Quando avevo circa 16 anni ero molto attratta dall’idea di possedere un sex toy; uno qualunque, andava bene qualsiasi cosa. Eppure sembrava che tra me e un rabbit si presentassero una lunga serie di ostacoli che iniziava con l’inquietante grafica gotica dei sexy shop online di allora e terminava con l’impossibilità di comprarlo con la carta di credito dei miei genitori. Così quando aprirono ben due sexy shop a cento metri da casa mia pensai che le mie preghiere fossero state ascoltate.
Entro nel primo e la situazione è la seguente: un tipo imparentato con Marty Feldman in Frankenstein Junior dondola riottosamente sulla sedia dietro la cassa mentre mi fissa con sospetto misto a sorpresa e viscidume; tra gli scaffali spuntano i timidi occhi un po’ allucinati dell’unico altro avventore. Ormai sono dentro, quindi devo per forza fare un giro per dimostrare non so cosa a non so chi (che è anche la miglior descrizione dell’adolescenza). Mentre mi muovo tra le librerie di film porno e gli eloquentissimi dildo di nome Big Mamba (come dimenticarlo) penso solo a calcolare quanto tempo dovrà passare prima che io possa uscire senza sembrare un’imbranata. Il giorno dopo raccolgo le forze ed entro nel secondo sexy shop, sostanzialmente un distributore automatico di peni obiettivamente fuori misura e film porno dalle cui copertine ammiccano Asa Akira e Lisa Ann.
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Da queste due esperienze capii un paio di cose: la prima è che i sexy shop non erano davvero pensati anche per le donne, e la seconda è che ciò che li caratterizzava era una patina untuosa di giudizio morale, etero- ma soprattutto auto-diretto, che si manifestava con occhiatine complici e viscide che urlavano, “Anche tu sei come noi, anche tu sei una pervertita.” Dopo questi due episodi fallimentari mi rassegnai: ok, continuo con le mani, come non detto.
Il 23 luglio scorso, a quasi dieci anni di distanza da questi due episodi, è successa una cosa molto positiva e allo stesso tempo bizzarra per i canoni del nostro paese: per la prima volta in Italia è andato in onda in TV uno spot di sex toy, quello del negozio online MySecretCase.
L’e-shop è stato fondato da Norma Rossetti, ora CEO dell’impresa, che nel 2014 ha notato l’assenza di un’offerta seria e diversificata di sex toy in Italia e ha deciso di porre rimedio. Da allora il business ha continuato a crescere. Norma ha dato una direzione molto precisa al suo business: gli oggetti sono scelti accuratamente, secondo criteri estetici e di performance, e il suo sito è rivolto alle donne. C’è anche un’ottima selezione di sex toy maschili, ma la comunicazione, l’estetica, gli argomenti toccati dal blog del sito e perfino il servizio di assistenza diretta sono indirizzati a un pubblico femminile.
Tutto bene finché casualmente, un paio di giorni fa, mi è apparso su Facebook un post del Fatto Quotidiano proprio sullo spot di MySecretCase. Lo spot, che potete vedere qui sotto, è una delle cose meno esplicite o volgari che io abbia mai visto: alcune donne completamente vestite, in situazioni di vita quotidiana, tirano fuori da un cassetto/borsa/armadio i loro sex toy—tutti più eleganti di qualunque oggetto di design io abbia mai posseduto. Perfino lo slogan è leggero e ironico: “Vogliamo un mondo dove le donne non sono oggetti sessuali, ma possono possederli tutti.”
Lo spot è stato messo in onda solo dal 20 agosto su La7 e Mediaset, mentre su Cielo e Discovery va in onda nella speciale fascia oraria dedicata ai barbagianni.
Ed è proprio nella sezione commenti al post del Fatto Quotidiano che ho trovato le risposte alle domande che mi faccio da quando sono entrata nel primo sexy shop a 16 anni: perché i sexy shop non sono considerati un posto come un altro? Perché non riusciamo a insegnare decentemente l’educazione sessuale nelle scuole? Perché è così difficile la comunicazione che anche alle donne piace fare sesso? La risposta a tutte queste domande è una sola: una larga fetta della popolazione italiana.
Insomma, se vi stavate chiedendo come i commentatori del Fatto Quotidiano abbiano reagito alla notizia che si parla di sex toy e piacere femminile in TV, qui sotto analizzerò una piccola porzione rappresentativa dei migliori commenti comparsi sotto al post.
Il primo commento, quello con più like, appartiene alla scalpitante vita interiore di A.—A., cosa ne pensi dei vibratori?
Bypassando completamente il tema del giorno, A. opta per un’osservazione sociologica che mi azzarderei a definire più olistica. Era da tanto che voleva esprimere questo pensiero, frutto di un lungo lavoro di analisi della società e dei valori contemporanei. Io lo ammiro per il coraggio delle sue idee controverse e avanguardistiche. Dato il livello di provocazione insito nelle sue opinioni non c’è da stupirsi che qualcuno lo abbia insultato nelle risposte. Ma lui si dimostra anche un profondo conoscitore delle correlazioni lineari che intercorrono tra i buttplug e l’uso di eroina:
Un altro commento rilevante—nel senso che compare in alto nell’ordine dei post—è quello di G.:
G., come ti permetti di dire che sei pro masturbazione per la donna? Menomale che ti salvi nella seconda parte, quella in cui credo tu stia cercando di comunicarmi che c’è bisogno di tornare a una manciata di valori non meglio identificati pubblicizzati via TV (?) e che la masturbazione nella scala delle priorità dell’individuo dovrebbe essere esattamente al decimo posto. Brava, per un pelo.
C’è anche chi si preoccupa soprattutto per la nostra salute, come C.:
C., hai perfettamente ragione, ma non hai capito una cosa: i sex toy sono notoriamente usa e getta. Per questo questi venditori di libidine si arricchiscono così tanto e non producono prodotti speciali per lavarli. Ne compri uno, diventi dipendente e poi BAM, lo devi subito buttare. E da lì il problema della droga, di cui puoi discutere con A. Tra l’altro la cosa assurda di queste persone che usano i vibratori è che non si rendono conto che facendo sesso a caso contrarrebbero molte meno infezioni. Pazzesco.
K., sei troppo pura per questo mondo. Che qualcuno fermi quella pazza giostra altrimenti detta modernità:
E. invece è venuta a parte di un piccolo segreto che le multinazionali dei sex toy vogliono tenere nascosto: abbiamo un numero limitato di orgasmi. La media si attesta attorno a 1.200 per gli uomini e 8 per le donne. Quindi fai bene a tenere quel clitoride al sicuro dagli sprechi:
R. ha studiato con Fusaro, da giovane. Anche lui si scaglia contro il capitalismo che ci rende relativisti. Un esempio da me ideato: è davvero stupro se lei sta dormendo perché ha bevuto troppo? Relativismo. ¯\_(ツ)_/¯
Attenzione al dadaismo di M. che cerca di confonderci abbinando concetti apparentemente slegati tra di loro. M. tra l’altro dovresti vergognarti perché ti sei scordato del fil rouge che lega insieme islamici, bombe, buonisti e e casa nostra: Laura Boldrini. Prego.
Tana per Massimo Gramellini:
L’ultimo (ma non meno importante) commento allo scempio dei valori collettivi che questo spot rappresenta si trova invece sulla pagina Facebook di MySecretCase. In questo specifico caso abbiamo niente di meno che un avatar di Gué Pequeno (che però devo blurrare, anche se a questo punto non so che senso abbia farlo) che intrattiene una lunga e prolifica corrispondenza con Mediaset:
Gué, apprezziamo i passi indietro che stai cercando di fare dopo quell’episodio che ti ha visto coinvolto a tua insaputa. E guarda, ti posso dire? Apprezzo anche il tuo orario di cena veramente mediterraneo e chic, che ti vede riunito a tavola con la famiglia alle 23.30 davanti a Mediaset. Così ci si rialza dopo un brutto scivolone. Bravo.
Ora, sono tutti commenti—come dire—spiacevoli, ma poi ho contattato Norma per fare due chiacchiere su come è stato mettere in piedi la sua attività nel 2014, e mi sono resa conto che anche solo concessioni come “apprezzo il prodotto”, “sono pro masturbazione” etc rappresentano dei passi avanti.
Norma mi racconta che trovare lo spazio per gli uffici è stato difficilissimo. “Abbiamo cercato a lungo l’ufficio in zona Navigli [a Milano], ma più amministratori di condominio hanno rifiutato l’offerta. La causa? Era che siamo un e-commerce di sex toys. Poi ci siamo messe a cercare un ufficio shoow-room da aprire anche per piccoli eventi e discussioni sulla sessualità. Ovviamente, non appena chiariti gli intenti, hanno tutti rifiutato.”
Un altro aspetto interessante è quello del casting per lo spot in questione, per cui ero stata contattata anche io, per vie traverse. Io non sono un’attrice, sono alta un metro e 55 e nessun agente di modelle mi ha mai fermata mentre ero in vacanza coi miei a Los Angeles. “Il casting è stato difficilissimo,” mi racconta Norma, “molte attrici temevano di non poter più recitare per le pubblicità di pannolini o assorbenti.” Così la casa di produzione si è dovuta rivolgere ad amiche e conoscenti. “Anche molti producer hanno detto di no quando gli abbiamo proposto il progetto,” conclude Norma.
A questo punto, nonostante tutti i commenti, faccio un passio indietro: mi sembra quasi un miracolo che lo spot esista, e per questo vanno citate e ringraziate la regista Serena Corvaglia, l’agenzia pubblicitaria Cookies&Partners e la casa di produzione K48.
Per concludere vorrei dire una cosa a tutti gli amici su internet: oltre a tutti i commenti provenienti direttamente dal 1634, ci sono state anche tantissime reazioni positive, ma la cosa veramente importante è che da quando lo spot è andato in onda le visite settimanali sul sito sono aumentate del 300 percento.
:)
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