Attualità

Italiani che vivono in Ungheria parlano di Orbán e dei suoi ‘pieni poteri’

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Quando nel 2013 sono finito a vivere a Budapest un po’ per caso, Viktor Orbán era al governo da tre anni, senza contare i quattro come primo ministro dal 1998 al 2002. E già all’epoca lavorava nella creazione di quella che lui stesso ha definito una “democrazia illiberale,” che oggi si è definitivamente consolidata.

Abile come suo solito nel cavalcare una crisi internazionale con opportunismo, con la scusa della pandemia di coronavirus il 30 marzo Orbán si è fatto attribuire dal Parlamento ungherese i “pieni poteri” senza limiti temporali: potrà anche abrogare leggi già votate in precedenza, mentre non potranno tenersi elezioni finché queste misure resteranno in vigore. Un’altra legge presente nel pacchetto prevede la detenzione da uno a cinque anni per chi diffonde notizie false od ostacola gli sforzi delle autorità nel controllare la pandemia, ma la formula vaga permette di applicare questa legge arbitrariamente.

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La risposta dell’Unione Europa è stata anche questa volta così timida e inefficace che Orbán l’ha pure sadicamente trollata: il primo aprile aprile 13 stati europei hanno fatto una velatissima dichiarazione congiunta che condannava Budapest senza mai nominarla, sottoscritta dallo stesso governo ungherese.

La recente svolta, ovviamente, non nasce dal nulla. In questi sette anni varie persone che mi circondano si sono trovate coinvolte, loro malgrado, nelle battaglie ideologiche ungheresi. Nel 2014, per via di pressioni dall’alto, il più popolare e autorevole giornale ungherese online (Origo) è stato trasformato in un megafono del governo; gran parte della redazione si è licenziata, tra questi un giornalista che faceva parte del mio giro di amicizie.

Non troppo tempo dopo, la polizia ha fatto un blitz intimidatorio nella sede di una ONG dove lavorava un’amica: la società civile era diventata il nuovo nemico pubblico. L’università dove lavora la mia compagna, la Central European University, è stata invece costretta dal governo a chiudere e per questo dovrà trasferirsi a Vienna. Malgrado alcune facoltà siano nella top 50 mondiale, l’ateneo ha la colpa di essere finanziato da George Soros (cosa che non ha impedito a vari esponenti di spicco del governo di studiarci da giovani e riceverne una borsa di studio, incluso lo stesso Orbán).

Certi giorni trovo davvero stancante vivere in un paese dove la verità granitica sta nelle mani del governo, e chi non la pensa allo stesso modo è considerato un nemico della nazione. Altri invece mi dico che forse sono io troppo impressionabile.

Curioso di capire se sono l’unico a viverla così, ho chiesto ad altri italiani a Budapest di condividere con me le loro riflessioni sull’attuale situazione politica ungherese.

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Aron. Tutte le foto per gentile concessione degli intervistati.

ARON, LAVORATORE NEL SETTORE TURISTICO E GESTORE DI UN PORTALE IN ITALIANO SULL’ATTUALITÀ UNGHERESE

Sono nato e cresciuto in Friuli ma abito a Budapest da cinque anni, mia madre è ungherese. Tra gli italiani, solitamente sono gli studenti e in parte i dipendenti delle multinazionali a preoccuparsi per l’attualità. Gli imprenditori, grazie a tassazioni molto agevolate, sono solitamente soddisfatti col governo.

In Ungheria metà del paese non s’interessa di politica o non ne parla volentieri. È anche comprensibile, visto che nel Novecento si sono susseguiti prima un regime autoritario di destra e poi una dittatura comunista. L’altra metà è divisa in due tribù, pro e contro Orbán. Nessuna delle due accetta critiche, tutto è bianco o nero e il dialogo è impensabile.

L’Ungheria è diventata un caso internazionale ultimamente, anche se le cose non sono peggiorate ieri: qui il processo di erosione graduale ma costante della democrazia liberale è in atto da anni. Il consenso di Orbán è anche comprensibile, negli ultimi dieci anni la situazione economica è migliorata molto, si vive meglio, e nel bene e nel male un paese che contava poco si è preso il suo spazio.

La situazione politica non ha per ora un grande impatto nella mia vita, anche se sono preoccupato per il futuro: in uno stato autoritario manca il ricambio quando serve, e chi sta al potere per tanto tempo non lo lascia mai volentieri.

EVELINA, DIPENDENTE DI UNA MULTINAZIONALE E DI UNA STARTUP

Prima di trasferirmi a Budapest lavoravo per gli uffici turistici del Comune di Roma, pagata coi voucher. Una mia amica viveva in Ungheria da alcuni anni trovandosi molto bene, e lì è davvero comune che dopo tre mesi di prova ti facciano un contratto a tempo indeterminato. Ho quindi deciso di fare un tentativo anche io.

Dell’Ungheria sapevo che era abbastanza sbilanciata a destra, ma non pensavo che ciò influisse sulla vita quotidiana. Mi sbagliavo: sono stata testimone di vari episodi spiacevoli.

Ricordo che un giorno, dentro un supermercato, un tizio aveva iniziato dal nulla a gridare “Go back to Africa!” a una ragazza Erasmus inglese nera, senza nessun motivo. Mentre un mio collega della Guyana di madre ungherese mi raccontava degli insulti razzisti che riceveva costantemente, visto che pensavano che non capisse.

Ciò che mi ha stupito è che in Ungheria certi discorsi reazionari e nazionalisti arrivano anche da persone impensabili che hanno studiato, viaggiato e addirittura vissuto all’estero. Ho sentito spesso dei colleghi dire frasi come “ha ragione Orbán perché ci sono i musulmani alle porte che ci vogliono invadere”, come se stessimo a parlare dell’invasione ottomana del Cinquecento.

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Nicola.

NICOLA, MANAGER IN UNA MULTINAZIONALE

Quando sono arrivato a Budapest non sapevo granché della situazione politica, l’Ungheria al tempo non faceva notizia. Visto che non parlo l’ungherese provo a farmi un’opinione ascoltando pareri diversi. Tramite amicizie ungheresi ho conosciuto persone vicine al partito di Orbán, Fidesz, alcune con incarichi al suo interno.

A dir la verità i loro discorsi erano abbastanza banali, dal qualunquismo di “chi c’era prima rubava”, alla propaganda del “gli attentati capitano a Parigi o Bruxelles perché lì ci sono gli arabi.”

Va detto però che la stampa italiana scrive dell’Ungheria spesso in modo sensazionalista e con molti preconcetti. Durante la crisi dei migranti ho notato che misure simili a quelle ungheresi, se implementate da altri stati [come la chiusura della “rotta balcanica” sia nel 2015 che all’inizio del 2020, decisa anche da paesi come la Grecia], non suscitavano tutto questo scandalo.

Riguardo i pieni poteri, non credo che Orbán li utilizzerà per instaurare una dittatura, anche se non mi stupirei se li tenesse il più a lungo possibile, fino a quando ci sarà anche un solo paziente infetto [A distanza di quattro anni nel paese magiaro sono ancora in vigore delle misure d’emergenza prese nel 2016 durante la crisi migratoria. Oltre a criminalizzare ancora adesso l’ingresso nel paese per i rifugiati, i membri delle associazioni umanitarie che li assistono possono rischiare pene detentive fino a dieci anni.]

È un modo per strumentalizzare l’emergenza e massimizzare il consenso. Alla fine potrà dire che il coronavirus l’ha sconfitto da solo.

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Virginia.

VIRGINIA, INSEGNANTE DI STORIA DELL’ARTE E GUIDA TURISTICA

“Quando mi sono trasferita da Palermo, quattro anni fa, mi sono documentata molto per capire le ragioni dietro il consenso di Orbán. Secondo me è in gran parte riconducibile al successo economico dell’Ungheria degli ultimi anni, che rende secondarie agli occhi dei cittadini ungheresi le misure più controverse, ad esempio quelle sui diritti civili.

La mia idea di società è distante anni luce da quella di Fidesz, per questo mi spiace quando sento determinate notizie, sempre legate a un controllo di troppo sulla libertà di espressione. Non è ciò che mi aspetterei da uno stato europeo, perlomeno come lo immagino io. In più le ultime misure un po’ mi preoccupano.

Qui a Budapest mi sono sempre sentita a casa, ma se Orbán decidesse di mantenere i poteri a tempo indeterminato non so come reagirei. Vorrei che i trasferimenti nella mia vita avvenissero per scelta di vita o perché cerco nuove sfide, non per ragioni politiche. In più non saprei dove andare, attualmente in Europa lo scenario non è dei più rosei, e altrove le cose potrebbero non essere migliori.

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