Cibo

Il Lambrusco mi ha sempre fatto schifo. Poi ho scoperto questi vignaioli

Vittorio Graziano

Negli ultimi sessant’anni, con l’introduzione del metodo Charmat, l’industria ha agguantato il Lambrusco tra le sue grinfie e l’ha allontanato dalla sua secolare tradizionale, trasformandola in una bibitona dolciastra.

Essere cresciuta a Bologna vuol dire avere sempre bazzicato nei paraggi del Lambrusco. La parola Lambrusco risuona nelle cene di famiglia, rimbalza dentro i ristoranti, echeggia tra i banchi del supermercato. E come potrebbe essere altrimenti? Parliamo di quello che nel 2017 è stato il vino rosso più bevuto in Italia e più esportato al mondo e che ha, nella “mia” Emilia, la sua terra di elezione (scusate mantovani, qui non si parlerà del vostro Lambrusco: se volete chiudere la pagina vi capisco).

Videos by VICE

Essendo nata negli anni Novanta, il Lambrusco che ho conosciuto io è quello che ha permesso a Ligabue di considerarne l’abbinamento con i pop corn scontato, facilone e banale come la sua beva; quello che, quando ho iniziato a lavorare nel settore, ho sentito tante volte paragonare alla Coca Cola: “Sì dai, in Emilia come vini avete giusto il Lambrusco, poverini…”. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Negli ultimi sessant’anni, con l’introduzione del metodo Charmat, l’industria ha agguantato il Lambrusco tra le sue grinfie [inserire qui sottofondo sonoro strappacuore] e l’ha allontanato dalla sua secolare tradizionale, trasformandola in una bibitona dolciastra. Non avevo idea che, nel frattempo, nei tini emiliani stesse fermentando una piccola, tenace rivoluzione. Il primo assaggio l’ho avuto un paio di anni fa, frequentando il Mercato Ritrovato di Bologna, davanti al banco di Denny Bini.

Denny-Bini
Tutte le foto di Roberto Taddeo
Podere-Cipolla

Podere Cipolla è nato nel 2003 a Coviolo, in provincia di Reggio Emilia, dove Denny è cresciuto. Quello di vignaiolo per lui rimane il secondo mestiere: una scelta nata quasi per caso, senza grandi aspettative, cresciuta e consolidatasi a nel tempo. E sempre senza progettazione, ma in maniera spontanea, è arrivata la scelta di fare il Lambrusco “come una volta”: niente chiarificazione e filtrazione, solo utilizzo di lieviti autoctoni, meno solforosa possibile e, ovviamente, rifermentazione in bottiglia.

Denny Bini

È a lui che devo la prima agnizione: il Lambrusco può essere anche così. Acido e poderoso come il Ponente 270, “Un Lambrusco Emilia IGT che contiene tutte le varietà lambrusche: Salamino di Santa Croce, Sorbara, Reggiano e Grasparossa di Castelvetro. Macerazione di quattro giorni nel classico stile reggiano”. Strutturato e aromatico come il Libeccio 225, “Grasparossa vinificato in purezza, l’espressione fedele e rispettosa della rusticità del vitigno: il più selvatico, il più mio“. Aggraziato e danzerino come la Rosa dei Venti, un taglio 50 e 50 di Malbo e Lambrusco.

La gente da lui si ferma, assaggia, si stupisce. È davvero Lambrusco quello? Io appoggio il bicchiere ormai vuoto, mi è venuta voglia di proseguire il viaggio.

L’industria ha spinto i contadini a stufarsi del loro mestiere. È un crimine abbandonare i vitigni antichi

Graziano-tra-le-vigne
Vittorio Graziano

Non si può parlare di Lambrusco senza citare Vittorio Graziano. Un gigante, il primo dei primi, che ha iniziato a fare un Lambrusco il più possibile naturale, rifermentato in bottiglia, negli anni Ottanta, quando imperavano le autoclavi e la chimica, quella che lui chiama “la mania della macchina”.

Vigne-Graziano

Graziano ha una sessantina di anni, un guizzo vispo e malandrino da adolescente negli occhi e una chioma leonina di capelli bianchi. Vive e lavora a Castelvetro, in provincia di Modena, la patria del Lambrusco Grasparossa.

Azienda-Graziano

Il suo Fontana dei Boschi è una bottiglia mitica tra gli appassionati e gli addetti del settore, ma lui di vini ne fa molti altri. “Ho una curiosità maniacale per riscoprire vecchie varietà di vitigni, ma della maggior parte non so il nome” racconta mentre il suo gatto Ugo ci accompagna in mezzo ai filari, davanti al suo bel casale color terra, quasi tutto costruito con materiali di recupero (compresa la torretta in cima che, nelle sue intenzioni, dovrebbe essere “la camera di decantazione della sbronza”). “Una volta ho chiesto a un professore quanto costava fare l’esame del DNA. 6000 euro, mi ha detto. Avevo 10 tralci. Con quella cifra ci facevo una festa per tutto il paese! A me interessava brevettarla per il territorio. Mica per me. È una tragedia, un crimine, aver perso tutte quelle varietà. L’industria ha spinto i contadini a stufarsi del loro mestiere”.

I tecnici sono brave persone ma anche pericolose: fanno le cose uguali da un anno all’altro. Ne ho tra i miei amici. E a loro dico: voi, da me, venite solo a bere

Vittorio Graziano

Le mezze misure e le mezze opinioni qui non si trovano. “Fare il vinello a macchina è facile. Ma è un vino confetto, un’aberrazione. Hanno una disinvoltura a raccontare ‘ste balle colossali, tipo che l’autoclave esalta… cosa state a coltivare allora? Comprate un’autocisterna di sfuso che fate prima” scuote la testa “Io faccio il vino a modo mio. Le cose come si deve. I tecnici sono brave persone ma anche pericolose: fanno le cose uguali da un anno all’altro. Ne ho tra i miei amici. E a loro dico: voi, da me, venite solo a bere. Dal canto loro pensano che io sia un matto e morto il matto si smetterà di fare questo vino”.

Le cose come si deve, ovvero come si faceva una volta. Graziano ci racconta come in queste terre la vendemmia fosse sempre stata l’ultima operazione, la meno importante a fronte della cerealicoltura per umani e animali (Parmigiano vi dice niente?), e per questo sono stati selezionati vitigni tardivi, come il Lambrusco, vinificati a uso familiare. “Il mosto che veniva fuori era già parzialmente dolce e quindi si spumantizzava. Da qui nasce il frizzante, da fattori climatici e consuetudini agricole. Lo Champagne è un’invenzione; la nostra una scoperta”.

Muro-Vittorio-Graziano
Lambrusco-Vittorio-Graziano

Graziano ha una sua teoria particolare: è dopo la seconda bottiglia che accadono le cose migliori. E infatti è dopo la seconda bottiglia che iniziamo a notare le scritte sulle pareti della sua azienda, alcune fatte dagli appassionati che lo vengono a trovare da tutto il mondo, altre da lui ben esplicando la sua filosofia di vino – e di vita. ‘No all’eno-Parkinson!‘, ovvero al vizio di girare il bicchiere fingendosi esperti; ‘Vino non sputandum est’; ma anche ‘Il vino è bello’, ‘Kalos oinos‘, scritto in greco antico.

Cosa ne sarà, di queste scritte, di questa azienda, di questo vino, quando deciderà di andarsene in pensione? “Io vorrei trovare qualcuno a cui lasciare quest’azienda, ma i giovani di oggi hanno fifa, si scoraggiano, non lottano. Certo non sono tanto aiutati dalla situazione economica, ma quello è relativo. Io farò un’etichetta celebrativa per le mie bottiglie con una mia foto poi andrò dove mi porta il vento. Fin dove riesco a spingermi – e in primis ovunque si faccia del vino”.

Per fare il vino non devi mica fare niente. Suona ridicolo ma è così. Quello che conta ce l’ha tutto la pianta

Crocizia

La mia ultima tappa di questa mia riscoperta del Lambrusco è a Parma, o meglio a Quarticello di Langhirano, a 500 metri di altezza, sui fianchi di una collina dove si aggrappano i cinque ettari dell’azienda agricola Crocizia, fondata nel 2003 da Marco Rizzardi.

1548927056337-Marco-Rizzardi
Marco Rizzardi



Mentre ci sediamo a parlare davanti a un camino acceso ci mette davanti un salame e un Parmigiano, pizzette, erbazzoni, una crostata fatta in casa da sua sorella, una bottiglia del suo Marc’Aurelio. “Non riesco a bere senza mangiare e a mangiare senza bere”, giustifica la sua imponente ospitalità. “Ho cominciato 15 anni fa ristrutturando un podere di famiglia. Siamo piccoli e un pochino allo sbaraglio e così vogliamo rimanere. Non mi interesserebbe stare sul trattore dalla mattina alla sera” alza le spalle “Il biologico qui è stato quasi una scelta obbligata. Le vigne sono super parcellizzate e circondate da boschi. Cosa fai, ti metti a diserbare? Impossibile pensare a una viticoltura specializzata e intensiva. All’inizio abbiamo tribolato, la rivoluzione ‘naturale’ doveva ancora partire, tutti volevano vini puliti, trasparenti, tecnici”.

Vino-Lambrusco

Se c’è una parola per descrivere Rizzardi quella è: spiazzante. È bello di una bellezza tanto più evidente quanto incongrua nel contesto agreste, è schivo di una sua ritrosia modesta e selvatica. “Per fare il vino non devi mica fare niente. Suona ridicolo ma è così. Quello che conta ce l’ha tutto la pianta. L’elenco di sostanze che si possono aggiungere a un vino è infinito: sono ammesse e quindi in teoria non fanno male, almeno nel breve termine. Ma sono un di più” spiega girando nel bicchiere il Marc’Aurelio, 100% Lambrusco Maestri, vitigno parmense particolarmente austero e complesso rispetto agli altri.

Marc-Aurelio

“In alcune zone lo vinificano fermo e, in effetti, questo è un po’ un vino fermo con le bolle. Il Maestri coltivato in collina è più concentrato, di alcol e tannini. Come per tutti i miei vini, quasi tutti monovitigno, ne faccio poche bottiglie: ha rese basse e risultati importanti”.

“Quello del vino naturale è un fenomeno che si riesce a controllare. Guarda cos’è successo nel mondo della birra artigianale”

Crocizia-Lambrusco


Ma questa rivoluzione del vino naturale, come la vede?
A lui che l’ha fatta come scelta di vita come appaiono i giovani che lo fanno per moda, che “nel tempo di una vendemmia” si riscoprono artigiani, pretendendo di appartenere, e soprattutto apparire, all’interno dello stesso gruppo? “Non è un fenomeno che si riesce a controllare. Guarda cos’è successo nel mondo della birra artigianale” dice alzando le spalle. Osserva le vigne su cui tira un vento freddo di gennaio, l’argine vuoto del fiume in fondo. “Ad esempio adesso si rifermenta tutto, perché sono vini facili, si bevono volentieri. Il lambrusco è il rifermentato in bottiglia per eccellenza. È giusto far capire che sono nati qui in Emilia e per questo io e altri produttori abbiamo creato Emilia Sur Li. È un evento piccolo, siamo pochi ma facciamo tutti vini veri, vivi”.

Se in Emilia avessimo come unico vino il Lambrusco, beh, io ne sarei contenta.

Segui Giorgia anche su Instagram. Segui Roberto anche su Instagram.

Segui MUNCHIES su Facebook e Instagram

Vuoi restare sempre aggiornato sulle cose più belle pubblicate da MUNCHIES e gli altri canali? Iscriviti alla nostra newsletter settimanali.