Su internet sembra non si parli d’altro: l’occupazione di Torre Galfa ha scatenato una partecipazione social-(e social network)popolare che raramente avevamo visto per un evento del genere, a Milano e in Italia. Tuttora i potenziali sviluppi della questione sono incerti, così come poco chiari sono gli interessi e le finalità delle varie persone che vi hanno preso parte. In poche parole, come spesso accade in questi casi, non si riesce a capire cosa cazzo stia succedendo, e se Macao riuscirà effettivamente a portare, alla fine, a risultati concreti. Abbiamo chiesto a due nostri collaboratori, uno pro (Francesco Birsa Alessandri) e uno contro (Costantino della Gherardesca), di dirci la loro, per aprire un dibattito che, probabilmente, non vi chiarirà le idee. Però almeno ci proviamo.
UN ENORME POTENZIALE, FORSE SPRECATO, FORSE NO di Francesco Birsa Alessandri
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A Milano, per qualche motivo, le chiamano ancora “torri”, ma non ci potrebbe essere termine più sbagliato. Le torri stavano a guardia, per avvertire da lontano di eventuali minacce alle mura delle città. I grattacieli no. Non gliene fotte un cazzo di quello che succede a terra, anzi, sono lì per essere guardati, e riempiti di gente che lavora. Quando sono vuoti, invece, diventano deprimenti, sembrano delle gigantesche casse da morto messe in piedi. Non sono passati neanche dieci giorni da quando un dildo disabitato di questi, a Milano, è stato occupato con l’idea di trasformarlo in qualcosa di completamente diverso: M^C^o, uno spazio libero per la cultura, con una sigla che non vuol dire niente e che fondamentalmente serve a prendere per il culo le sigle altrettanto cretine delle varie gallerie d’arte moderna italiane (GNAM, MADRE e MAMBO, su tutti).
Assente quello sfondo contraddittorio di pancabbestismo e accattonaggio che costituisce il luogo comune idiota di ‘centro sociale’ per chi non ne ha mai visto uno. In compenso, dentro il palazzo si sono ammucchiate altre contraddizioni completamente diverse, ed era ovvio che andasse così. Sia il supporto all’iniziativa che le critiche sono arrivate praticamente da tutte le parti. Perché l’utilizzo di una parola scomoda come “cultura” è in sé una maledetta valanga. Quella “ufficiale”, lo sappiamo tutti, puzza da fare schifo, è stantia e nelle mani di quattro nonni che quando va bene campano di rendita. Allo stesso tempo, anche pensare che in Italia ci fossero robe vagamente capaci di rappresentare un’alternativa, fa ridere. M^C^o, in teoria, doveva servire proprio a questo. Niente di più difficile, perché se da un lato significava cercare di non fare entrare nel progetto poserismi e fashionismi di qualsiasi tipo, le vaccate “creative” da fuorisalone, dall’altro cercare di liberarsi di una cultura “de sinistra” che, come dicevamo prima, puzza di vecchio, di gente che se la racconta e di piede in due scarpe. Neanche si può più parlare di “radical chic”, perché ditemi voi dove sarebbe lo chic.
Qui, appunto, i dubbi: il fatto che certi personaggi siano andati a “trovare” M^C^o, è un bene o un male? Attira gente o la respinge, è coerente con certi propositi? Agli occhi di chi dentro ci è stato, l’abisso tra le decine di ragazzi che sono andati a smistare l’immondizia e mettere in sicurezza il palazzo e Lella Costa incartapecorita non poteva sembrare più grosso. Però ancora: giudicare in fretta non sarà mica da stronzi? Delle potenzialità, effettivamente, enormi, dell’entità che si è creata in pochi giorni, non c’è stato tempo né modo di sfruttarne neanche un millesimo. Ci sarebbe voluto tempo per giudicare, insomma, per osservare quanto e come lo spazio sarebbe effettivamente stato “restituito” alla città. Per verificare se davvero l’accesso lo avrebbero avuto quelli con qualcosa da dire di nuovo, di autentico, di vitale (ammesso che esistano).
Di tempo, forse, non ce ne sarà più. La polizia ha fatto irruzione nella “Torre Galfa” alle sette di ieri mattina e accompagnato dolcemente fuori chi era dentro. La linea del comune, fino a quel momento, era stata “Boh!”. Perfettamente consapevoli che prendere una posizione qualunque sarebbe stato come pestare un gran merdone in termini di elettorato, i membri della giunta comunale hanno preferito esibirsi in simpatiche supercazzole finché il sindaco non se ne è lavato ufficialmente le mani, scaricando tutta la responsabilità sulla questura. A due giorni dalle parole di Pisapia si sono messi in marcia. Non che, del resto, potessero fare altro. Chi si aspettava che un’amministrazione comunale potesse avallare l’occupazione peccava, più che di ingenuità, di ignoranza. Ieri, poi, Giuliano l’arancione ha avuto anche la faccia di presentarsi ai presidi post-sgombero, e il peggio è stato che la piazza, invece di dare una risposta decisa ha avuto anche il coraggio di fargli qualche applausino, ogni volta che sganciava uno specchietto per le allodole dei suoi.
Ma appunto, la reazione della città a M^C^o, intesa come la gente che a Milano ci vive, è stata caotica ed energica quanto la proposta. La direzione è incerta, le prospettive rimangono aperte, così come rimangono aperte le questioni che hanno portato in primo luogo alla nascita di una situazione del genere. La stessa gestione dello sgombero ha sofferto di questa malattia. Quanto senso ha avuto rimanere a presidiare una strada all’insegna del volemose bene e della presenza sui media? Certe questioni diventano spinose quando si cerca di essere trasversali, di coinvolgere più gente. Si rischia di scivolare nel populismo, nelle cazzate di Grillo e Saviano, in una qualsiasi retorica vuota di queste.
Rimane da capire, quindi, quali siano i linguaggi che si possono sostituire a quelli che stanno stretti, in quale modo si possa creare, crescere e divertirsi senza che la differenza la facciano solo i soldi e le mode, in un paese che più di tutti vede un distacco enorme tra la realtà che la gente vive e quella che crede di vivere. Vogliamo levarci da questo pantano sociale? Bene. Allora bisogna iniziare a mettere tutto in discussione, compresa l’idea di “opposizione” che abbiamo avuto finora, oltre che l’idea di “cultura”. In un contesto in cui i movimenti di protesta sono più concentrati sulla mancanza di sghei che sul sistema che l’ha generata, se ne sente più che mai il bisogno. Se l’esperienza di M^c^o porterà all’inizio di un dibattito di questo tipo, secondo me potremmo perfino definirla un successo. A patto che tutte le Darie Bignardi del mondo si levino dai coglioni.
Non siete d’accordo con Francesco? Pensate che Macao, in realtà, sia solo e semplicemente pattume mediatico? Sentite cos’ha da dire Costantino nella prossima pagina.
M’H^I C^G^TO IL C^ZZO di Costantino della Gherardesca
È il 15 maggio 2012, Sant’Isidoro. Un martedì fascista come tanti altri nello studio del TG1 a Roma. Tutto a un tratto Fiorello irrompe sul set e, colpo di scena, intervista Umberto Tozzi. Il Corriere della Sera riporta la notizia prima ancora della messa in onda: hanno avuto una soffiata da Vincenzo Mollica e un file video dalla redazione. È stato un blitz, “un’occupazione”.
Il giorno prima, Fabio Fazio, uno degli uomini più ricchi della televisione, debutta con la sua nuova trasmissione intitolata Quello che non ho. Assieme a Roberto Saviano parlano bene dei buoni, i poveri, e male dei cattivi, la “signoria”. Detto questo, quando un ospite dice la parola “FIAT” a Fazio si gela il sangue nelle vene. No, non è il tabu del brand in tv, gli si sarebbe gelato anche con la parola “Diegodellavalle”. Il programma tratta proprio il tema delle parole, che hanno perso il loro valore, dicono. Meno male che Fazio e Saviano glielo vogliono restituire. All’inizio di Quello che non ho, Fazio dice: “Questo programma è una specie di occupy La7.”
Dieci giorni prima di Sant’Isidoro i “Lavoratori dell’Arte” occupano la Torre Galfa per creare un “nuovo centro per le arti” a Milano. Chi sono i Lavoratori dell’arte? Dei sedizionisti culturali? Non proprio, il loro sito lo spiega benissimo: “Il Lavoratore dell’Arte è un ArtistaCuratoreCriticoDesignerDanzatoreAutorePubblicoCreativoGuardiasalaStudenteRicercatoreStagistaScrittoreAttoreTecnicoCopywriterMaschera e molto altro ancora.” Per chiarezza li chiamerò teatranti. Non sono dei freakettoni però, ci tengono a dire, e neanche delle persone “contro”: sono “pro”. Non è un centro sociale, altra precisazione. Contrariamente al loro volere, e a quello del pubblico di centrosinistra, in quei giorni le parole “freakettone” e “centro sociale” incominciano a riacquisire il loro valore e a risplendere come mai nella storia.
Seguendo l’invito pubblicizzato da Macao, molti musicisti, promoter e artisti contemporanei che conosco si fanno avanti. I migliori sono rispediti indietro da un Politburo centrista poco informato sull’arte di cui dovrebbero essere paladini (solo un paio di musicisti bravi passano attraverso la rete e riescono a suonare). Il think tank culturale di rottura di Macao però, riesce a far suonare gli Afterhours, Francesco Sarcina delle Vibrazioni e a organizzare il DJ set di un tipo dei Ministri. Bisogna “cambiare la cultura e l’arte,” dicono ai microfoni di La7 durante una conferenza stampa, devono essere “soggetti di trasformazione sociale.”
Fuori dagli uffici occupati con i Macintosh insurrezionalisti vedo con i miei occhi il montaggio su Final Cut di un video-spot con Daria Bignardi. L’intenzione è di usare Daria per pubblicizzare Macao. Oddio, poveri teatranti. Laddove loro sono Stefania Rocca la Bignardi è Darth Vader. I loro zaini non possono nulla contro la Morte Nera di Fabio Fazio, Fabio Volo e Serena Dandini. La loro comunicazione va in feedback. Incomincia il processo di assimilazione nella cultura BORG di Capalbio e Repubblica. LA PAROLA OCCUPARE ADESSO SIGNIFICA CELEBRARE.
Torniamo al giorno di Sant’ Isidoro. Oramai i teatranti sono dei cyborg di centrosinistra controllati dal collettivo De Benedetti attraverso i loro Macintosh. Il mattino dopo avviene lo sgombero. Scandalo, “La cultura non si sgombera”: arriva Omar Pedrini. Il Sindaco, paziente, promette lo spazio Ansaldo in zona Tortona, ma riceve dei fischi. I teatranti gli chiedono a gran voce di espropriare la Torre Galfa. Vogliono rimanere lì a “fare Macao.” A occupare la cultura middlebrow.
P.S. Stefano Boeri.