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Dove ci porterà l’antimateria

L’antimateria è stata catturata grazie all’esperimento ASACUSA del CERN. Immagine: Yasunori Yamakazi

La scienza ha il vantaggio di aver fatto fare un salto quantico all’umanità: fino a qualche secolo fa parlavamo di anticristo, oggi per fortuna siamo passati all’antimateria. A dire il vero, il lato nascosto della materia sembrava un esercizio teorico destinato a riempire pagine e pagine nei libri di fisica. Almeno fino a ieri, quando la notizia ha fatto il giro del mondo: gli scienziati sono riusciti a isolare il primo fascio di anti-atomi di idrogeno in fondo a un tubo lungo 2,7 metri.

Messa così, sembra quasi che tutto sia successo per caso, magari nel caos di un cantiere tirato su per ristrutturare casa. No, il tubo in questione è una sofisticata trappola per antiatomi sviluppata dal progetto ASACUSA, proprio nel bel mezzo dei laboratori del CERN di Ginevra. Vedetela così: probabilmente ci vorrà ancora parecchio tempo prima di costruire un propulsore spaziale—scegliete voi il modello, va bene anche quello a bordo dell’Enterprise di Star Trek—però almeno abbiamo tra le mani la materia prima. O meglio, l’antimateria prima.

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I dettagli della storia sono questi: un gruppo di ricerca fatto da giapponesi, austriaci e italiani—sì, ci siamo anche noi—hanno messo insieme tutto lo stato dell’arte sull’antimateria e, dopo anni di esperimenti, sono riusciti a produrre e dirottare un fascio di anti-idrogeno all’interno di un rilevatore per la spettroscopia. È un po’ come guidare il corso di un fiume attraverso un deserto: basta un niente e l’acqua viene assorbita dalla sabbia. Con l’antimateria succede lo stesso, se non stai attento tende subito ad annichilirsi con la materia normale. E bisogna ripartire da zero.

Ora, gli scienziati sono riusciti a tenere la sabbia alla larga. Come spiega lo studio pubblicato su Nature Communications, l’esperimento ASACUSA è stato impostato in modo tale da convogliare il fascio di anti-idrogeno lontano dalla trappola MUSASHI—cioè il dispositivo che genera raggi di antiprotoni e che li fa reagire con gli antielettroni per formare l’anti-idrogeno—e dalle perturbazioni magnetiche che causano l’annichilimento dell’antimateria.

Lo schema di funzionamento dell’esperimento ASACUSA. In alto a destra c’è la sorgente di positroni, mentre, in basso a sinistra, c’è la trappola MUSASHI, la fonte di antiprotoni. Il rilevatore di anti-idrogeno è l’ultimo modulo a destra, subito topo il magnete e la trappola. Immagine via Nature Communications

Per adesso, l’idea è quello di studiare l’antimateria il più a lungo possibile. Gli scienziati vogliono capire se è perfettamente simmetrica rispetto alla materia o se c’è qualcosa di diverso, qualcosa che potrebbe sconvolgere i fondamenti della fisica. Sognando l’Enterprise, abbiamo fatto un paio di domande a Luca Venturelli, fisico dell’Università di Brescia e coordinatore del gruppo italiano di ASACUSA.

Motherboard: Qual è stato il momento preciso in cui avete capito di avere tra le mani l’antimateria?

Luca Venturelli: È un quadro che si delinea piano piano. Per l’antimateria non c’è un momento “prima non vedevo” che diventa all’improvviso  “ora sì”. È una situazione inizialmente sfumata, e poi arrivi al punto di poter dire che credi ragionevolmente nel risultato che hai ottenuto. Nel nostro caso, ci siamo arrivati analizzando molti dati sperimentali. Ci sono tanti aspetti da verificare, e la cosa richiede tempo.

E quanto tempo ci è voluto?
Circa sette anni. Poi, nel 2010, ci siamo resi conto che con gli strumenti di ASACUSA potevamo produrre atomi di anti-idrogeno in laboratorio con la particolare strumentazione con la quale oggi siamo riusciti a convogliarli in un fascio.

Problema risolto.
Questo è solo un passo in avanti, non il traguardo finale.

Ok, cosa succede dopo?
Dobbiamo verificare fino a che livello materia e antimateria siano simmetriche. I prossimi passi saranno quelli di migliorare le caratteristiche del fascio e fare misure sull’atomo di antidrogeno. Che poi, nel mondo dell’antimateria, è l’elemento più semplice.

Come si fa per gli atomi più complessi?
Oggi riusciamo solo a produrre anti-idrogeno. Se volessimo fare un antiatomo di elio, dovremmo avere a disposizione anche gli antineutroni, e la cosa si complicherebbe molto. Il nostro grande risultato è questo: oggi abbiamo un fascio di atomi di anti-idrogeno. Lo abbiamo creato e manipolato.

È un’operazione complessa?
È molto più facile manipolare le antiparticelle—antiprotoni e positroni—perché sono dotate di carica. Ma gli atomi non hanno carica elettrica, sono neutri. Però si può sfruttare il loro momento magnetico, e allora si possono intrappolare o convogliare grazie all’azione di campi magnetici non uniformi.

Che non è scontato.
Infatti oggi siamo in grado di farlo solo al CERN, non potremmo mai farcela in un laboratorio più semplice. Tutto sta nell’utilizzare i campi magnetici per creare fasci di anti-idrogeno, farli viaggiare nel vuoto fino a una zona lontana dalle interferenze. Così possiamo fare misure sempre più precise.

Cosa volete misurare?
Vogliamo utilizzare la spettroscopia a microonde per analizzare due livelli energetici dell’anti-idrogeno. Cioè, vogliamo vedere se la differenza che c’è tra un livello e l’altro è la stessa che troviamo nella controparte, gli atomi di idrogeno.

Materia contro antimateria.
Se trovassimo una differenza anche piccola, sarebbe un risultato molto importante. A quel punto, dovremmo rivedere i presupposti che sono alla base della teoria che descrive le interazioni delle particelle.

E come si fa a capire se abbiamo sbagliato tutto?
La teoria prevede che tra materia e antimateria esista un certo tipo di simmetria, una simmetria relativamente semplice che dice che la massa di particelle e corrispondenti antiparticelle è di valore eguale, e che anche gli spettri atomici sono identici. In realtà, non ne abbiamo la certezza. Ma in natura non esistono certezze a priori: per sapere se una legge è valida, dobbiamo essere in grado di verificarla, di metterla alla prova.

Ci cambierà la vita?
Non siamo ancora in grado di fare previsioni sulle possibili ricadute di questa scoperta. Quando si fa ricerca di base, molto spesso non si ha idea di quali siano le sue potenziali applicazioni. È come entrare in un campo ignoto. È solo dopo che lo hai esplorato che intravedi qualcosa che può rivelarsi utile a fini applicativi.

L’antimateria non ci deluderà.
Le scoperte che mettono in discussione i nostri fondamenti scientifici e culturali hanno sempre portato a una rivoluzione nella società. E poi, la ricerca di base è un investimento per il futuro. Bisogna solo aspettare.