellicce, profumi, e borse. Quando arriviamo lui è già li che ci aspetta.

Una compilation delle sue parate.

Aldo è un ragazzo alto e solido, e si presenta con la semplicità di uno studente universitario qualsiasi. Scattiamo due foto e ci mettiamo a chiacchierare, facendoci raccontare l’inizio della sua esperienza in nazionale. Era il 6 settembre 2006 e si giocava a Serravalle contro la Germania.

“Avevo 19 anni e rientravo in campo a sei mesi da un terribile incidente in macchina nel quale mi sono fratturato gomito e bacino, non sapevo nemmeno se sarei tornato a giocare. Abbiamo perso 13 a zero, ma non era quella la cosa importante…”

In effetti la sua esperienza è più paragonabile al tiro al bersaglio che al calcio: da quando gioca in nazionale Simoncini ha subito oltre 120 reti. Quindi andiamo subito al sodo: quanto è scoraggiante partire irrimediabilmente sconfitti? “Siamo sinceri, perdere con 6, 7, 8 gol di scarto non fa piacere a nessuno. Nemmeno a me. Quando vedo che gli altri vanno 4 volte più forte di noi la cosa mi sta sul cazzo.” 

“Conosciamo la differenza tra la nostra nazionale e gli avversari, ma non scendiamo mai in campo per perdere. Proviamo ad esprimere il nostro gioco e a fare risultato. L’importante è non lasciarsi andare alla prima rete subita e tenere lo zero a zero il più possibile. Una bella parata può caricarti.” 

Aldo, ormai immune alla depressione da sconfitta, riesce a valorizzare il lato positivo della cosa. “Un giocatore professionista non riuscirebbe a reggere un ciclo di debacle simile, e crollerebbe. Io vivo tutto questo come un sogno, e ci metto tutto l’impegno possibile: per me è un privilegio, e tutti i match che ho disputato sono stati una grandissima esperienza di vita.”

Non si può certo dargli torto. Aldo è un ragazzo normalissimo, che per cause di forza maggiore viene a contatto con un mondo che non gli appartiene, anche se lo ha sfiorato. Nella stagione 2011/2012 è stato il terzo portiere del Cesena in Serie A. “Ho anche giocato nel Riccione, nel Bellaria, San Marino (squadra che milita tuttora in Lega Pro) e sono stato il terzo portiere del Cesena nella serie A 2011/2012 pur senza scendere mai in campo. Nel calcio che conta non ho mai avuto una chance e se in nazionale gioco contro Van Persie e Rooney non sono più riuscito a trovare un ingaggio in squadre che militano in campionati professionistici. Se non è questo un paradosso…”

L’argomento sembra toccarlo nel vivo. Guardando gli altri portieri, si chiede spesso “come sarebbe andata se fossi stato più fortunato, se avessi avuto la possibilità di mettermi in gioco ad alti livelli,” ci dice stringendo nervosamente una bottiglia di plastica lasciata sui tavoli del Bar Cardelli di Piazza della Libertà.

Noi invece ci domandiamo se in un certo senso il rammarico di non essere riuscito a entrare nel calcio di alto livello non si rinnovi ogni volta che scende in campo contro professionisti milionari. Se non sia una specie di tortura, oltre che una fortuna. Gli chiediamo allora quali sono le difficoltà nel rapportarsi all’ambiente del calcio vero.

“Purtroppo penso che gli arbitri non ci prendano seriamente. Fischiano come se il risultato fosse una formalità, e vi confesso che è una cosa molto fastidiosa.” Può capitare, inoltre, che gli avversari non si mostrino molto rispettosi. “I miei compagni mi hanno addirittura detto che la nazionale ucraina si prendeva gioco di loro, esaltandosi per un otto a zero. È una cosa umiliante, soprattutto perché lo fanno con noi solo perché siamo i più deboli. Perché non hanno fatto i fenomeni contro la Francia ai playoff? Non ho capito nemmeno i 13 gol che ci ha rifilato la Germania: un conto è onorare l’impegno, un conto è infierire così.”

È un’eccezione negativa, fortunatamente, “Diverso è l’approccio di altre nazionali. Una tra tutte l’Inghilterra: sono dei signori che ci hanno fatto sentire pari a loro.” Aldo ci mostra orgogliosamente una sua foto con Joe Hart, portiere dell’Inghilterra e del Manchester City. “È una foto scattata dopo la mia prima volta a Wembley. E l’ho pure messa come immagine del profilo su Facebook.”


Aldo Simoncini e Joe Hart. Foto per gentile concessione di Aldo Simoncini.

Un altro “grande”, nella sua esperienza, è stato Ibrahimovic. Durante una partita contro la Svezia giocata a Malmo, “un mio compagno gli ha chiesto di non infierire perché eravamo scarsi. Lui ha risposto, ‘Non permetterti di pensarla così, pensa solo a fare il massimo.’ Abbiamo perso 5-0, ma a fine gara Zlatan è venuto a congratularsi con me per alcuni interventi che gli hanno negato il gol.”

Una volta tornato a San Marino, lontano dagli 80.000 di Wembley, le cose si ridimensionano notevolmente. “Abbiamo alcuni fan che ci seguono, e quando giochiamo in casa vengono allo stadio di Serravalle a sostenerci.”

“Non è certo paragonabile alle grandi nazionali europee, e per il 90 percento il nostro stadio è occupato da tifosi ospiti. Specie quando giochiamo partite importanti o affrontiamo nazioni che hanno molti immigrati in Italia. Con l’Albania, per esempio, è stato come giocare fuori casa.”

“Quando gioco per il mio club, la Libertas, i supporter superano raramente le cento unità. Nelle finali play off vengono al massimo 250-300 persone… poca roba comunque.”

È difficile, quindi, capire quale sia la reale dimensione di Aldo Simoncini: un ragazzo che può inserire nello stesso racconto aneddoti su una partita contro l’Italia di Prandelli (in quell’occasione Aldo si è scambiato la maglia con Buffon, di cui è tifoso) e su un match con l’S.S. Pennarossa di Chiesanuova. Incontri dilettantistici giocati fra persone normali che studiano o lavorano, e che hanno l’hobby di sfidare Rooney e Van Persie. 

Italia – San Marino di maggio 2013.

In Europa viene quasi naturale empatizzare con una squadra che affronta ogni partita nonostante l’esito sia praticamente segnato prima ancora di cominciare. “Capita spesso che a fine gara i tifosi locali cantino ‘San Marino! San Marino!’, e che ci chiedano fotografie e autografi come se fossimo delle vere star. Io ho addirittura spedito la mia maglia a un ragazzino greco. Nessuno ci paga per giocare: lo facciamo per un ideale patriottico e in Europa questo lo capiscono.”

La ridotta dimensione sociale della sua vita di calciatore, però, riserva comunque dei benefici.

“Una volta sono stato riconosciuto dal mio professore di Diritto Privato,” ci dice. “Non avevo studiato niente e mi ha dato 24. Sono stato fortunato diciamo.” Riguardo alla sua vita universitaria ci racconta anche un altro episodio, che forse riesce a dipingere in modo semplice e diretto i paradossi del mondo di Simoncini: “Il 9 settembre 2013 dovevo andare a Lviv per giocare contro l’Ucraina (incontro terminato 9-0), ma sono rimasto a casa a studiare Algebra e Geometria. So che è strano che un portiere di una nazionale europea salti una partita di qualificazione ai mondiali per preparare un esame, ma alla fine l’ho passato con un buon voto.”

Non è poi così scontata, nella sua situazione, la capacità di rimanere lucidi e realistici. Aldo sa bene quale sia il suo posto. “Per giocare a Wembley però rinuncerei a qualsiasi esame.” La prima volta hanno perso 8 a 0, ma a fine partita avrebbe voluto dormire in campo. È un’eccezione, ovviamente: “Adesso penso prima di tutto a laurearmi, cercherò lavoro già prima del gran giorno.”

Ha imparato, insomma, a gestire la cosa. E può solo cercare di godersi i lati positivi. “So di essere privilegiato, so che molti portieri di serie A vorrebbero essere al mio posto per giocare certe partite.”

“E a San Marino come ti vedono?” chiediamo, supponendo che almeno nella sua città un po’ di gloria la raccolga. “Metà degli abitanti di San Marino non aspetta altro che una nostra pesante sconfitta. Noi non molliamo e cerchiamo sempre di fare grandi prestazioni per rispondere a critiche distruttive mosse da persone che nemmeno guardano le nostre partite e si accontentano di leggere il risultato sul giornale locale.”

“Contando che nessuno di noi è professionista e non schieriamo nessun naturalizzato ci siamo tolti i nostri sassolini dalle scarpe. Contro la Lituania, squadra ben più forte della nostra, abbiamo perso due a zero dopo un ottimo match e contro l’Inghilterra abbiamo tenuto il risultato sfiorando pure il vantaggio. Sono riuscito persino a parare un rigore alla Repubblica Ceca.”

“Con la Libertas ho appena vinto la Supercoppa di San Marino e da tre anni a questa parte disputiamo i preliminari di Europa League. A Sarajevo abbiamo sfiorato una qualificazione storica. In Bulgaria i supporter locali ci hanno sorpreso omaggiandoci delle loro sciarpe al fischio finale. Pensate che poche settimane prima avevano dato fuoco ad uno stadio!”

A questo punto ci saluta, perché ha un aperitivo a Bellaria con alcuni amici. Gli facciamo un in bocca al lupo per la partita con l’Inghilterra, e lui ci ringrazia. “Crepi, speriamo che questa intervista non porti ‘sfiga’: non vorrei fare papere proprio giovedì. La partita verrà trasmessa su Sky e mi guarderanno tutti i miei amici, magari facciamo pure la partita della vita…”

Lo guardiamo allontanarsi e rimaniamo fermi per un attimo a riflettere. Aldo Simoncini rimane una figura dal fascino strano. Fondamentalmente è un portiere come se ne trovano tanti altri un po’ in tutta Italia: bravo quanto basta per aver potuto sperare di ottenere qualcosa a cui poi non ha avuto accesso. Eppure, nonostante la realtà dei fatti, c’è sempre questo spiraglio geo-politico che lo rende speciale. Anche se il suo essere speciale si manifesta incassando caterve di gol.