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Abbiamo chiesto ai fondatori del movimento delle ‘sardine’ cosa si aspettano ora

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Non è certo una novità che Matteo Salvini venga contestato durante le tappe del suo perenne tour elettorale in giro per l’Italia; è sempre successo, in misura più o meno intensa. Ma da circa dieci giorni a questa parte, le proteste si sono in qualche modo strutturate nel cosiddetto “movimento delle sardine.”

Il debutto, com’è ormai noto, è stato a Bologna il 14 novembre: mentre la Lega apriva la campagna per le regionali in Emilia-Romagna al Paladozza, a piazza Maggiore andava in scena l’iniziativa nata spontaneamente su Facebook “6000 sardine contro Salvini.

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L’idea originaria era appunto quella di dimostrare che per strada ci sarebbero stati almeno 6mila manifestanti, più delle 5.570 persone che può contenere il palazzetto. “Staremo stretti come le sardine, perché saremo in tanti,” avevano annunciato i quattro organizzatori originari Roberto Morotti, Giulia Trappoloni, Mattia Santori e Andrea Garreffa.

Alla fine i numeri sono andati ben al di là delle previsioni, e a Bologna sono scese in piazza più di 10mila persone. Da lì in poi la mobilitazione è esplosa sia sui social network (dove sono spuntati gruppi locali sempre più affollati) che in varie città: Modena, Sorrento, Palermo, Reggio Emilia, Perugia, Rimini, Parma e altre ancora—fino a Roma, dov’è prevista una manifestazione per il prossimo 14 dicembre.

L’irruzione di questo fenomeno ha prodotto una vasta gamma di reazioni. Una parte della stampa l’ha celebrato, non senza un certo paternalismo riassumibile nella formula “che bravi questi ragazzi che si battono ancora per qualcosa” (nonostante le piazze siano piuttosto eterogenee e raccolgano qualsiasi fascia d’età); un’altra l’ha denigrato fin dall’inizio, scadendo nelle solite teorie del complotto su presunte manovre occulte e grandi burattinai (i soliti Soros e Prodi).

A livello partitico, al momento nel Partito Democratico si registra un atteggiamento che oscilla tra il supporto e l’attendismo—con adesioni più convinte a livello locale. Alcuni esponenti del travagliato Movimento Cinque Stelle hanno provato invece a paragonare le “sardine” al primo V-Day del 2007. La Lega e altre formazioni di destra sono naturalmente contrari, e lo staff comunicazione di Salvini sta provando a contrastarle mediaticamente postando a tutto spiano gatti e pinguini che mangiano sardine.

È innegabile, tuttavia, che queste mobilitazioni stiano dando fastidio al leader leghista. Anzitutto perché hanno rotto il suo assedio elettorale sull’Emilia-Romagna, dimostrando che la conquista della regione non è così scontata come va ripetendo; e poi perché si oppongono alla retorica salviniana che dipinge la Lega come l’unica depositaria della volontà popolare.

Allo stesso tempo, ora che le “sardine” hanno assunto una rilevanza nazionale e sono ritenute il “nemico più pericoloso per Salvini” (come registrato da un recente sondaggio), l’antisalvinismo potrebbe paradossalmente rivelarsi il maggior limite—così come lo era stato l’antiberlusconismo di altri movimenti analoghi del passato recente, su tutti i “girotondi” e il “popolo viola.”

Per cercare di capire com’è nata questa protesta, per quale motivo sta prendendo così piede e come può evolvere, ho rivolto un po’ di domande ai quattro organizzatori del primo evento bolognese. L’intervista è stata editata per ragioni di spazio.

VICE: Penso che ve lo sarete chiesto—e vi sarà stato chiesto molte volte—ma vorrei iniziare da questa domanda: vi aspettavate un tale ondata di adesioni, a Bologna e oltre? Cos’è scattato, secondo voi?
Giulia Trappoloni, Roberto Morotti, Andrea Garreffa, Mattia Santori: Quando abbiamo pensato al flash mob del 14 novembre in piazza Maggiore a Bologna sapevamo che ci sarebbero state molte adesioni. C’era una sorta di “vibrazione” nell’aria. Tutti i segnali indicavano la riuscita dell’evento, ma i numeri sono andati oltre le attese. Abbiamo riflettuto molto sul perché di questa vasta partecipazione e ci siamo risposti che forse siamo riusciti, ricorrendo all’arte e al richiamo alla non violenza, a colmare un vuoto che la politica aveva prodotto nel corso degli anni.

Quel vuoto si era tradotto in rassegnazione collettiva, in un’incapacità non solo di produrre una risposta all’avanzata apparentemente inarrestabile del populismo, ma anche di immaginarla.

In varie interviste e interventi avete detto che siete “apartitici” ma non “apolitici”. E in effetti, nel vostro manifesto scrivete che “crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola”. Cosa intendete? In Italiadopo vent’anni di berlusconismo, e pure dopo l’ascesa dei partiti populistidavvero esiste ancora una cosa del genere?
Credere nella “politica con la P maiuscola” significa sostenere e appoggiare chi già lavora nel mondo della politica, o chi ha intenzione di affacciarvisi, e ha le competenze per portare avanti azioni e valori che siano a favore del benessere delle comunità.

I politici che fanno questo lavoro con serietà e coscienza hanno bisogno di partecipazione cittadina per legittimare la loro rappresentanza e mantenere viva l’essenza della democrazia. Ai politici è più che legittimo rivolgere anche critiche, purché indichino la direzione da prendere e non demonizzino solo gli errori del passato.

Populismo e berlusconismo? Il passato è passato. E il passato se lo tiene. Se ci aggrappiamo a queste cose per giustificare le lacune del presente, avremo sempre lo sguardo rivolto ai problemi e non alle possibili soluzioni.

Immagino comunque che i partiti vi abbiano cercato, o che proveranno a cercarvi: come vi ponete (o porrete) nei loro confronti, soprattutto nei confronti di quelli che magari sono più vicini ai messaggi della mobilitazione?
Tutti i partiti paiono aver compreso la natura apartitica delle piazze e finora ne hanno avuto grande rispetto. Le forze politiche proveranno a cercarci? Può darsi. Il nostro invito sarà sempre quello di interrogare le piazze, viverne i sentimenti e cercare lì le risposte che cercano.

Tralasciando le teorie del complotto sul “chi vi paga?!”, in diversi dicono che vi limitate a protestare contro un leader politico che attualmente non è nemmeno al governo; e altri, addirittura, che Salvini potrebbe uscire rafforzato. Cosa ne pensate?
La protesta non è contro un leader politico in particolare. È contro un modo di fare politica che punta a seminare paura, divisione sociale e ostilità nei confronti di ogni cosa sia percepita come “diversa.”

La retorica populista è già finita, non può rafforzarsi. E le piazze ne sono la dimostrazione lampante, indipendentemente da quello che possiamo rispondere noi quattro sardine bolognesi o da quello che si può leggere nelle bolle virtuali dei social network.

Ora che si stanno moltiplicando le iniziative in tutta Italia, non temete che si possa perdere il senso originario della mobilitazione (che comunque era legato a un appuntamento elettorale locale ben specifico)? O che comunque l’antisalvinismo possa arrivare fino a un certo punto?
Il senso della mobilitazione emiliano-romagnola è ben chiaro e non è mai cambiato. Nel mirino c’è l’esito delle elezioni regionali in programma per il 26 gennaio. La moltiplicazione delle iniziative a livello nazionale non fa che rafforzare il messaggio dell’Emilia-Romagna e toglie ossigeno alla propaganda populista a tutti i livelli.

L’iniziativa di Bologna è nata sull’urgenza del momento, in maniera del tutto spontanea. Non avete paura che ora si stiano generando troppe aspettative (a partire dai gruppi Facebook delle “Sardine,” ad esempio, per arrivare alla stampa), e che poi queste diventino ingestibili e generino delusione? Insomma: cosa avete d’intenzione di fare d’ora in poi?
La delusione è proporzionale alle aspettative. Questo è vero sia nella gestione di questi eventi che nella vita di tutti i giorni. Chi produce le aspettative riguardo le piazze di questi giorni e i messaggi che lanciano? Noi o i mezzi di informazione che sulle piazze hanno costruito storie e cercato interpretazioni?

Noi pensiamo che la responsabilità sia condivisa e che spetti dunque a tutti, a noi, a chi scende in piazza e a chi, per lavoro, si propone di informare chi in piazza non c’era, gestire queste aspettative e fare in modo che tutta questa energia non vada dispersa ma possa trasformarsi in una forza propulsiva per rivitalizzare la democrazia.

Nel passato recente ci sono state mobilitazioni nate su Internet e fuori partiti, come i “girotondi” nel 2002 e il “popolo viola” nel 2009. In cosa vi sentite diversi da questi movimenti? E per finire: pensate che ci sia il rischio di fare la stessa fine?
I movimenti che ci hanno preceduto e che hai citato non hanno visto la nostra partecipazione, dunque non possiamo dire di averne avuto esperienza diretta. È difficile per noi paragonare le piazze d’Italia di questi giorni a esperienze passate che non riusciamo a mettere bene a fuoco.

Una cosa però la sappiamo. Crediamo che mai come oggi fossero minacciati, per i messaggi e i toni utilizzati, principi fondamentali del vivere democratico, indipendentemente dal politico di turno in carica o all’opposizione. Le sardine che scendono in piazza oggi non sono semplicemente contro Tizio o Caio ma a favore dell’arte, della bellezza e della riscoperta della partecipazione come unici antidoti possibili alla propaganda populista e alla disillusione e alla rassegnazione nei confronti della politica.

La politica ci riguarda tutti e, senza violenze, insulti o bandiere, pensiamo sia giunto il momento di tornare a parlarne seriamente e con toni pacati.

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