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Interviste a studenti che hanno lasciato gli studi per colpa del coronavirus

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La pandemia ha stravolto la vita di molti studenti. Intrappolati in una sequenza infinita di call su Zoom (o simili) e restrizioni, gli studenti di tutto il mondo esprimono da mesi la propria frustrazione davanti alla mancanza di un piano preciso per gestire la loro educazione durante il COVID-19. Nonostante molti di loro facciano del loro meglio per resistere alla situazione, un numero senza precedenti di studenti denuncia oggi livelli gravi di depressione e ansia e molti hanno deciso di abbandonare gli studi, almeno per ora.

Abbiamo chiesto ad alcuni come sono arrivati a prendere questa decisione e cosa faranno ora.

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Julia, 21 anni, ex studentessa di Scienze Sociali

Julia, long hair in an updo, wearing glasses and looking over her shoulder.
Julia, 21 anni.

Non avrei mai pensato di mollare l’università. Ero all’ultimo semestre e mi mancavano poche pagine per finire la tesi del triennio. La laurea era dietro l’angolo. Eppure, ho perso del tutto la motivazione.

Ho capito davvero che non sarei riuscita a finire la tesi solo due giorni prima della consegna. Mi sono svegliata e ho pensato ‘basta.’ So per certo che è stata la pandemia, perché non ho mai avuto problemi con le altre consegne e lo studio in generale. Ma le mie capacità in questo caso non c’entravano niente.

È stata una decisione dura, considerato anche quanti soldi hanno investito i miei genitori per farmi studiare. Mi sentivo di averli delusi. Ma a prescindere da quanto ci provassi, non riuscivo a superare il semestre, non riuscivo a continuare. Per fortuna, mia madre ha appoggiato la mia scelta.

Vorrei che l’università fosse stata più trasparente e ci avesse offerto più supporto. C’è stato un momento tra aprile e giugno 2020 in cui non riuscivo a vedere la luce in fondo al tunnel. Mi sentivo come se fossi l’unica incapace di andare avanti—mentre normalmente, sarebbe bastato passare del tempo con gli altri studenti per guardare da un’altra prospettiva questi sentimenti, e capire che non ero l’unica persona in difficoltà.

Non va tutto male, comunque—da poco ho iniziato a studiare arte, una cosa che avevo in mente di fare dopo la laurea. Mi sento meglio, ora.

Ela, 21 anni, ex studentessa di Giornalismo

Ela. Long curly hair, wearing a white t-shirt and smiling at camera.
Ela, 21 anni.

Quando studi Giornalismo, devi spesso uscire di casa per portare a termine un articolo o una ricerca. Io avevo molta paura, perché ho il diabete di tipo 1 e rientro nelle persone più a rischio in caso di infezione da COVID-19. Così, non ho passato le materie che richiedevano interazioni fisiche con altre persone e la mia media è crollata. Non ero più motivata. Dopo essere stata bocciata agli stessi esami una seconda volta, ho deciso di mollare.

Mi ci è voluto un po’ per prendere una decisione—ho pensato che me ne sarei pentita in futuro e avevo paura che sarebbe stato troppo difficile trovare lavoro senza laurea. Inoltre, mia madre non era d’accordo con la mia decisione. Mi ha detto di fare almeno un corso breve, per avere un titolo di qualche tipo. Ma non faceva per me. Dopo aver mollato, ho iniziato subito a cercare lavoro e ne ho trovato uno in fretta. Al momento lavoro nel reparto di assistenza clienti di un supermercato. Volevo davvero diventare economicamente indipendente, e ora lo sono.

Lasciare gli studi è stato un sollievo. Inoltre, essere circondata da colleghi che mi apprezzano e mi rispettano mi fa sentire bene. Voglio ricordare alle altre persone che c’è speranza e che rinunciare a qualcosa non significa per forza fallire.

Nicolas, 17 anni, ha lasciato le superiori

Nicolas, long hair pulled back in a pony tail, wearing glasses and all black.
Nicolas, 17 anni. Foto di Clara Montay.

Ci sono diverse ragioni per cui ho lasciato la scuola. Innanzitutto, stavo studiando al Sint-Pieterscollege a Bruxelles, una scuola molto elitista. Gli insegnanti mi umiliavano spesso e c’era un’atmosfera di competizione estrema tra gli studenti. Io sono un metallaro e porto i capelli lunghi—il mio stile non si adattava bene a quel mondo. Se devo essere onesto, non mi sono mai sentito bene a scuola. Provo rabbia verso il sistema educativo. Il modo in cui insegnano le cose non funziona. Credo che il sistema intero debba cambiare completamente per adeguarsi al mondo di oggi.

Volevo comunque finire l’anno scolastico, così mi sono iscritto in un collegio. Lì, per la prima volta, ho sentito di poter studiare e fare i compiti. Ma il lockdown è stato annunciato alla fine della mia prima settimana e appena sono tornato a casa, ho smesso di studiare. Ero in uno stato di completo rifiuto e volevo andarmene. Il mio senso di responsabilità è evaporato in un istante, non so perché.

Alla fine dell’anno scolastico, ho deciso di consegnare un progetto scritto, così che i miei insegnanti potessero valutare se promuovermi o no. Ho scritto un saggio sui Vichinghi in cui presentavo tutto ciò che sapevo sulla geografia, la storia, la lingua, la religione e altri argomenti. I miei insegnanti non l’hanno accettato. Io e mio padre abbiamo dovuto lottare perché fosse approvato. Alla fine mi hanno promosso, ma il processo è stato così estenuante che ho deciso di non iscrivermi più a settembre.

Ora sono felice di dire che ho mollato la scuola del tutto. Sono in contatto con l’organizzazione SAS Parenthese, che aiuta i giovani che non hanno un diploma superiore. Facciamo fotografie, disegni, dipinti e andiamo a mostre d’arte. Mi hanno anche insegnato come si rema in barca. Tutti i mercoledì c’è un workshop di scrittura, che adoro.

Forse tornerò a scuola un giorno, ma per ora non è ciò che voglio fare. Ho una grande passione per la storia medievale e la cultura scandinava e mi piacerebbe diventare un fabbro.

Fien, 19 anni, ex studentessa di Psicologia

Fien. Black and white picture. Fien wears her hair in a bob and is smiling at the camera.
Fien, 19.

Ho affrontato l’inizio della pandemia con un grosso fardello emotivo. Stavo lottando contro la depressione da quattro anni ormai, dovuta al trauma di una violenza sessuale, una relazione finita male e una situazione familiare complicata.

Il processo contro il mio aggressore è stato tenuto durante il primo lockdown, ma per via delle restrizioni non potevo vedere il mio terapista di fiducia né il mio psichiatra. Era tutto online, non mi aiutava per niente. Dato che tutti lavoravano da casa, i membri della mia famiglia erano costantemente impegnati a farsi gli affari uno dell’altro. Ho iniziato a rifugiarmi in camera mia e riempire le mie giornate di studio, per pura noia. Era una forma di evasione.

All’inizio, restare nella mia comfort zone mi ha fatto sentire calma. Ma durante il secondo lockdown, non ho retto. Ho bisogno di circondarmi di persone, è una parte fondamentale del mio processo di guarigione. Ma nessuno pensava a noi studenti. Alla fine, i messaggi di supporto suonavano tutti uguali, mentre io avrei avuto bisogno di parlare con qualcuno che fosse fisicamente vicino a me. Sono caduta in un circolo vizioso di pensieri negativi e non riuscivo più a mangiare.

Nella settimana prima di Natale 2020, ho avuto un crollo totale. Mi sentivo vuota, non riuscivo a dormire né a mangiare, e continuavo ad avere attacchi di panico. Non riuscivo a uscire dal letto e piangevo tutto il giorno. Alla fine, è stato il mio psichiatra a suggerirmi di interrompere gli studi. Ho deciso di mettere la mia salute mentale al primo posto e ho chiesto di essere ricoverata in un ospedale psichiatrico. Una volta tolto questo peso dalle mie spalle, mi sono sentita subito meglio.

Ammettere che volevo mollare è stato molto difficile. Intanto perché sono una perfezionista e ho molta paura del fallimento e per questo sono molto dura con me stessa. Ho il terrore di deludere i miei genitori. Ero anche arrabbiata con il ministro dell’Istruzione del mio paese—se avesse fatto le cose diversamente, magari io non avrei rinunciato agli studi.

Ho lasciato l’ospedale il 22 gennaio 2021 e ho ricominciato a contemplare il futuro. Voglio essere una “normale studentessa” di nuovo, ma al momento non mi sento abbastanza forte.