Un sacco di persone giocano a scacchi semplicemente per divertirsi tra amici—e va bene così. Ma gli scacchi sono soprattutto uno sport serissimo in cui concentrazione, premeditazione e allenamento sono fondamentali. In Italia gli atleti sono riconosciuti dalla Federazione scacchistica italiana (che quest’anno festeggia il suo centenario); mentre a livello internazionale dalla F.I.D.E.
Elena Sedina, classe 1968, è una scacchista italiana di origine ucraina con un curriculum di tutto rispetto. È Maestro Internazionale Assoluto, Grande Maestro Internazionale Femminile, ha partecipato a diverse Olimpiadi e nel 2019 ha vinto sia il Campionato italiano femminile che il Campionato femminile svizzero.
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L’ho chiamata a casa sua a Como, dove abita dal 2002 (si è trasferita in Italia nel 1995). Abbiamo parlato di com’è cambiato questo sport nel tempo, della popolarità della serie “La regina degli scacchi” e del fatto che sacrificare la regina all’inizio di una partita non è mai una buona mossa.
VICE: Come ha iniziato a giocare a scacchi? Ed è vero che bisogna farlo da piccoli per diventare tra i più forti?
Elena: A sette anni ho iniziato a frequentare—insieme a mia sorella di cinque—il circolo di scacchi di Kiev, la mia città di origine. All’epoca è stato mio padre ad avviarci a questa disciplina: lui era nella prima categoria nazionale, ed è tutt’ora arbitro nazionale.
Per un paio di anni ho seguito così un corso frequentato da quaranta bambini, con cadenza trisettimanale e partite previste alla domenica. Poi, all’età di 9 anni ho iniziato a vincere molti tornei in più rispetto ai miei coetanei, e quindi un allenatore mi ha adocchiata e diretto verso il professionismo.
Attualmente, non conosco giocatori forti che hanno cominciato in età avanzata. Per esempio il campione del mondo Magnus Carlsen ha iniziato a 8 anni, ma pensa che fosse già tardi. Credo che il momento giusto sia in prima o seconda elementare.
Mi ha detto che poi sua sorella non ha continuato, mentre lei è diventata la scacchista della famiglia. Quanto si allena mediamente?
Durante la crescita ho studiato tantissimo, si trattava di vere e proprie giornate lavorative. Gli scacchi sono un gioco individuale e prevedono molto allenamento, anche in solitudine, per memorizzare schemi e mosse.
Oggi ho meno tempo perché insegno agli allievi, ma sono in contatto con un paio di sparring partners con cui studio e disputo partite online o in presenza—e capita di farlo anche con la nazionale italiana.
Ci sono vari film e anche serie tv sui campioni di scacchi. C’è qualcosa che l’ha colpita, o che la gente crede sugli scacchi ma che non è vera?
In molti parlano bene de “La regina degli scacchi,” ma devo ancora recuperarla. L’impressione per molti però è che chi si occupa giorno e notte di scacchi sia una persona strana, mezza pazza. Ovviamente non c’entra niente, salute mentale e scacchi non sono correlati: in generale noi scacchisti siamo persone normalissime. Con una grande passione.
A proposito, ogni tanto si sente parlare della “psicologia degli scacchi.” Che cosa significa di preciso?
Si riferisce alla psicologia dello sport in generale, applicata a questo ambito. Quindi al non lasciarsi andare, a non montarsi troppo la testa dopo una vittoria, a saper mandare giù le sconfitte per cercare di dare il massimo il giorno dopo. I tornei di scacchi durano molto, tra una settimana e dieci giorni. Quindi c’è tanta tensione, che bisogna saper gestire per tutta la durata della competizione. Prima, durante e dopo ogni partita bisogna concentrarsi solo sugli scacchi.
Per esempio, alle mie ultime Olimpiadi ero in questa sala con tantissime persone che si sfidavano; solo alla fine, a partita conclusa, mi sono resa conto che eravamo rimasti là dentro io, la mia avversaria e gli arbitri. Ho provato una sensazione strana.
Non è però facile mantenere i nervi saldi: alla coppa del mondo del 2008, nella competizione a eliminazione diretta, avevo perso la prima di due con l’attuale miglior giocatrice al mondo. Ero in difficoltà, dovevo recuperare, ma alla fine ci sono riuscita anche grazie a un consiglio di mio marito: “Prendi spunto dai lottatori di Sumo.” Negli scacchi devi pensare alle tue mosse, non alle tue emozioni.
A cosa serve il timer con i due orologi?
Gli orologi servono per non far durare giorni le partite, come succedeva prima della loro introduzione.
Oggi nei tornei ufficiali—alle Olimpiadi o agli Europei—mediamente le partite durano quattro ore, ma possono durare anche qualche ora in più (o in meno).
Poi ci sono le “partite rapide” in cui la cadenza di gioco prevede un tempo di riflessione fissato tra i 15 e i 60 minuti. E infine le partite disputate più per divertimento, come le “bullet,” in cui i giocatori hanno un minuto a testa e la partita dura al massimo due minuti. A queste tipologie si gioca spesso online.
In quali casi è meglio attenersi alle tante mosse da manuale o provare mosse che spiazzino l’avversario? E di conseguenza: esistono dei pezzi da difendere in ogni caso, o sono tutti sacrificabili?
Prendiamo le mosse di apertura: trovi tutte le informazioni su Internet, compresi interi database, e con un po’ di pratica puoi memorizzarle. Questo significa che sono sempre buone, ma anche riconoscibili. Tant’è che a un certo punto negli anni Novanta è stata inventata una variante eterodossa del gioco, chiamata Fischer Random, in cui la situazione iniziale è diversa da quella usuale.
Oggi nelle partite “standard” alcuni tra i migliori, forse più che in passato, giocano anche di “’improvvisazione”: per esempio alla terza mossa muovono il pedone laterale, che è piuttosto inusuale. Ovviamente questa improvvisazione non deve essere mai assurda dal punto di vista posizionale, perché poi ti porta solo svantaggi.
Per quanto riguarda i pezzi: l’unico che devi difendere è il Re, il resto sono tutti sacrificabili. Ci sono sacrifici che uno può calcolare per creare una rete di matto, guadagnare più pezzi dell’avversario, promuovere un pedone. Persino la regina, che è il pezzo più forte della scacchiera, è sacrificabile—ma mai all’inizio. Anzi è meglio non muoverla troppo a partita appena aperta, dato che può essere attaccata dai pezzi più leggeri.
Come mai i russi sono così forti a scacchi?
Innanzitutto perché in Russia è ancora il terzo sport più popolare dopo il calcio e l’hockey su ghiaccio. Come accennavo, io provengo dalla scuola sovietica: gli scacchi facevano già parte di una certa cultura, dove gli scacchisti godevano di grande considerazione e la popolazione partecipava con interesse.
Mi ricordo che quando c’erano quei match interminabili tra Karpov contro Kasparov, sui mezzi pubblici mi capitava spessissimo di ascoltare dei commenti sulle partite appena giocate.
Poi c’era l’aspetto politico: dovevamo sempre essere migliori degli americani. Io ho iniziato a giocare in quel periodo storico lì.
Come e quanto si guadagna nel mondo degli scacchi?
Ho letto recentemente che quest’anno il primo al mondo ha guadagnato circa trecentomila euro. Ma queste cifre sono per la cerchia ristretta dei top 15, una sorta di club esclusivo che viene invitato a quasi tutti i tornei più prestigiosi del mondo. Poi le cifre si abbassano e dipende dal livello.
Per quanto riguarda i premi dei campionati nazionali, poi, dipende dal paese: in Italia l’anno scorso il primo premio per il campione italiano è stato di cinquemila euro, mentre per la prima del campionato femminile di millecinquecento.
Qui gli scacchi sono molto poco considerati, basta fare un paragone: si sono appena conclusi i campionati statunitensi e lì l’ultima classificata vince quanto la prima italiana.
Ma a prescindere dai guadagni, c’è disparità anche lì: il primo campione assoluto vince 40mila dollari, mentre la prima campionessa femminile 25mila.
Ma quindi il mondo degli scacchi è maschilista?
Purtroppo noi donne siamo in netta minoranza: non superiamo il 10 percento di tutti i giocatori e questo si riflette in tutto il resto. Ci sono per l’appunto i tornei dove uomini e donne giocano insieme, poi quelli riservati alle donne. Esiste per il momento questa distinzione, e penso sia indispensabile.
Per dire: quando sono arrivata in Italia ero nella top five dei giocatori, ma non sono mai stata selezionata per la squadra nazionale [che sulla carta è mista], ma solo per la nazionale femminile. È difficile combattere gli stereotipi.
Ho letto che ha conseguito anche un dottorato di ricerca sui metodi di allenamento per gli scacchi. Quali sono i consigli che darebbe a un principianti che vuole approcciarsi un po’ più seriamente a questo sport?
Puoi iscriverti a dei corsi, come quelli promossi dalla Federazione scacchistica italiana. Giocare e partecipare a tornei online su siti come Chess.com o Chess24.com. O studiare da diversi manuali, come quelli a cui ha contribuito Roberto Messa per principianti o quelli redatti dal mio collega Claudio Negrini per livelli più avanzati.
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