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Bluvertigo: se nasci zero resti zero

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Prima si parlava di mercato: qual è la vostra reazione di fronte a un’accusa di “commercialità”? La risposta è in una frase illuminante di Robert Fripp: “non esiste disco che non sia commerciale”. In pratica, qualsiasi musica che venga posta in vendita ha tra i suoi obiettivi quello di essere acquistata, e dunque la categoria oltretutto discriminante della “musica commerciale” non ha ragione di esistere.

(Federico Guglielmi vs Morgan -1998)

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Poco tempo fa, in questo articolo, parlavamo delle band che pur di non sciogliersi sfidano l’evidenza che è tutto finito. Ce ne sono altre che invece si ibernano, poi all’improvviso saltano fuori come se niente fosse. Come i Bluvertigo che,( forse sfruttando le ceneri di popolarità di Morgan) lanciano nuovo album e nuovo tour, col singolo già spiattellato al concertone del primo maggio. Insomma, ritorno in grande stile, ma ce n’era davvero bisogno? E soprattutto: è vero che sono stati il gruppo più innovativo d’Italia? A queste domande rispondiamo analizzando i due poli della Trilogia Chimica (per chi non lo sapesse i Bluvertigo hanno pubblicato solo tre dischi) e un pò meno il centrale Metallo Non Metallo per ovvie ragioni di massificazione. Acidi E Basi e Zero sono invece gli estremi delle due anime della band, che in fondo non si sono mai incontrati del tutto.

Introdurrei i Bluvertigo con un’esperienza personale. Nel 1994, stravaccato sul divano e abbastanza scojonato, mi guardo Sanremo Giovani per capire l’aria che tira. Ovviamente si raschia il fondo del barile, con un Pippo Baudo fin troppo scojonato pure lui. A un certo punto però gli si illuminano gli occhi e presenta questo gruppo improbabile, con un bassista capellone e un biondino androgino con in mano un Wind Synth (non se ne accorgerà nessuno, tanto che io pensavo ballasse tipo Repetto negli 883). Il chitarrista, invece, appare solo all’inizio del pezzo e sembra un clone di Sakamoto. Parte sto brano che dapprima sembra un outtake di Giovani Jovanotti (flow compreso) poi c’ha il ritornello “cattivo”, almeno nelle intenzioni poiché le compressioni Rai appiattiscono tutto. Il testo parla di odio e di cose abbastanza futili diciamo… Incazzarsi perché tocca per forza donare le rose? Mah… Alla fine dell’esibizione mi sentii molto depresso: voglio dire, parlare di odio a Sanremo è come sparare alla croce rossa, i Bluvertigo mi sembravano un gruppo che calava così, dall’alto, con l’intenzione di fare i duri perché era la moda (il grunge permeava oramai il mondo). La cosa che mi interessò di più di quella esibizione fu l’inizio, in cui non funziona un cazzo e parte il ronzio della massa. Giustamente Pippo sottolinea che è coerente al progetto che viene presentato appunto come “sperimentale”. Fu profetico, come vedremo più avanti.

In effetti c’era del buono in quei quattro fomentati, ed era il chitarrista, Pancaldi. Le sue tessiture erano degne di Fripp e di Parisini dei Disciplinatha, noise virato alla musica leggera. le sue chitarre modificate trasformavano un brano debole in qualcosa di interessante, in pratica rovinava tutto, in senso buono e con genuino germe nichilista. È lui l’acido del primo album, Acidi e Basi. Le basi sono invece tendenti al crossover, genere all’ epoca in auge per i vari Faith No More e RHCP, e in Italia coi Sistema Informativo Massificato e addirittura i Tiromancino, che all’epoca sembravano aspirare al titolo di Jane’s Addiction de noantri. Insomma i Bluvertigo non facevano cose troppo diverse da quello che accadeva nel giro underground italico, soprattutto quello di provincia. Sapevano però il fatto loro ed erano determinati ad essere star. Non solo: la loro esposizione mediatica aprì la strada ad altre band di crossover che tenteranno pure loro la via di Sanremo, all’epoca parevano tutti impazziti per dare l’ano a qualche major.

L’album destò comunque interesse, perché non si capiva dove volessero andare a parare. Ce fanno o ce sono? Il quesito prendeva anche gente che ascoltava i God Machine o i Primus. I riferimenti dei Bluvertigo erano infatti altrove: Depeche Modei Duran Duran, gli anni Ottanta non proprio radicali. Anzi, le citazioni dei Duran periodo Cuccurullo sono fin troppo evidenti (“Decadenza” addirittura scippa il titolo a un loro disco), e c’è una cover in italiano dei Depeche (“Complicità”). I testi invece erano deliri di Morgan, volutamente fra il cervellotico e la terza elementare, da secchione che pur nell’ironia se la crede “na ciaifra”. Nonostante lo sforzo per apparire “free” e non costruiti non si può dire che sia un disco alternativo quanto, questo si, un disco pop “diverso”. Un po’ come nella successiva generazione nu metal: cattivi fuori ma pezzi di pane dentro, contro il sistema ma anche compiaciuti di esserne immersi fino al collo, che del resto è il bello del rock.

L’impressione, infatti, che i Bluvertigo avessero un passato poco chiaro con ambizioni da “idol” viene presto a galla: nel 1989 era uscito l’unico disco dei Golden Age, addirittura su Polygram. Trattasi della prima band di Andy e Morgan, synthpop fuori tempo massimo. Più che altro sembrava una copia di Music For The Masses con tanto di microplagi sfacciati a “Strangelove” e ospiti ingombranti (il batterista dei Tears for Fears). L’unico problema è che i loro maestri sono già a Violator, quindi anni luce avanti, giocoforza l’ensemble si scioglierà immediatamente. Nei video si atteggiavano talmente tanto da anticipare quell’estetica di superficie tipica delle boy band che verranno. Come per i Take That, gli arrangiamenti sono curati ma di plastica: ci sono chitarroni, ma sempre dal sapore New Kids On The Block, presettoni dell’M1 e violinazzi. Tutto questo rotola in seguito nel nuovo corso, aggiungendoci quel sapore di droga e trasgressione che all’epoca andava forte (Dave Gahan si faceva di brutto e Morgan aveva i suoi stessi capelli).

Ad ogni modo, questa ambiguità di fondo farà proseliti, tant’è che nel 1997 i Bluvertigo esplodono: con Metallo Non Metallo vanno agli MTV Europe Music Awards e vendono 400.000 copie. L’opera è una sterzata: più vicina all’esordio dei Golden Age, ha dentro un sacco di scippi anni ottanta appena induriti. Ma nel recupero i Blur e i Pulp in Inghilterra hanno già detto tutto ( “Fuori Dal tempo” sembra un plagio di “Girls & Boys”), impazza la roba tipo Prodigy e quindi vai con una batteria semi-jungle, pigliamo il giro di “Behind The Wheel” e creiamo “Altre forme Di Vita”, citiamo i Japan, va l’industrial rock quindi sì ai primi NIN che sono più pop, “Cieli Neri” facciamolo con la canzone di Kaa del Libro Della Giungla (altro che i King Crimson). Nel frattempo Pancaldi se n’è andato lasciando sul disco solo un paio di svise della sua chitarra malata. Al suo posto il fonico della band, Livio Magnini, che per quanto bravo è più funzionale ai pezzi che altro, scritti per raggiungere più gusti e persone possibili. Parafrasando “Il Nucleo”, questo disco sta nel mezzo e quindi “non prende decisioni“. La forza del suo successo sta tutta qua, in una bolla di passato lucidata e attualizzata mentre, fortunatamente, l’ultimo atto della trilogia sarà una presa di posizione chiara.

Se infatti è vero che Metallo… ha venduto un sacco, è anche vero che, a livello di scrittura e concept, i Soerba (prodotti proprio da Morgan), gli davano una pista. Ma loro erano technopop fuori e destrutturati dentro, il contrario dei Bluvertigo: la frizione filosofia/pop funzionava meglio. Eh si perché una delle fisse di Morgan è il flusso di coscienza che però si arrotola in se stesso e non buca come un Battiato, suo punto di riferimento. Con lui collaborerà in Gommalacca, il disco forse più “attuale” di Franco, facendo un ottimo lavoro al basso e recuperando Pancaldi alla chitarra. Forte di questa e altre liason (ricordiamo Juri Camisasca), Morgan torna in studio con l’idea di non rinnegare le proprie radici ma di filtrarle attraverso il rumore elettronico, così da omogeneizzare le spinte della band. L’idea è buona, l’ispiratore è Alva Noto, la Mego e compagnia bella: il computer trionfa fino a sostituire gli ampli. Al di là di questi esperimenti, il formato canzone purtroppo rimane, e lo spirito iniziale si perde. I testi sono delle seghe mentali a fiume, tanto pesanti da rincoglionire l’ascoltatore. Ci regala però delle perle, tipo il geniale verso “Il Cattivo Tenente si trova da blockbuster” che nel suo cortocircuito è tutto .

Musicalmente il tentativo di darci il nuovo Tango italiano riesce a metà, sembrano più che altro concentrati a superare i Depeche a destra e infatti certi suoni anticipano Sounds Of The Universe e Delta Machine, che non è proprio il massimo. Ma, vuoi o non vuoi, Zero ha dei momenti storti e math tipo “Sono=Sono” in cui c’è una flessione di tono assolutamente straniata, o l’intro alla COH di “Niente Per scontato”, o “Numero” con Carlo Carcano, che scomoda Fibonacci . L’unico problema è che i Duran stanno sempre in mezzo al cazzo e con loro Bowie, di cui è presente una cover dichiarata e molte nascoste. Forse “La Crisi” è il risultato migliore, fra passato e futuro italiano (si sente aria dei Pooh nel riff, soprattutto dal periodo elettronico di Asia Non Asia). Il paradossale pregio di Zero è di essere troppo ambizioso, quasi da Dari intellettuali, “gente che ha letto tanti libri da non capirci un cazzo“, per citare Calcutta. Rimane l’amaro in bocca per le outtake, da doppio album: leggenda dice siano molto più estreme. Dopo Zero, che è probabilmente il loro unico vero disco, i nostri si prendono una pausa e…. Sanremo. Tornano su quel palco da big, nel 2001, con l’ultimo guizzo autoriale “L’Assenzio”, fra i loro brani più sofferti e riusciti (infatti arriverà al sedicesimo posto, l’ultimo). Poi Morgan sceglie il suo ego e scioglie la band.

Quindi che dire: come testimonia il grande interessamento per loro da parte delle vecchie glorie , più che innovatori sono loro cloni “rinnovati”. In mezzo a gruppi come Starfuckers, Mumble Rumble, Massimo Volume, e roba simile dove vai? Poi Morgan ha iniziato il declino che lo ha portato a fare X-Factor. Finalmente, però, pochi giorni fa ha sbroccato durante una conferenza stampa, dicendo che i talent sono una merda. Fino ad ora c’ha campato, o davvero non lo hanno pagato? Non ha importanza: da ora nella band è tornato pure Pancaldi. Anche se Morgan non regge i 90 minuti e pare un matto, sti gran cazzi: “Non si dà niente per scontato.

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