Ho appena ricevuto la mail di un lettore che mi chiede se ho qualcosa da dire a proposito del film Innocence of Muslims. “La tolleranza verso la satira è davvero un concetto incompatibile con l’Islam?” mi chiede. “C’è qualcosa in tutta questa indignazione che noi, l’Occidente, non capiamo?”
Quando mi viene chiesto di spiegare la rabbia dei musulmani so come rispondere, ma so anche quale sarà la reazione alla mia risposta. Il difensore della “civiltà occidentale” mi dirà: “Si, ma noi non siamo violenti. Sono loro quelli che uccidono per motivi religiosi.” Tuttavia, se i numeri contano, la mitologia dell’”America” oggi uccide molte più persone di qualsiasi mito dell’”Islam”. Per sostenere un culto militare pseudo-secolare abbiamo creato una nazione di entusiasti sostenitori del sangue e dell’omicidio. Chiamiamo “sacrificio” le gesta del culto e diciamo che è tutto in nome di una causa divina detta “libertà”.
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Questo è ciò che noi esportiamo, che destiniamo loro. Questo non è semplicemente un mondo in cui una parte ha il senso dell’umorismo e l’altra no, o una è “moderna” e “illuminata”, mentre l’altra ha ancora bisogno di mettersi alla pari. La parte moderna e di larghe vedute brucia vive le persone. L’Innocenza è il bulletto del quartiere che dà a tua madre della puttana dopo averti spaccato la mascella, e che poi si chiede come mai tu non sappia stare allo scherzo.
Non sto cercando di giustificare la violenza. Come artista appoggio il diritto di tutti di fare merdosa arte da due soldi, e non credo che lo spargimento di sangue sia un modo accettabile di reagire all’arte. Ma nella visione d’insieme non si tratta affatto di religione violenta contro arte non violenta, bensì di violenza contro violenza.
La settimana scorsa mi sono trovato a scrivere un articolo per VICE proprio l’11 di settembre. Ma non ho parlato dell’11 settembre; non offrivo ricordi di quel giorno, nessuna riflessione sul nostro percorso in quanto nazione da allora, nessuna diagnosi, nessuna speranza in un futuro migliore, e nessuna scusa da parte di un musulmano “moderato”. Ho scritto di droghe. Sembra che, ogni anno, l’anniversario produca un certo numero di blogger e commentatori musulmani che decantano pubblicamente il nostro amore per la pace, garantendo a tutti che anche noi condividiamo la sofferenza per quel giorno. Li ringrazio e rispetto i loro sforzi, perché è un lavoro che va fatto; ma io non ci ho provato.
La ragione del mio silenzio sull’11 settembre è che io non sono solo musulmano. Sono anche americano. E bianco. Sono maschio ed eterosessuale. Ma come americano non mi si chiede di riflettere sull’anniversario dello sgancio di bombe atomiche sul Giappone, o sui nostri innumerevoli interventi militari in tutto quanto il mondo. Per me, come bianco, non c’è data sul calendario in cui possa dimostrare che ho riflettuto attentamente sulla schiavitù e sulle generazioni di disuguaglianza e sadismo bianco tra l’età degli schiavi e il nostro ingiusto presente; potenzialmente potremmo anche avere un giorno del genere, ma spesso lo trasformiamo in un superficiale auto congratularsi. Come bianco, non mi si chiede di considerare gli omicidi ingiustificati di giovani uomini di colore da parte di poliziotti o civili bianchi o il terrorismo e le sparatorie nei gurdwara come un qualcosa di direttamente rilevante per la mia identità. Né, quale uomo etero, dispongo di una data per riflettere sulle raccapriccianti statistiche di stupri o sui modi in cui l’eterosessismo rende questa nazione poco sicura per molti.
Tuttavia, essendo musulmano, le persone si aspettano prove del mio esame di coscienza su un singolo evento, e i media mi insegnano regolarmente a vedere l’11 settembre come un cancro all’interno del mio corpo. I giornalisti mi chiedono della “crisi” dell’Islam come se fosse una sorta di demone privato con cui devo combattere ogni giorno; nel frattempo, il mio essere bianco rimane inalterato dal decennio di crimini fomentati dall’odio seguiti all’11 settembre. I giornalisti non chiedono così spesso se la “tradizione bianca” possa riconciliarsi con le moderne idee di uguaglianza e multiculturalismo, o se la “comunità di uomini eterosessuali” sia in grado di vivere in pace in America. Quando si tratta della mia partecipazione all’America, è altamente probabile che il mio essere maschio e bianco danneggi l’altro più del mio essere musulmano, e perciò forse è questo primo aspetto ad avere una maggiore necessità di “riforme” o “istruzione” o di qualsiasi cosa si pensi abbia bisogno l’Islam. Di nuovo, questo solo se i numeri contano qualcosa.
Sì, c’è qualcosa che noi, l’auto-identificatosi “Occidente”, non capiamo: noi stessi. Vediamo la violenza che vogliamo vedere. Ignoriamo la nostra eredità di odio e distruzione, chiedendoci continuamente come loro possano anche solo guardarsi allo specchio.
Michael Muhammad Knight è uno scrittore americano convertitosi all’Islam all’età di 15 anni.