Da quando l’epidemia di coronavirus è diventata un’emergenza, Milano non è più la stessa. Nessuno scenario apocalittico, sia chiaro, ma tra telelavoro forzato, locali chiusi e calo del turismo, la differenza con la frenesia di solamente un mese fa si percepisce.
Esiste però una realtà cittadina in cui le cose non sembrano essere cambiate troppo, perché già solitamente ha una vita tutta sua: la circolare 90/91, una linea di autobus che ogni giorno e ogni notte fa il giro di Milano portando con sé persone e storie di tutti i tipi, tra chi la usa per tornare dopo una serata e chi è costretto a dormirci.
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La “90” è una specie di istituzione milanese, sia perché è stata una delle prime linee a funzionare anche di notte, sia perché connette letteralmente tutta la città—accumulando nella sua corsa anche una pessima fama, tra furti e risse.
Fabrizio Spucches, fotografo e regista, è rimasto affascinato dalla tenacia dei frequentatori notturna di questa linea, e ha deciso di ritrarli in una serie fotografica e in un documentario, dal titolo 90 All You Can Eat.
L’idea era nei piani di Fabrizio da tempo, ma, come mi ha raccontato, “in questo periodo di coronavirus [l’intervista e le foto risalgono a prima delle norme più restrittive introdotte in Lombardia e 14 province] si è fermato il lavoro, e allora un po’ per noia e un po’ per non cadere in depressione ho deciso di avviare questo progetto personale. Certo, anche sulla 90 c’è tanta gente che ha paura del coronavirus, e tanta gente evita di prenderla per lo stesso motivo.”
“Ma l’ho scelta sia perché lì si concentrano persone un po’ particolari,” spiega, “sia perché è un mezzo che compie un periplo della città senza sosta, un rapporto ciclico come la vita, con gente che sale e gente che scende.”
Proprio per questo, nel progetto vuole affrontare tematiche particolari, “legate al mistero della vita, della morte, all’idea di Dio, temi sui quali tutti ci facciamo domande, io per primo. 90 All You Can Eat nasce dal desiderio di cercare una risposta a queste domande e di esorcizzare la crisi che ti trovi di fronte quando te le poni. Ho deciso di chiamarlo così perché la 90 mi sembrava il posto ideale per avere una ricchezza e una densità di tanti punti di vista diversi fra loro—atei, agnostici, cattolici, ortodossi, buddisti…—che uniti formano un grande ‘all you can eat’, che poi è una metafora della vita.”
In questo viaggio, svolto prevalentemente di notte, Fabrizio ha trovato anche una specie di guida, Domenico. “È un ex attore e lavora in una pompa di benzina, o almeno così mi ha raccontato lui, e vive a casa della sorella, però gli piace passare alcune notti sulla 90 semplicemente perché ama aiutare il prossimo: se ci sono dei senzatetto in difficoltà, quando magari la sicurezza entra e li porta via in maniera un po‘ brusca lui sente il dovere di difenderli. Abbiamo fatto amicizia il primo giorno ed è diventato una specie di assistente per le notti successive.”
Tra gli altri incontri particolari, Fabrizio cita la terza notte, quella “del ragazzo con la cicatrice. È marocchino, appena uscito dal carcere. Ha raccontato di essersi autolesionato in un momento di rabbia. [Con Domenico] Lo abbiamo aiutato, e anche se quel giorno non sono riuscito a fotografarlo perché appena ha visto la macchina fotografica mi stava per aggredire, con una scusa sono riuscito ad avere il suo numero di telefono. Il giorno dopo lo chiamo; lui si ricordava un po’ di me, riesco a procurarmi la sua fiducia e ci diamo appuntamento. Quando ci siamo incontrati è stato bellissimo, abbiamo parlato per ore, abbiamo fatto il ritratto e gli ho promesso che ci saremmo rivisti.”
Riuscire a guadagnarsi la fiducia di sconosciuti in quel contesto non è facile, ma “è la cosa più bella, nasce un rapporto umano. Solo dopo fai la fotografia o l’intervista.” Tra un incontro e l’altro, Fabrizio ha iniziato a ricevere anche un po’ di risposte relative al suo progetto: “Un ragazzo sotto effetto di ketamina mi ha detto di aver visto dio, di averlo incontrato. Non riusciva a dirmi dove l’avesse incontrato, come e quando, però l’aveva incontrato.”
Quando gli chiedo se ha qualche messaggio per chi legge, prima di salutarci, me ne comunica due: il primo è che è alla ricerca di un produttore per completare 90 All You Can Eat. Il secondo, un invito: “Quest’esperienza mi ha arricchito molto, posso soltanto invitare il pubblico a frequentare la 90 ogni tanto in futuro, così magari ci incontriamo e potranno anche loro contribuire a questa inchiesta.”
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