Quello del narcotraffico è con ogni probabilità il mercato più globale al mondo. Dai cosiddetti “narco-stati” per arrivare ai paesi più avanzati, nessuno può dirsi escluso dal fenomeno e da tutto ciò che questo comporta.
Come aveva osservato nel 2011 la Commissione globale per le politiche sulle droghe, del resto, il consumo annuale e “la scala globale dei mercati di droga illegale, ampiamente controllati dal crimine organizzato […] è nei fatti cresciuto in modo spettacolare.” Proprio a causa di questa crescita vertiginosa, lo scenario attuale è in costante evoluzione: le organizzazioni criminali si ramificano sempre più, Internet sta cambiando in profondità il mercato, e la destabilizzazione geopolitica di alcune aree comporta la creazione di nuove rotte e di nuove opportunità.
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L’Italia, sia per la sua posizione geografica che la presenza di organizzazioni criminali che da parecchio tempo hanno raggiunto una dimensione transnazionale, è indubbiamente uno dei paesi chiave per il narcotraffico in Europa.
Per rendersene conto basta dare un’occhiata alle cronache. Solo due settimane fa, ad esempio, a Cagliari è stata sequestrata una nave cargo da 96 metri al cui interno si trovavano 20 tonnellate di hashish, dal valore di oltre 200 milioni di euro. Per recuperare gli 821 pacchi di sostanza ci sono voluti 18 giorni, visto che questi erano occultati—con metodi abbastanza sofisticati—in tutta la nave.
Per capire di più su come effettivamente arrivano le droghe in Italia, e su chi siano i principali attori di questo mercato, abbiamo dunque parlato con i membri della Direzione centrale per i Servizi antidroga (DCSA), l’organo interforze di polizia che si occupa del contrasto al traffico nazionale e internazionale di stupefacenti.
IL RUOLO DELL’ITALIA NEL TRAFFICO DELLE DROGHE IN EUROPA
Nelle prime pagine della relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze, presentata al Parlamento nel settembre del 2015, si può leggere che l’Italia “grazie alla sua baricentrica posizione nel Mar Mediterraneo” e ai suoi 8mila chilometri di coste rappresenta “una delle principali porte d’accesso delle droghe al vecchio continente,” il quale è “ancora oggi il primo mercato mondiale di consumo dell’eroina e il secondo, dopo il Nord America, della cocaina.”
La circostanza la conferma Pino Colone, tenente colonnello della Guardia di Finanza. “L’Italia è da sempre un paese di transito degli stupefacenti in relazione alla sua evidente posizione geografica nel Mediterraneo, e ciò ne fa anche un ottimo mercato di consumo.”
A riprova di ciò, il dirigente dell’Antidroga spiega che in Italia il fenomeno dei laboratori è minimo—servono principalmente a “estrarre” la droga piazzata nei vari oggetti—e che “praticamente tutta la droga viene importata.”
“In passato abbiamo rivelato tentativi da parte di alcune organizzazioni di impiantare alcuni elaboratori più strutturati,” continua Colone. “Ma devo appunto dire che sono casi sporadici perché non appartengono alla realtà del narcotraffico italiano, e non c’è una ragione vera e propria che possa in qualche modo giustificare l’esigenza di impiantare—con tutti rischi che ne derivano—un laboratorio di trattamento di stupefacenti. Si preferisce farsi arrivare il prodotto finito.”
QUANTO VALE IL MERCATO DELLA DROGA IN ITALIA
Visto che parliamo di mercati illegali, quantificare il valore il traffico di droghe in Italia è piuttosto difficile. L’unica certezza che emerge sia dalla relazione al parlamento che dagli agenti del dipartimento antidroga, è che il volume d’affari è enorme.
Secondo il colonnello, la “cifra più attendibile” per il narcotraffico in Italia si aggira intorno ai 12 miliardi di euro all’anno—una cifra che “dà la misura ma anche la conferma che il traffico di droga è il motore delle attività criminali,” quello con cui le organizzazioni fanno il salto di qualità e moltiplicano i profitti.
Proprio per questo, specifica Colone, tenere sotto controllo il mercato degli stupefacenti equivale a controllare anche “tutte le altre attività criminose che ne stanno alle base.”
CHI PORTA LE DROGHE IN ITALIA
Tradizionalmente le mafie italiane si sono specializzate nel traffico di un determinato tipo di sostanza, soprattutto grazie all’aggancio a una rotta o all’apertura di un canale privilegiato con i paesi produttori.
Per certi versi, stando alla relazione, sembra essere ancora così. La cocaina è smerciata principalmente da ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra, organizzazioni balcaniche e sudamericane; l’eroina dalla criminalità campana e pugliese in stretto contatto con le organizzazioni albanesi e balcaniche; per i derivati della cannabis, infine, la criminalità laziale, pugliese e siciliana, insieme a gruppi maghrebini, spagnoli e albanesi.
Il cambiamento più rilevante degli ultimi anni, tuttavia, è rappresentato dal fatto che le organizzazioni criminali hanno cominciato a contrabbandare di tutto , dando vita a quelli che il dirigente dell’Antidroga definisce “politraffici,” che in quanto tali sono frutto di cooperazione tra più organizzazioni.
Oltre alle mafie italiane, spiega Colone, “abbiamo gruppi albanesi radicatissimi nel territorio che costituiscono organizzazioni in grado di muovere ingenti quantità di droga. Poi ci sono le organizzazioni nigeriane, che da 40 anni operano sul mercato italiano con modalità peculiari. Recentemente abbiamo anche registrato il traffico di stupefacenti a opera di cinesi e vietnamiti, un elemento di assoluta novità. Abbiamo pakistani che tradizionalmente trafficano in eroina, ma anche afghani. E infine, ci sono tutte le etnie sudamericane.”
E visto che si tratta di un mercato estremamente fluido e variegato, accanto a quelli più strutturati ci sono “fenomeni di organizzazioni di micro-medie dimensioni molto più vicini ai contrabbandieri che alle mafie tradizionali.” Insomma, considerare questo mondo come qualcosa di monolitico è un approccio errato.
Il caso di Roma è significativo. Come dice Colone, nella Capitale “la realtà è fatta di grandi e piccoli contrabbandieri di droga. Di gente che si vede al bar sotto casa e inizia a spacciare grazie a conoscenze di conoscenze. Mi sono capitati sotto mano anche pensionati che sono stati mandati a prendere il carico di droga in Sudamerica.”
In questo momento, tuttavia, la ‘Ndrangheta sembra il principale attore del narcotraffico in Italia—e non solo del traffico della cocaina, che è la “specialità” storica della mafia calabrese. Una recente maxi-inchiesta della procura di Reggio Calabria contro i clan Commisso e Coluccio ha infatti dimostrato come questi ultimi fossero diventati un “riferimento della mafia per il traffico di marijuana.” Nel commentare l’indagine, il procuratore aggiunto Nicola Gratteri ha dichiarato che “ora è Cosa Nostra che chiede alla ‘Ndrangheta la droga, si rifornisce dalla criminalità calabrese, che ha preso le redini di questo traffico a tutti gli effetti.”
COME VENGONO PORTATE LE DROGHE IN ITALIA
Secondo la relazione annuale dell’antidroga, nel corso del 2014 sono stati sequestrati in Italia 152 tonnellate di sostanze stupefacenti, di cui la maggior parte in Sicilia (82), seguita da Puglia (14) e Lazio (7).
Il dato interessante è che la quasi totalità dei sequestri è avvenuta nell’area di frontiera marittima. Fino al 2008, informa sempre la relazione, la maggior parte delle droghe destinate all’Italia passava per gli aeroporti, mentre ora “la frontiera marittima ha decisamente assunto un ruolo strategico determinante.”
Per il colonnello Colone, che in relazione a questa impennata di sequestri parla di “un cambio di prospettiva degli investigatori,” nelle dinamiche del narcotraffico la strategia della criminalità può “essere cambiata nella misura in cui si ha la possibilità di utilizzare ‘operatori infedeli’ che ti consentono di fare entrare la droga nel territorio nazionale. Se devo importante droga e ho, ad esempio, la possibilità di avere gente che mi garantisce l’uscita dello stupefacente, è chiaro che io invece di 50 kg ne metto 500, perché tanto so che la droga passa.”
Ma definire queste rotte come un qualcosa di cristallizzato sarebbe un errore—il narcotraffico ha una struttura complessa, ed è costituita da vari “segmenti” che partono dal paese di produzione e arrivano fino al mercato di consumo. Come dice Colone, “noi vediamo la fase finale, ma alle spalle c’è un’intera filiera. E ogni segmento del passaggio delle droghe, è un segmento che fa riferimento a strutture criminali che operano lì.”
Una novità relativamente recente è quella dell’impiego in Italia dei cosiddetti “narcovoli“—velivoli ultraleggeri che Pablo Escobar e i cartelli colombiani usavano tra gli anni Settanta e Ottanta. Questa estate, infatti, è emerso che un’organizzazione formata da italiani e albanesi tentava di portare grossi carichi di marijuana dall’Albania con questo metodo. “Non è diffusa come tecnica,” spiega Alessandra Ortenzi della DCSA, “ma comunque con l’aereo si fa un carico più grande, si fatica di meno e [i velivoli] sono difficilmente rintracciabili, perché non hanno problemi di atterraggio e non devono passare per gli aeroporti.”
IL TRAFFICO DI COCAINA
Nonostante ne sia stato registrato un calo nell’uso, la cocaina rimane la sostanza illecita—dopo la cannabis—più diffusa, e si stima che quasi tre milioni di italiani l’abbiano usata almeno una volta nella vita. Ed è chiaro che, di fronte a una domanda di questo tipo, le organizzazioni criminali prediligono concentrarsi sul traffico di questa sostanza.
Stando alla relazione, la cocaina arriva in tutti i modi possibili: via terra percorrendo la rotta balcanica; e naturalmente per la via aerea, dove continua a essere la sostanza più sequestrata agli aeroporti di Malpensa e Fiumicino. Ma le scene alla Blow—cioè corrieri che mettono le buste in un doppiofondo, sfoderano un sorriso al check-in e si imbarcano sull’aereo—sono sempre meno ricorrenti, visto che oggi la maggior parte della cocaina che arriva in Italia passa per la via marittima.
Questo è dovuto principalmente a due motivi: il primo, spiega la relazione al Parlamento, è che le organizzazioni criminali hanno approfittato del “potenziamento del sistema portuale mediterraneo,” l’altro che—per massimizzare i profitti—’Ndrangheta e Camorra fanno entrare la cocaina direttamente in Italia, senza farla più passare per la Spagna o il Nord Europa.
Come risaputo, questo segmento di mercato è strettamente connesso con il Sud America, e non a caso gran parte del traffico di cocaina in Italia, dice il colonnello Colone, “è gestito dalla ‘Ndrangheta, che storicamente ha una grande conoscenza con i trafficanti sudamericani. Per inserirti nel traffico di cocaina, è molto probabile che tu ti debba rivolgere alla ‘Ndrangheta.”
L’emblema del predominio delle cosche calabresi è il porto di Gioia Tauro, che nel 2014 si è confermato ancora una volta come la principale area di ingresso della cocaina in Italia. Tuttavia, come spiega il tenente colonnello della Guardia di Finanza Vincenzo Caruso, che ha lavorato per anni sul porto, all’interno dello stesso vigeva un “sistema fluido,” in cui erano presenti “gruppi criminali non molto importanti” e “tutto avveniva con l’avallo della ‘Ndrangheta, la quale mettava a disposizione la sua logistica e prendeva mazzette per permettere i traffici.”
IL TRAFFICO DI EROINA
Mettendo su Google “ritorno dell’eroina,” ci si accorge subito di quanto questa espressione sia abusata negli articoli e nella cronaca. La realtà è molto più semplice: l’attenzione e l’allarme sono progressivamente calati dagli anni Ottanta o oggi—così come il consumo—ma l’eroina non se n’è mai andata del tutto.
Anche in questo caso, la maggior parte dei sequestri (il 73 percento) è avvenuto sulla frontiera marittima, in particolare nel porto di Ancona e in quello di Bari. Una buona percentuale di eroina arriva anche presso gli aeroporti di Orio al Serio, Venezia, Malpensa e Fiumicino, dove a settembre sono state sequestrate 2 milioni di dosi.
Le rotte che segue la sostanza sono più o meno quelle “classiche”: l’eroina, di prevalente produzione afghana, attraversa Iran, Turchia e i Balcani prima di arrivare in Italia; oppure passa per le ex repubbliche sovietiche; o ancora, transita nei paesi dell’Africa orientale (soprattutto Tanzania e Kenya) prima di essere immessa nei mercati occidentali.
Per il colonnello Colone, comunque, “non ci sono nuovi elementi di traffico.” Quello di eroina “non è un traffico di container—credo che non abbiamo mai sequestrato un container di eroina. Una volta che arriva qua viene parcellizzata e smistata in autovetture e camion a doppio fondo. In qualche caso abbiamo visto spedizioni commerciali con eroina occulata. Abbiamo inoltre casi di tappeti con all’interno dei tubi invisibili, simili alle cannucce, con l’eroina dentro.” Ma, conclude Colone, questi ultimi casi non sono troppo frequenti, anche perché “il rapporto tra cocaina ed eroina è ormai di quattro chili a uno.”
Il nostro documentario sugli strainhunter e la marijuana in Sud America.
IL TRAFFICO DI HASHISH
Mentre i sequestri di marijuana sono aumentati del 15 percento, la novità più interessante registrata dalla relazione antidroga riguarda il traffico di hashish: nel 2014, infatti, c’è stato un notevole incremento (più 284 percento) dei sequestri presso la frontiera marittima rispetto all’anno passato.
Nel leggere questo dato, li vice questore aggiunto di polizia Alessandra Ortenzi spiega che “questa direzione sta coordinando operazioni molto complesse,” che hanno preso il via dopo sequestri di diverse tonnellate—e non tutte destinate all’Italia—in acque internazionali, specialmente al largo delle coste nordafricane.
Ed è proprio con riferimento a questi casi che negli ultimi anni è venuto alla luce lo stretto rapporto tra il traffico di hashish e la Libia. La condizione di caos in cui versa il paese lo rende “favorevole a traffici di droga e armi,” dietro i quali si intravedono anche “collegamenti a gruppi terroristici” e milizie armate, che usano il narcotraffico per autofinanziarsi. Il colonnello Colone aggiunge che, studiando il sequestro della nave Adam avvenuto nel 2013, “ci siamo resi conto che qualcosa stava cambiando nel Mediterraneo, in particolare per l’hashish.” La destabilizzazione politica in Libia, infatti, ha fatto mutare il fenomeno e deviato la tradizionale direttrice Marocco-Europa.
“Potendo disporre di aree sottratte allo stato,” continua Colone, i trafficanti hanno pensato di “usare la Libia come luogo di stoccaggio di hashish,” cioè di deposito di ingenti quantitativi che poi vengono parcellizzati e spediti in Europa—il tutto probabilmente dietro il pagamento di tasse di sbarco.
Inoltre, specifica il colonnello, “questa ‘autostrada’ nel Mediterraneo è interessante, perché può aprire una nuova rotta per la cocaina.” E a proposito di rotte, c’è di più. Secondo Colone, infatti, il traffico di droga e il traffico di migranti potrebbero usare le stesse vie. “Abbiamo trovato navi che erano state sequestrate per droga, e una volta restituite agli armati sono state ri-sequestrate per il traffico di migranti.”
IL TRAFFICO DI DROGHE SINTETICHE
Il mercato delle droghe sintetiche è in continuo sviluppo. Secondo la relazione, nel 2014 sono state intercettate più di mille dosi e quasi 10 kg, arrivati in prevalenza—e a differenza delle altre sostanze—via terra, sopratutto dall’Olanda e dalla Spagna.
Il fatto che la quantità confiscata, in confronto alle altre droghe, sia minore deriva dalla loro conformazione chimica: “Quando parliamo di droghe sintetiche non stiamo parlando di tonnellate, ovviamente. Una dose di ‘ shabu‘, ad esempio, ha un principio attivo pari a 60 grammi di cocaina,” spiega il colonnello Colone.
Dal momento che non è un settore presidiato dalle grandi organizzazioni criminali—che si concentrano sulle sostanze “tradizionali” e decisamente più redditizie—Colone dice che “un fattore di novità è dato dal fatto che stiamo registrando una presenza significativa di cinesi e vietnamiti, soprattutto per quanto riguarda le anfetamine e metanfetamine.”
A questa nuova scena criminale si affianca anche un’altra piazza importante per queste sostanze, cioè i cosidetti ” cripto-mercati” e il dark web. “C’è un micro-medio nuovo traffico che avviene sul web, e deve essere monitorato, proprio perché parliamo di un mercato specifico che riguarda i giovani,” continua il colonnello. Ma monitorare e controllare questo mercato non è per niente facile—anzi, per le polizie è una specie di incubo. Come ha spiegato James Martin, autore di Drugs on the Dark Net, “provare a raccogliere prove online è molto più complicato che organizzare un tradizionale blitz antidroga.” Nel mondo online, infatti, le droghe “viaggiano attraverso paesi diversi,” e le transazioni finanziarie (che spesso e volentieri avvengono con cripto-valute come i Bitcoin) sono “impossibili da tracciare.”
COME PUÒ CAMBIARE IL NARCOTRAFFICO IN ITALIA
Secondo le stime effettuate dalla relazione, ogni anno l’Italia spende circa 1.4 miliardi di euro —costi ripartiti tra la detenzione e le attività delle forze dell’ordine e di tribunali—per “il contrasto e la repressione del fenomeno droghe.”
Si tratta indubbiamente di una cifra enorme, che tuttavia non riesce ad arginare il narcotraffico. Quest’ultimo, grazie al suo carattere estremamente complesso e multiforme, riesce a rinnovarsi e—soprattutto—ad aprire sempre nuovi canali di approvvigionamento e nuove rotte in cui far passare le sostanze.
A questo proposito, come dice Colone, “la rotta altro non è che una convergenza, in un determinato momento, di condizioni favorevoli per un’organizzazione.” E infatti le rotte “possono essere le più disparate,” e modificarsi in base a molte variabili. “Dipende dai cambiamenti geopolitici, economici, di polizia,” conclude il colonnello della Guardia di Finanza. “La rotta non è mai immobile.”
L’unica certezza per l’Italia è che, proprio per la doppia caratteristica di paese di transito e di enorme mercato di consumo, le droghe continueranno ad arrivare in quantità industriali.
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