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La settimana scorsa le autorità iraniane hanno arrestato l’ex giornalista della BBC Bahman Daroshafaei. Secondo alcuni attivisti che vivono all’estero, gli agenti avrebbero preso possesso del suo account Telegram dopo averlo incarcerato, e avrebbero cominciato a scrivere ai suoi contatti.
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Gli attivisti temono che le autorità possano aver utilizzato l’account di Daroshafaei per ingannare i suoi amici e colleghi, ottenere informazioni sensibili, e inviare malware e spyware: negli ultimi anni, infatti, alcune persone per conto del governo iraniano avrebbero cercato più volte di fingersi attivisti o giornalisti per hackerare utenti attraverso email phishing e telefonate. E adesso che Telegram è diventato molto popolare nel paese, con circa 20 milioni di utenti, sembra che Teheran voglia far rientrare la piattaforma nella sua strategia di controllo.
Mercoledì scorso, Faremeh Shams, una poetessa iraniana amica di Daroshafaei, ha postato un avvertimento su Facebook.
“Qualcuno mi ha parlato per due ore dall’account Telegram di Bhaman: lo ha hackerato e ora sta usando il mio profilo per chattare coi miei amici,” avrebbe scritto. “Se qualcuno vi contatta dal mio account su Telegram, vi prego, ignoratelo.”
Dopo aver letto notizie del genere, Amir Rashidi – ricercatore e membro di The International Campaign for Human Rights in Iran – ha cercato di contattare Telegram e di fargli disabilitare l’account di Daroshafaei, così che non venisse usato ancora da altri.
Qualcuno mi ha parlato per due ore dall’account Telegram di Bhaman.
Malgrado la sua richiesta di aiuto – pubblica e privata – Rashidi ci ha spiegato che Telegram non gli ha ancora risposto, e che gli attivisti collaborano spesso con company come Twitter, Facebook e Google per disabilitare o bloccare account di persone arrestate per evitare che le autorità iraniane ne possano abusare. In genere, come precisa Rashidi, si attivano rapidamente. Diversamente da Telegram.
Secondo il ricercatore, Telegram dovrebbe essere più trasparente e agire più come Google e Facebook, che “aiutano la società civile: dovrebbe farlo anche Telegram.”
Ci sono molte questioni attorno a Telegram, ma ci negano sempre delle risposte chiare. Ecco perché la gente non gli crede più.
Nima Fatemi, una ricercatrice indipendente che si occupa di sicurezza, è preoccupata del fatto che sempre più iraniani utilizzino Telegram per le loro comunicazioni.
“Telegram offre ai suoi utenti un’app poco sicura, e come società sarà certamente in rapporti con il governo iraniano,” ha scritto giovedì in chat.
Il suo riferimento è ai noti problemi di Telegram con la privacy, come il fatto che le chat non siano criptate di default – a meno che non si attivi l’opzione – e che anche le conversazioni cifrate e “sicure” utilizzano in realtà un protocollo di crittografia per niente impenetrabile—come certificato da alcuni recenti studi.
Leggi anche: Come Telegram è diventato la macchina di propaganda dello Stato Islamico
Telegram, così come il suo fondatore Pavel Durov, non ha risposto alle diverse richieste di commento inviate via Telegram, e a quelle ricevute via mail.
Allo stesso modo, anche la missione iraniana presso le Nazioni Unite si è rifiutata di commentare.
Non è la prima volta che Teheran è accusata di usare l’account Telegram delle persone arrestate: a novembre, per esempio, le autorità hanno arrestato Issa Saharkhiz, un giornalista iraniano e figura politica, il cui figlio ha poi detto di aver scoperto che l’account del padre era stato hackerato.
In quel caso, il figlio di Saharkhiz era stato in grado di parlare con Durov su Twitter, spiegandogli che le autorità iraniane avevano “preso possesso di telefono, tablet e laptop del padre” e che lo stavano utilizzando “mentre lui era in stato di arresto.”
A quel punto, Durov ha risposto dicendo che gli dispiaceva, e che sfortunatamente “tutta la sua cronologia delle conversazioni era consultabile su quei device a meno che non ne avesse reso difficile l’accesso localmente con un password molto forte.”
Si trattava dell’ultima controversia riguardante Iran e Telegram. In giugno, sembrava che Teheran fosse pronta a censurare – se non a bloccare completamente – l’app, così come successo per Twitter e Facebook. Mesi dopo, Telegram ha accusato il governo iraniano di voler sorvegliare i suoi utenti.
Alla fine, comunque, non solo Telegram è rimasto disponibile e non censurato, ma sembrava aver cominciato a collaborare col governo per bloccare bot e altri account spam che condividevano pornografia.
In questi mesi, attivisti di internet del luogo hanno più volte spigato pubblicamente che Telegram non è stata per nulla trasparente nelle sue spiegazioni su cosa il governo iraniano gli chiedesse, e cosa avessero accettato di fare.
“Non so perché siano così poco trasparenti,” ci ha spiegato Rashidi. “Ci sono molte questioni attorno a Telegram, ma ci negano sempre delle risposte chiare. Ecco perché la gente non gli crede più.”
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Immagine: Twin Desig/Shutterstock