In questo momento, chi cerca tracce di vita extraterrestre si concentra sui pianeti in orbita nelle zone abitabili intorno alle stelle, lì dove potrebbe esistere acqua in forma liquida. Tuttavia, una ricercatrice ha proposto un’alternativa piuttosto sbalorditiva: e se le civiltà aliene avessero imparato ad attraversare distanze interstellari usando pianeti che vagabondano per lo spazio? In tal caso, come potremmo riuscire a individuarle?
L’idea degli “autostoppisti cosmici” è frutto dell’ingegno di Irina Romanovskaya, professoressa di fisica e astronomia presso lo Houston Community College. Nello studio pubblicato ad aprile 2022 sull’International Journal of Astrobiology spiega come “le civiltà extraterrestri potrebbero trasferirsi dal loro pianeta natale verso i pianeti vaganti, per poi traslocare in altri sistemi planetari.”
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“Quasi 10 anni fa, quando ho scoperto dell’esistenza di questo tipo di pianeti vaganti, ho ipotizzato uno scenario in cui uno di questi corpi celesti si avvicina al sistema solare,” specifica Romanovskaya via email. “In fondo non ci sono semafori nella galassia, se il sistema solare è su una certa traiettoria, viene semplicemente attraversato. La probabilità che accada dipende da quanti pianeti di questa tipologia esistono nella galassia, cosa che ai tempi doveva ancora essere quantificata.”
Oggi si stima che decine di miliardi di pianeti siano stati catapultati fuori dai loro sistemi stellari nativi a causa di scontri gravitazionali con altri oggetti, dando vita a una sorta di popolazione nascosta—difficile da individuare visto che manca la luce stellare in grado di illuminarla—, composta da pianeti senza alcun legame che se ne vanno a zonzo per la Via Lattea, detti anche interstellari o erranti. “Ciò aumenta le probabilità che una qualche avanzata civiltà extraterrestre, se esiste, possa scroccare un passaggio,” sottolinea Romanovskaya. “Che è il motivo per cui ho ribattezzato questa ipotetica civiltà come quella degli autostoppisti cosmici.”
Benché questo tipo di pianeti non possa beneficiare dell’energia vitale delle stelle, Romanovskaya specifica che possono comunque risultare abitabili, soprattutto se contengono quel tipo di oceani sotterranei che si sospetta esistano anche in alcuni corpi celesti del nostro stesso sistema solare. Se considerati come vascelli interstellari offrono poi molti vantaggi, a maggior ragione quando vengono paragonati ai veicoli spaziali tradizionalmente intesi—“le astronavi-arca” create artificialmente con la tecnologia e costruite per ospitare diverse generazioni di una popolazione—, che necessitano di un lavoro meticoloso e impegnativo.
Al contrario, i pianeti vaganti sono già provvisti delle loro risorse, che potenzialmente possono già comprendere l’acqua o minerali preziosi in grado di facilitare i lunghi viaggi nello spazio. Gli habitat naturali, inoltre, possono fornire uno scudo efficace contro le radiazioni, mentre la trazione gravitazionale nativa permetterebbe di evitare il ricorso a un sistema gravitazionale artificiale.
Romanovskaya suggerisce anche che una specie aliena dotata d’intelligenza potrebbe sfruttare diversi scenari per scroccare un passaggio a uno di questi pianeti. In effetti, nonostante lo spazio sia gigantesco e le distanze interstellari immense, non è poi così improbabile che stelle e pianeti abbiano incontri ravvicinati tali da permettere questo “salto.” Qualora la civiltà in questione, magari in un sistema stellare che si avvia al declino, sapesse dell’avvicinamento di un pianeta, potrebbe pianificare per tempo la fuga da una morte inevitabile.
Ipotizzando uno scenario ancora più fantasioso, Romanovskaya immagina una specie extraterrestre in grado di attendere appositamente la morte della stella madre allo scopo di posizionarsi su qualche lontano pianeta del proprio sistema e sfruttare poi i venti stellari provenienti dalla dipartita della stella per essere catapultata nella galassia. Oppure, questa specie potrebbe sempre migrare nei bordi esterni del proprio sistema stellare, lì dove i legami gravitazionali sono più deboli, per trovare un modo per scagliare artificialmente un corpo planetario. Con queste modalità, quindi, gli autostoppisti cosmici potrebbero utilizzare un pianeta vagante proveniente dal sistema stellare originario.
Si tratta di esperimenti concettuali molto allettanti, ma Romanovskaya mette sul piatto anche degli strumenti pratici con cui cercare forme d’intelligenza aliena che potrebbero essersi messe in viaggio in questo modo. In particolare, spinge a cercare segni d’insolite radiazioni elettromagnetiche intorno ai pianeti vaganti, segni che potrebbero indicare la presenza di attività artificiale. In più, una specie che ha padroneggiato questa tecnica di viaggio potrebbe lasciare marcatori tecnologici in tutta la galassia, fornendo così potenzialmente una scia di briciole individuabili dalla Terra.
Romanovskaya specifica che il telescopio spaziale James Webb, lanciato di recente, può cogliere le radiazioni infrarosse emesse da un pianeta vagante riadattato in astronave, senza contare che le sonde senza pilota potrebbero contribuire alla ricerca. “La NASA ha già mandato diverse sonde verso il limite del sistema solare, e anche oltre,” racconta. “Forse, in un futuro non troppo lontano, una nostra astronave potrebbe essere inviata nelle regioni più remote del nostro sistema planetario allo scopo di studiare i pianeti vaganti.”
Romanovskaya avanza anche l’ipotesi che i pianeti vaganti utilizzati in precedenza per il viaggio interstellare possano essere stati scaricati nello spazio, per poi essere catturati dai confini remoti di un altro sistema stellare—magari proprio il nostro. In questo scenario, un pianeta già usato e colmo di artefatti alieni potrebbe essere in attesa di una forma di vita come la nostra, negli oscuri e distanti recessi del sistema solare.
Inoltre, Romanovskaya suggerisce che qualche pianeta a noi vicino potrebbe conservare le tracce di alieni passati nel nostro sistema in passato, magari nelle distese inaridite di Marte. In ultimo, bisogna considerare un altro aspetto: anche la specie umana è “aliena.” E un giorno potremmo voler scroccare un passaggio a qualche pianeta di passaggio.
“Se la specie umana vivrà abbastanza, allora potremo osservare l’invecchiamento e la morte del Sole. O potremmo dover scontrarci con altri tipi di minacce,” specifica Romanovskaya. “A quel punto, capire come scappare diventerà un problema piuttosto concreto. Oppure, frange della popolazione umana potrebbero decidere di trasferirsi in un altro sistema planetario, allo scopo di espandere la civiltà nel resto della galassia. Oppure, ancora, potremmo sfruttare un pianeta vagante per spostare grandi quantitativi di tecnologia ed esplorare le stelle e lo spazio interstellare.”
“Qualsiasi sia lo scenario, l’umanità potrebbe utilizzare i pianeti vaganti come trasporti interstellari,” conclude. Per poi aggiungere che non troppo tempo fa sfruttavamo i cavalli come mezzi di trasporto, e che secondo lei l’umanità avrà modo di sviluppare mezzi di propulsione abbastanza potenti da muovere queste navi-pianeta, in futuro.