Se si vuol capire come sta lo Stato Islamico non c’è bisogno di seguire l’offensiva di Mosul. Provate a dare un’occhiata agli ultimi contenuti di propaganda del gruppo.
In settimana è stato pubblicato un audio nel quale Abu Bakr al-Baghdadi – il leader dell’organizzazione – parla per 34 minuti per la prima volta dopo un anno, ed enfatizza i concetti di guerra e violenza.
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L’IS ha basato la sua forza sulla propaganda sin dall’inizio. Ma dovendo far fronte alle umilianti e continue sconfitte che sta subendo sul campo di battaglia, la macchina propagandista comincia a far fatica a promuovere il gruppo.
Non a caso, le operazioni di promozione mediatica hanno subito una flessione che – secondo alcuni analisti – ha cominciato a essere effettivamente tangibile già da gennaio.
“Il concetto di statualità è fondamentale per veicolare il brand ISIS,” spiega Mara Revkin, resident fellow del centro studi sulla legge e sulla civiltà islamica della Yale Law School.
“Considerando che ha buone possibilità di perdere la battaglia di Mosul – e che quindi rischia di passare per gruppo incapace di espandersi e controllare territorio – resta da capire se il marchio resterà ancora attraente per combattenti e finanziatori.”
In uno studio pubblicato in ottobre dal Combating Terrorism Center di West Point si dà conto di quanto le sconfitte sul campo abbiano già danneggiato la propaganda dello Stato Islamico.
I ricercatori hanno analizzato i contenuti del gruppo pubblicati dai canali ufficiali da gennaio 2015 — si parla di circa 9000 unità tra video e immagini. Notando che il declino – a livello temporale – comincia proprio da lì.
Mettendola in numeri: stando al report, in un anno il gruppo ha prodotto circa 500 contenuti propagandistici in meno, passando dai 700 di agosto 2015 ai 194 dell’agosto 2016.
L’output generale è crollato da gennaio, in coincidenza della perdita del 16 per cento di territorio controllato fino a quel momento — come segnalato anche dal report della londinese IHS Conflict Monitor.
“Il califfato sta effettivamente indebolendosi da molti punti di vista, e sta soffrendo di una fortissima pressione,” spiega Dan Milton, direttore di ricerca del CTC e autore di uno studio.
“Una pressione che, combinata alla minore disponibilità di risorse, ha portato a una gestione ‘di governo’ diversa da quella che avrebbero voluto imporre.”
I video ‘militari’ sono da sempre considerati la pietra miliare della propaganda di IS, ma allo stesso tempo una delle loro prime preoccupazione era mostrarsi come forza di ‘governo’ stabile e fiorente — contenuto principale di circa un quinto dei loro video analizzati da Milton, e un quarto per il researcher Javier Lesaca del Counter Extremism Project.
In qualche modo, infatti, l’obiettivo era anche tracciare una traiettoria diversa da quella di Al Qaeda, che invece aveva fallito nell’obiettivo di ‘farsi stato’.
All’apice della loro produzione, nell’estate del 2015, IS aveva una struttura di propaganda che comprendeva 6 centri di produzione e distribuzione media e 33 uffici regionali.
Una delle loro forze era infatti mostrare scene verosimili per attrarre “diversi gruppi di fighter e supporter in tutto il mondo,” spiega Milton nel suo studio.
Lesaca ritiene che i temi centrali dei video di propaganda di IS siano quattro: interviste ai terroristi, successi in battaglia, buon governo e violenza teatrale — il CTC ne aggiunge altri due: “spot promozionali” e “stile di vita”.
Per molti, la violenza teatrale di IS riporta alla mente un video in particolare, quello diffuso nel 2014 che mostrava l’esecuzione del giornalista James Foley.
Secondo Lesaca, però, i video violenti rappresentano soltanto una piccola percentuale rispetto alla produzione totale del gruppo: tra il gennaio 2014 e il settembre 2016, i filmati che mostravano esecuzioni e tortura sono stati soltanto il 15 per cento del totale. Più della metà dei video pubblicati nello stesso periodo si è infatti concentrata su altri temi — l’organizzazione statale, il buon governo, le interviste con i militanti.
Lo studio di CTC ha mostrato una simile tendenza: nella maggior parte dei video pubblicato si vedono soldati tenere la mano ai bambini, amici nuotare insieme in un fiume, uomini pregare la grandezza di IS. In quel momento, lo Stato Islamico stava vendendo qualcosa di più di un ‘brand’ terroristico: stava vendendo l’apparenza di uno stato-nazione, funzionale e in crescita.
Mentre la coalizione di soldati iracheni e peshmerga curdi sta circondando la roccaforte di Mosul – dove il gruppo annunciò per la prima volta la nascita del califfato – e mentre lo Stato Islamico sta perdendo alcuni dei suoi territori ‘storici’ come Dabiq, questo messaggio propagandistico suona però sempre più flebile. Per tale ragione quella che un tempo era una visione utopica, benché artefatta, della situazione, ha ricominciato a tendere verso toni più apocalittici.
La ricerca di Lesaca ha notato che c’è stato uno spostamento narrativo: dalla speranza legata alla nascita dello stato a un exploit di video che mostrano guerra e torture—gli stessi che hanno messo il gruppo sotto i riflettori internazionali. Scene di violenza erano presenti in 18 dei 24 video pubblicati ad agosto, e in 12 dei 20 di settembre.
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“A settembre il numero di video con scene di violenza è stato uno dei più alti di sempre,” ha spiegato Alexander Meleagrou-Hitchens, ricercatore presso la George Washington University. “Appare chiaro come ora propongano un immaginario sempre più violento e militare.”
A ottobre IS ha pubblicato soltanto nove video, ha spiegato Lesaca, e sette di questi contenevano scene di violenza. Secondo il ricercatore il gruppo sta semplicemente facendo di necessità virtù: “Devono continuare a fare propaganda, e al momento le uniche risorse che hanno gli permettono di mostrare quello che stanno facendo.”
Dopo la fine del Califfato, come sarà la propaganda di IS? “ISIS ha sempre cercato di attrarre nuove reclute mostrando messaggi positivi, incentrati sulla propria esistenza,” ha detto Meleagrou-Hitchens. “Se dovesse perdere questa possibilità in futuro, l’efficacia del suo messaggio ne risulterà probabilmente molto ridotta.”
Ma IS sta già cercando di mettere in piede una narrativa digitale che possa sopravvivere alle sue perdite di guerra. “Si stanno preparando a essere sconfitti a Mosul e Raqqa,” spiega Scott Atran, senior research fellow alla Oxford University. Atran ha spiegato che recentemente la propaganda di IS sta etichettando le attuali sconfitte come “temporanee,” cercando allo stesso tempo di raccontare un Califfato che sopravviverà “nei cuori delle generazioni future.”
Revkin condivide, ma è più scettica: “L’apparato mediatico di IS è indipendente dal controllo territoriale, e i propagandisti stanno già cercando di rigirare le ultime sconfitte militari, così come quelle là da venire, facendole sembrare solo una sconfitta temporanea nel processo che porterà alla vittoria finale.”
Revkin, tuttavia, mette in dubbio la capacità del gruppo di continuare ad attirare nuovi adepti e di mantenere quelli che già ci sono con un califfato in declino e potenzialmente “senza stato”, specialmente mentre assistiamo alla crescita di popolarità di altri gruppi terroristici nella regione, come Jabhat Fateh al-Sham (JFS) in Siria e i Talebani in Afghanistan. Revkin cita una recente conversazione avuta con un ex membro dello Stato Islamico in Turchia, che ha deciso di unirsi a JFS. “Sono loro il nuovo ISIS,” aveva detto il militante.
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