Che cosa posso comprendere dell’universo creato da un ragazzo con la metà dei miei anni? Me lo chiedo spaesato quando comincio a parlare con Leon Faun. Bastano pochi secondi, tuttavia, e mi mette al mio posto: “Sinceramente, il fantasy e il cinema mi hanno sempre colpito, quando ero più piccolo hanno influenzato la mia idea di musica. Mi davano la possibilità di entrare in un altro mondo, come se potessi avere accesso a una Terabithia personale. Quando poi scoprii il rap, non capendo perché nessuno unisse questo tipo d’immaginario con una certa tipologia di suono mi dissi: ‘Ci provo io’.”
Leon Faun, nome d’arte dell’altrettanto esotico Leòn de la Vallée, nasce a Roma nella primavera del 2001. Ha l’espressività decisa di un ragazzo che, seppur giovanissimo, è abituato a calcare ogni tipo di scena. Si sente nei suoi ragionamenti quanto nel suo cantato, e si dipinge in massimo grado sul suo volto nei video delle canzoni: un pugno di brani realizzati in compagnia dei suoi due fidati soci, Duffy alle basi e thaevil dietro alla telecamera, in grado di accumulare letteralmente milioni di ascolti.
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“Il fantasy e il cinema mi hanno sempre colpito, quando ero più piccolo hanno influenzato la mia idea di musica. Mi davano la possibilità di entrare in un altro mondo, come se potessi avere accesso a una Terabithia personale.
La sola “Oh cacchio”, con il suo strano miscuglio di fantasia e concretissimi panorami quotidiani, fatti di pompe di benzina, centri commerciali e campi aperti, ammonta a più di 2 milioni e mezzo di views su YouTube. Si tratta della sua prima vera hit, ma è in realtà il punto finale di un percorso ben più lungo, fatto di altri quattro pezzi, “Horia”, “Cioccorane”, “Primavera” e “Taboo”, oltre a un primissimo “Animus”. Insieme, formano una sorta di ciclo fantastico diviso tra musica, immagini, barre e narrativa: quello delle cronache di Mairon, fatte di un flow invidiabile per la maturità della voce e la vivace eloquenza con cui dissemina le singole tracce di questo suo ameno fantasy rap.
È un marchio immediato e riconoscibile, con il quale Leon trita riferimenti e citazioni presi da un ampio bagaglio di libri, fumetti, giochi e mondi, dove Narnia, la già citata Terabithia, Exodia di Yu-Gi-Oh!, I Pirati dei Caraibi e mille altre influenze hanno lo stesso peso: quello dell’immaginazione più pura. “Ho sempre avuto le idee chiare per quanto riguarda l’immaginario che volevo far mio e rispetto al fatto di voler creare una storia. Ma tutto ciò che riguarda il mondo di Mairon l’ho finalizzato nei dettagli grazie alla collaborazione con thaevil. Non c’è in realtà una trama, sta al pubblico crearsela nei vari capitoli.”
E l’ultimo capitolo, intitolato “Gaia”, conferma la sua compiutezza artistica, già in grado di esprimere una personalità che tanti artisti ben più blasonati si sognano. Leon si getta nel suo cosmo inventato con anima e corpo. Fa a pezzi rime, barre e semantica con l’unico scopo di divertire e creare brani che sorprendono per la creatività spicciola e per le invenzioni melodiche e ritmiche, tra turbolenti significati e giochi di parole: “Un po’ me la canto, un po’ me la rappo, microfono e flauto / Ma è un giovane fauno, ‘sto gioco lo spacco / Piano mi stanno capendo, ma stanno arrivando, mi stanno avvertendo / Come mi diverto col ‘bacco nel palmo, ho il flow di riserva nel bastone col sacco.”
Quando gli chiedo di raccontarmi il video di “Gaia”, lo fa senza il minimo timore a rivelare il suo mondo e i suoi pensieri: “Ho avuto sempre difficoltà a sentirmi a ‘casa’. Mi sono sempre sentito abbastanza incompreso dalla maggior parte delle persone, e proprio per questo mi sono rifugiato in una mia bolla sotto il nome di Mairon, una bolla con la quale sono riuscito ad arrivare a molti e sono riuscito a ritrovare un minimo di serenità. Quindi, proprio grazie a questo, sono pronto a riprendermi Gaia, cioè la terra, e a stare in pace con me stesso anche scendendo dalle nuvole. Questo è rimarcato anche dalla presenza nei video degli oggetti casalinghi, che stanno a significare che sono riuscito a trovare il giusto compromesso tra la follia e la realtà. Per riuscire a stare bene.”
“Mi sono sempre sentito abbastanza incompreso, e proprio per questo mi sono rifugiato in una mia bolla sotto il nome di Mairon, una bolla con la quale sono riuscito ad arrivare a molti e sono riuscito a ritrovare un minimo di serenità.”
D’altronde, che Leon sia in grado di maneggiare sapientemente il piano simbolico con quello materiale, il puro divertimento con una ricerca musicale non banale, appare ormai chiaro. Meno chiaro è dove questo possa condurre: “Il video di ‘Gaia’ in parte fa ancora riferimento al fantasy, e il finale nascosto si riaggancia a tutto il filone di Mairon, ma credo che sia anche il primo passo per staccarmi da esso, perché vorrei evitare che finisse per limitare la mia arte in futuro.
“Mairon”, spiega Leon, “è solo il primo capitolo di una lunga serie. Nei miei video io stesso mi sento di rappresentare una metafora dell’idea di chiunque, ed è quindi giusto che ognuno abbia la sua Mairon in testa. Io l’ho semplicemente rappresentata con il fantasy. Anche la scena finale, e letteralmente il suo contenuto, è a libera interpretazione. Proprio come tutto il resto della storia.”
Incuriosito, non posso non chiedergli quale sia la storia reale di questo fauno. “Sono nato a Roma, ma a 4 anni mi sono trasferito a Fiumicino, dove vivo tutt’ora. ‘Faun’ deriva dal fascino che ho sempre provato per la mitologia greca, e in particolare la figura del fauno, che poi mi rimase particolarmente impressa vedendo Le cronache di Narnia da piccolo. Non ho mai avuto tanti amici da bambino, e proprio per questo, essendo poi figlio unico, ho passato gran parte della mia infanzia con me stesso. Senza mai soffrirne, però.”
E la tua famiglia? “I miei sono state figure per me importantissime, essendo entrambi artisti. Ai tempi facevano tutti e due teatro, mia madre con compagnie importanti di Roma e qualche produzione cinematografica, tra le quali una con Elio Germano. Mio padre fece anche Avanzi e Fantastico, e venne chiamato da Massimo Troisi per lavorare insieme. Ma alla fine, quando sono nato io, decisero che lavorare nel mondo dell’arte risultava essere un po’ troppo rischioso per il mio futuro.”
“Non ho mai avuto tanti amici da bambino, e proprio per questo, essendo poi figlio unico, ho passato gran parte della mia infanzia con me stesso. Senza mai soffrirne, però.”
Tuttavia, l’inclinazione e l’interesse rimangono, germogliano e prendono nuove forme, considerando che “comunque la recitazione con il passare degli anni è finita per diventare la mia più grande passione. Fu mio padre, in seguito, a farmi scoprire la musica grazie ai classici del rock, e da lì a poco iniziai a suonare la batteria. Solo dopo scoprii il rap americano con Eminem e il Marshall Mathers LP, per poi arrivare a Salmo e al rap italiano. Infine, arrivò il cinema. Devo dire che ricordo di aver sempre cercato di unire questi aspetti.”
Sul futuro un po’ d’incertezza giustamente rimane nell’aria: “Appena finisce tutto ‘sto casino, quarantena e cavoli vari, penso di scappare a Milano, e dedicarmi alla musica. Prima però devo dare gli esami, sono al quinto anno: tra poco finisce un po’ tutto. Per ora stiamo facendo videochiamate online tutti i giorni, tutto il giorno. Finiamo per studiare di più adesso di quando eravamo a scuola. Ad ogni modo, non ho ancora un piano preciso per il futuro. Mi piacerebbe però collaborare con Salmo, che reputo un’artista completo. Mi affascina così tanto la sua visione delle cose che lavorerei con lui anche solo per l’aspetto video, non per forza quello musicale. Stimo molto anche Madame. E, per sognare in grande, sarebbe un onore lavorare con nomi come Joji, Jaden Smith, Childish Gambino, Token, Yung Lean e molti altri.”
Nel frattempo, però, qualche obiettivo è già all’orizzonte, “Ho preso qualche lezione di canto, ma vorrei andare nel dettaglio, esercitarmi molto di più. Canticchio sì, ma lo ritengo molto sporco, vorrei perfezionarlo. Quando finirà la scuola potrò quindi finalmente dedicarmici. In fondo faccio musica da quando ero più o meno in terza media. E poi mi è sempre venuto naturale cantare nei miei pezzi, per il semplice fatto che non mi rispecchio troppo nel termine ‘rapper’ e sono sempre alla ricerca di nuovi spunti musicali.”
Lo accompagna in questa lunga saga l’amico di sempre, Duffy, ai beat e produzione: “Ci conosciamo da quando siamo alla materna. Abbiamo iniziato a fare musica per gioco, tanto che i primi esperimenti venivano fatti su Fruity Loops cercando di riprodurre dei sound moombahton/trap dance. Poi andai in fissa con Salmo e gli chiesi di provare a produrmi un beat con un sound dubstep. Da lì abbiamo continuato la nostra evoluzione fino ad arrivare a trovare il nostro suono. E dico ‘nostro’ perché nei beat c’è sempre un po’ di me e nei testi sempre un po’ di Duffy. Anche se lavoro soltanto con lui al momento, devo dire che al momento sto ascoltando parecchio Tutti Fenomeni, lo trovo geniale. E che stimo moltissimo altri come lo stesso Salmo, Low Kidd e tha Supreme”, rispetto al quale si apre una parentesi curiosa.
“Stavo al McDonald e stavo facendo musica, quando spunta questo ragazzo incappucciato che mi dice, ‘Spacchi, vieni da me’. Era tha Supreme.”
Per quanto i due abbiano grandi diversità, entrambi hanno un approccio al suono e alla musica che si fa forza di una grande freschezza compositiva, e soprattutto melodica, con il tentativo ulteriore di cercare soluzioni stilistiche inedite. “Stavo al McDonald e stavo facendo musica, quando spunta questo ragazzo incappucciato che mi dice, ‘Spacchi, vieni da me’. Insieme abbiamo fatto un vero e proprio EP. Tra virgolette. Tracce a caso che abbiamo pubblicato su YouTube spacciandole per un EP: Endless. Eravamo piccoli, alla prima o seconda liceo, io, Duffy e tha Supreme.”
Dopo “Perdonami” di Salmo, Leon e tha Supreme perdono i contatti: “Ma non abbiamo mai litigato o altro, semplicemente non ci siamo più sentiti da un giorno all’altro. Ma bella per lui, sono contentissimo, rimango il sostenitore numero uno. Quando facevamo musica insieme lo raccontavo in giro dicendo, ‘Questo è il futuro’.” Chissà che i due non possano un giorno ritrovarsi a suonare insieme: con le dovute proporzioni, e la crescita costante di entrambi, potrebbe venirne fuori qualcosa degno del futuro più remoto possibile.
È proprio tramite queste collaborazioni iniziali con tha Supreme che Leon aggiunge un altro tassello, quello dei video, essenziale tanto quanto la sua voce e le immancabili produzioni di Duffy, “Lavorando con tha Supreme diventai fan della Young Minds, di Noone e di Nomercy Blake, e quindi dei loro video, veramente fighi e stilosi. Vedendoli mi tornavano sempre fuori questi tag, tra cui thaevil, e a un certo punto decisi di contattarlo. Avevo intuito si trattasse di un tipo, come dire, pazzerello e subito si è mostrato disponibile a confrontarsi con me. Ci vedemmo a Firenze e cominciammo a collaborare”, dando vita a quest’immaginario unico, fanciullesco e leggero ma dall’invidiabile potenza comunicativa.
Quanto sia importante la parte visiva delle sue creazioni lo testimonia anche un altro aspetto: “Ho partecipato a Zeta di Cosimo Alemà, ero una comparsa tra il pubblico nella scena finale dello scontro tra Ensi ed Izi. Fu un’esperienza folle, mi ritrovai per la prima volta su un set di un film, che tra l’altro trattava di hip-hop, avendo faccia a faccia artisti che stimavo e stimo tutt’ora. Proprio a Izi chiesi un selfie di sfuggita, con un cellulare senza fotocamera interna. Era talmente malridotto e la foto mossa che gli chiesi di scattarla tre volte; chissà cosa pensò! Ho sempre avuto questa passione, tanto che prima di fare musica facevo provini su provini,” Una passione che lo porta a consumare decine di film, come per esempio quelli di Tarantino, non a caso citato in una sua barra con il magnifico The Hateful Eight.
“Recitare in un film è una follia allo stato puro, è stato come vincere 100 dischi di platino. Il cinema e la recitazione sono mie enormi passioni che vanno di pari passo con la musica.”
E ora, qualcosa in programma? “Ora sono addirittura protagonista di un film che ancora deve uscire, La terra dei figli, tratto dal fumetto di Gipi e con regia di Claudio Cupellini, che già conoscevo e stimavo tantissimo per Alaska e Una vita tranquilla, senza contare ovviamente la serie di Gomorra. E se ci pensi l’immaginario di Gipi non è proprio fantasy… però si avvicina alle mie cose. Adesso siamo in fase di montaggio, ma non so quanto il Coronavirus rallenterà il processo. Ho lavorato con attori pazzeschi, come Valeria Golino o Valerio Mastandrea.” Cosa gli rimane di questa esperienza lo si capisce dall’eccitazione: “Una follia allo stato puro, è stato come vincere 100 dischi di platino. Il cinema e la recitazione sono mie enormi passioni che vanno di pari passo con la musica. Spero di riuscire a continuare a lavorare in entrambi i mondi, ma vorrei restassero percorsi separati.”
Non sappiamo se questa differenza rimarrà, sappiamo però per certo che il mondo di Leon Faun è profondo come la tana del Bianconiglio. “In fondo, penso che il fatto di entrare in un altro mondo con la propria arte, o grazie ad essa, sia un qualcosa che vale per tutti gli artisti. È anche per questo che cartoni come The Amazing World of Gumball, e soprattutto Adventure Time, fanno parte del mio immaginario. Diciamo anzi proprio che non hanno fatto per niente bene al mio cervello. Scherzo. Mi hanno fatto scoprire la possibilità di altri mondi e che altra gente ragiona come me, che non sono matto… o almeno non l’unico!”. Lui stesso, però, ci offre in chiusura un segno della sua lisergica ragionata follia, quando declama il suo motto: “La psicosi mistica è rimembrata dalle facoltà mesoniche”, e che questa stessa mistica possa fargli da guida nei prossimi passi.