Se chiedi cos’è la ketamina, a seconda della persona che hai davanti la risposta sarà “un potente anestetico usato anche come droga” o “una droga che in realtà è un potente anestetico.” C’è anche la versione del “sedativo per cavalli”, ma la verità è che, principalmente, la ketamina è un farmaco nella lista delle “core medicines” [ farmaci essenziali] dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e, fin dagli anni Settanta, viene somministrata come anestetico dissociativo.
Negli ultimi anni, comunque, si stanno portando avanti diversi studi sull’utilizzo della ketamina come antidepressivo: questo perché la ketamina in quantità sub-anestetiche agisce molto più rapidamente rispetto agli psicofarmaci tradizionali. Se, infatti, questi ultimi colpiscono i recettori della serotonina, la ketamina influenza i livelli del neurotrasmettitore glutammato, agendo, sembrerebbe, nel giro di poche ore e non di settimane.
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Non solo: la ketamina, grazie a synaptozip—una tecnica innovativa sviluppata in un laboratorio di ricerca italiano—potrebbe permettere di capire i percorsi sinaptici che stanno dietro alla depressione e, dunque, ampliare la conoscenza del meccanismo di funzionamento degli antidepressivi. Ho intervistato Mattia Ferro, PhD in fisiologia all’Università di Milano e ricercatore all’Università San Raffaele, dove fa parte del team che recentemente ha sintetizzato il synaptozip.
VICE: La ketamina è una sostanza di cui solo ora stiamo studiando le sfaccettature: è studiata come alternativa ai normali antidepressivi, per esempio—come funziona?
Mattia Ferro: Gli antidepressivi ci mettono tanto tempo a fare effetto: ci possono volere fino a quattro settimane per inibire lo smaltimento della serotonina nella sinapsi; un altro problema è che alle volte questi farmaci restituiscono prima un benessere fisico, e in un secondo momento un benessere psicologico. Questo può causare dei cortocircuiti: nel peggiore dei casi, una persona depressa che ha trovato la forza di alzarsi in piedi può arrivare a gesti estremi.
A un certo punto però i ricercatori hanno scoperto che un solo shot di ketamina in dosi sub-anestetiche dopo un’ora e mezzo procura un marcato effetto antidepressivo che perdura nel tempo. Questa è la cosa strana: l’effetto antidepressivo può durare per settimane dopo la somministrazione. L’altra cosa strana è che la ketamina se presa in dosi anestetiche o “da rave” inibisce i recettori del glutammato (il principale neurotrasmettitore eccitatorio del cervello) con un effetto “down”, mentre le dosi antidepressive, sub-anestetiche hanno un effetto “up” totalmente contro intuitivo—oltre a essere inconcepibili per un rave.
I vostri studi si concentrano proprio sul capire il perché e il come la ketamina può avere questo effetto antidepressivo. Come si conduce una ricerca di questo tipo?
Nel nostro laboratorio abbiamo sintetizzato synaptozip partendo da una molecola che normalmente risiede nelle vescicole sinaptiche. Questa nuova tecnica permette di visualizzare l’attività sinaptica a livello della singola sinapsi: quando la sinapsi è attiva emette un particolare tipo di fluorescenza. Questo effetto fluo ci permette di avere una panoramica sulla plasticità cerebrale, ovvero tutte le trasformazioni delle sinapsi che derivano da attività come l’apprendimento e la formazione dei ricordi.
Abbiamo poi utilizzato la tecnica synaptozip per vedere gli effetti della ketamina sull’attività sinaptica della corteccia prefrontale, la parte più evoluta del nostro cervello nonché quella che sottende al “decision making” e a tutte le funzioni esecutive: monitorare le situazioni, prendere decisioni, valutare.
Guarda il nostro documentario su ketamina e depressione:
E la ketamina in che modo influenza l’attività cerebrale?
La corteccia prefrontale sembra essere la più implicata nei disturbi psichiatrici. Abbiamo visto che dopo un’ora e mezzo dalla somministrazione di ketamina ai ratti a dosi sub-anestetiche, aumentava l’attività sinaptica—ma la cosa straordinaria è che anche dopo tre giorni dalla somministrazione l’attività rimaneva elevata. Calcola che la ketamina rimane in circolo per tre-quattro ore—è quindi probabile che la ketamina non produca solo effetti antidepressivi, ma che sia in grado di innescare fenomeni di plasticità e di cambiamenti strutturali dei percorsi sinaptici. Gli effetti antidepressivi potrebbero essere proprio una conseguenza di ciò, quanto abbiamo visto finora conferma questa ipotesi.
Ma se tutto dipende dalle sinapsi, vuol dire che i farmaci sono le uniche soluzioni possibili ai disturbi psichiatrici?
Anni fa Lamberto Maffei, neurobiologo e passato presidente dell’accademia dei Lincei, nel corso di alcune ricerche sulla vista vide che la fluoxetina (il Prozac, per intenderci) fa riaprire delle finestre di plasticità nella corteccia visiva. Quello che voglio dire è che l’idea che gli psicofarmaci agiscano cambiandoti un po’ le connessioni sinaptiche è accettata scientificamente.
Per rispondere alla tua domanda, comunque, probabilmente ci sono anche modi di riaprire strutture sinaptiche che non passano per la via farmacologica: la psicoterapia, lo yoga, lo sport—alcune di queste cose sono anche state provate dalle neuroscienze. Per esempio sappiamo che l’attività fisica può produrre fattori neurotrofici come il BNDF o l’NGF, che modulano le connessioni sinaptiche. Tutto ciò che è farmacologia è però ovviamente più “facile”, anche perché un problema può essere che una persona in pieno episodio di depressione maggiore potrebbe non riuscire a fare tutte quelle cose buone per sé.
Gli psicofarmaci, come tutti sanno, hanno anche una lunga serie di effetti collaterali—quali sono gli effetti collaterali della ketamina usata in dosi subanestetiche?
Purtroppo [ nella sperimentazione] non abbiamo modo di osservare i cambiamenti sul lungo periodo perché una volta somministrato lo shot e “illuminata” l’area di attivazione dobbiamo prelevare il cervello per sezionarlo e studiarlo ex-vivo. C’è da dire che anche con dosi minime il ratto presenta un’attività motoria leggermente più incerta. Gli effetti collaterali ci sono e ci saranno, per esempio per ora anche le dosi “antidepressive” sballano un po’. Quindi da un lato bisogna ancora fare miglioramenti, dall’altro bisogna capire bene su cosa agisce la ketamina a livello molecolare per sostituirla con una altro farmaco che non presenti side effects. Anche perché correre il rischio di fare insorgere psicosi nel paziente depresso non è il massimo.
Ci sono altre sostanze tradizionalmente considerate droghe che sono ora al vaglio della comunità scientifica per un possibile utilizzo come farmaci?
Il dialogo tra sostanze stupefacenti e farmaci esiste da sempre: è la dose che fa il farmaco o la droga d’abuso. Il Prozac, per dirne uno, non agisce in modo molto dissimile dall’MDMA, la differenza sta nel dosaggio. E infatti ultimamente so che hanno cercato di usare l’MDMA per curare ansia, depressione e disturbo da stress post-traumatico. Diciamo che può succedere che le droghe in laboratorio diventino farmaci, e viceversa gli psicofarmaci in mano a persone che non le sanno gestire possono diventare droghe d’abuso.
Noi ci conosciamo da anni, e prima di appassionarti a psicologia e neuroscienze mi ricordo che frequentavi i rave—secondo te anche l’uso ricreativo delle sostanze può aiutare a cambiare la percezione del mondo di una persona?
Sai, uno è abituato ad avere una certa percezione della realtà da quando nasce, poi questa percezione può cambiare: cambia quando sei innamorato, quando sei felice, quando sei triste. Cambia molto quando ti droghi. Sono esperienze di scoperta molto affascinanti da studiare. Ma ricordiamoci che le droghe [ usate a scopo ricreativo] fanno male.
Prima di iniziare a studiarla, avevi mai pensato che la ketamina avrebbe potuto permettere di aprire esplorazioni scientifiche di questo tipo?
Non proprio, la ketamina è davvero poco affascinante: la gente non sta in piedi, in quelle dosi funge da anestetico e ha un effetto soprattutto dissociativo. Francamente, tra tutte le droghe, la trovavo molto abbrutente.