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La Little Italy di Montréal è il luogo perfetto per mangiare pizza e riflettere sull’immigrazione

Little Italya montreal

Quanti di noi si ricordano la canzone che faceva: “Aveva una casetta piccolina in Canada, con vasche, pesciolini e tanti fiori di lillà“. Mi sono sempre chiesta a chi fosse venuta la bizzarra idea di parlare di una casetta nel mezzo del Canada per poi scoprire che questa canzone del 1957 coincideva con una delle più grandi ondate migratorie Italiane verso il Canada, quella del 1950-60 .

Tra il 1896 ed il 1915 furono 16 milioni, negli anni ‘50-’60 altri 7 milioni gli Italiani lasciarono il Bel Paese. Il migrante medio era giovane, analfabeta di sesso maschile ed in cerca di lavoro stagionale o permanente. Noi italiani eravamo visti come sporchi, incivili, e questo rifiuto da parte della società autoctona accrebbe il bisogno di creare intorno ad essi una comunità, che preservasse le tradizioni regionali, la lingua e il dialetto. Il quartiere a maggioranza etnica non é dunque che un bozzolo dove essere protetti e sentirsi sicuri, aspettando di uscire dall’anonimato sociale e dalla marginalità.

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Le China Town di Milano, dove tutti parlano cinese e circola un giornale in cinese, non é altro che la Little Italy di Montréal o di Toronto o di tanti altre nel mondo. E i porti Italiani, quando aperti, non sono altro che la Banchina numero 21 di Halifax, dove flotte di Italiani dal Veneto fino a Marsala, approdavano. E approdavano in massa.

Gli Italiani approdano ad Halifax, 1957. Foto via Museo Pier 21

Forse quelle casetta in Canada era una di quelle che si trovano nella Petite Italie di Montréal, città dove tanti Italiani sono emigrati, una piccola isola tricolore a predominanza Meridionale, non lontano dal quartiere hipster di Miles End. E qui ad ogni angolo di strada, la comunità italiana si sente e si vede.

Mercato Jean Tolo little italy montreal
Mercato di Jean Talon

Chi arrivava e decideva di rimanere a Montréal cercava di arrabattarsi come poteva; ancora oggi nella Little Italy ci sono esempi di quello che divenne uno dei lavori più comuni all’epoca: il venditore ambulante di frutta e verdura.
Ora il Mercato di Jean Talon ospita le bancarelle e negozietti di coloro che, da ambulanti riuscirono ad accaparrarsi un gruzzoletto che permise loro di comprare appezzamenti di terra e trovare una sicurezza economica, stabilendosi poi nel mercato.

Qui si susseguono infatti, uno dietro l’altro nomi Italiani: Nadia, Pietro e Leopoldo, tra fichi d’india e piante di basilico genovese, e qualche “store” più specializzato e nuovo come il Pastificio Sacchetto.

Un fruttivendolo della Little Italy di Montréal e l’espresso del Bar Sportivo.

Addentrandosi nella Little Italy di Montrèal, si sente parlare un misto di dialetto, italiano, francese e inglese. C’è il supermercato Fruiterie Milano: fuori un’insegna indica l’offerta del giorno: i Babà. Entrando, si stagliano scaffali di prodotti e marche che non vedo da anni, ce n’é per tutti i gusti, una scelta infinita.

E proprio a qualche metro di distanza vedo il Caffé Italia. Dal 1956 è uno dei ritrovi per antonomasia dei montrealesi-italiani.

Insieme al Bar Sportivo, è sempre stato il ritrovo per un caffé ed una chiacchierata.

Caffè Italia

Affissi su tutti i muri, poster di celebri momenti della storia dello sport Italiano, da Coppi e Bartali, la Ferrari e la Formula 1 e i Mondiali del 1986. Sembra essere tornati nell’Italia degli anni ‘60 o in uno di quei bar vecchio stile con sedie in legno che trovi ancora in provincia.

Bar Sportivo

Nella vetrina dietro al bar sono in vendita mazzi di carte, il talco e prodotti della Pro Raso. Io ordino un espresso e mi metto a chiacchierare con il manager, che mi chiede di dove sono, inizialmente scambiandomi per una spagnola. Gli domando se si sente più italiano o più canadese. È nato qui da genitori Italiani, in qualche modo vuole prendere le distanze dalle sue origini, dice che noi italiani abbiamo un’altra mentalità, che gli italo-canadesi hanno fatto propria la cultura del “business” nordamericana. Loro, gli immigrati italiani, si sono dovuti adattare, avere lungimiranza, così la loro mentalità è cambiata. Seduto di fianco a me c’è in pausa pranzo il nipote del fondatore di Caffè Italia: lavora al bar sin dagli anni dell’adolescenza, adesso ne ha 21, e mi dice che studia finanza, non sarà lui a portare avanti il bar.

Anche io vado in pausa pranzo. A qualche strada di distanza si trova Pizzeria Napoletana, nata inizialmente come un bar di ritrovo nel 1948. I prezzi sono onesti, tra gli 8 e 13 euro, e i nomi delle pizze ricordano qualche scorcio italiano: Amalfitana, Forcella, Caracciola, Veneziana. Vedo qualche pizza passarmi di fianco e mi sembrano un po’ piatte, ma gli ingredienti e accostamenti non sono bizzarri, hanno pure la soppressata. In preda ad una nostalgia di Napoli decido di prendere una Margellina con mozzarella, pomodori e carciofi.

La pizza Margellina della Pizzeria Napoletana di Montréal

Mentre aspetto la mia pizza una giovane coppia si vede sfilare via il piatto di polpette, per essere sostituito da porzioni di pasta, gnocchi, una pizza da condividere a cui aggiungono un tantino di olio piccante presente su tutti i tavoli. E due pepsi. Diet pepsi.

Uno dei camerieri mi chiede cosa faccio qui a Montréal, gli dico che sono in vacanza e gli chiedo se lui andrà in vacanza in Italia. “L’Italia non é un posto per le vacanze. Ogni volta che vai devi fare il giro per salutare tutti gli zii, cugini, se non passi da qualcuno allora se la prendono male…No, non ci vado”. Non posso che immedesimarmi – di fatto mi trovo in vacanza in Canada e non in Sicilia.

Inizio anche a chiacchierare con la signora che si siede al tavolo a fianco a me e ha visto la mia macchina fotografica. “Dove vivo io ci sono i greci che fanno la pizza, sono venuta qui per la prima volta e mi ricorda proprio di quando vivevo in questo quartiere tra gli Italiani” e aggiunge “Questa é proprio la vera pizza, come me la ricordavo!”. Non voglio correggerla, anche se ammetto che è meglio di quanto mi aspettassi. È sottile, ma l’impasto non e di cartone e ha una certa elasticità. Le chiedo com’era vivere nel quartiere circa 40 anni fa. Mi dice che gli italiani erano ben visti, la vicina di casa la invitava sempre a mangiare, ma ne parla però avendo la percezione di un bambina: lontano da questioni come razzismo e denigrazione. Non è infatti così che gli Italiani erano trattati.

Finisco la mia pizza, il chinotto e mi congedo, perché ho un appuntamento a Casa d’Italia. Negli anni ’30, con l’arrivo di immigrati, gli esponenti della comunità che si trovavano qui già da un pezzo, cercarono di raccogliere fondi per erigere un edificio in cui gli italiani potessero riunirsi e sentirsi a casa. Il palazzo fu eretto nel 1936 grazie a circa 4.000 persone che contribuirono sia finanziariamente che attivamente, mettendo un mattone sull’altro. La missione di questo centro di cultura italiano è di preservare l’eredità e la memoria collettiva della comunità Italiana, che inevitabilmente si sta affievolendo con il passare degli anni, visto che le seconde e terze generazioni iniziano a sentirsi sempre più canadesi.

Nancy Marelli che mi mostra gli archivi


Sull’emigrazione italiana ci sarebbero intere biblioteche e archivi da riempire. Nancy Marelli si occupa infatti di questo. Per quarant’anni è stata un archivista, i suoi genitori sono delle Marche e della Calabria si sono conosciuti a Montréal dove è nata. Le chiedo se sia facile o meno recuperare materiale per l’archivio. Lei mi dice che non c’è rimasto molto dei primi decenni del XX secolo: “Non otterremo mai tutti i documenti che desideriamo, ma si lavoriamo nella speranza di raccogliere un campione rappresentativo. È importante contattare tutte le istituzioni e le organizzazioni regionali che si sono formate sul territorio. Ma in generale, gli Italiani che emigrarono all’inizio del secolo erano analfabeti e senza educazione, non capivano l’importanza che lettere, fotografie, documenti avrebbero potuto avere nel tempo”. Oggi abbiamo continue riprese di traversate di barconi che ci fanno capire la situazioni precarie dei migranti che raggiungono le coste europee, ma nello secolo scorso c’erano soltanto i racconti orali a testimoniare la fatica e a volte la tragedia della migrazione.

Mi porta al piano inferiore dove sono gli archivi: scaffali, un sistema di luce ultravioletta e di raffreddamento per evitare che i documenti si distruggano nel tempo. Mi fa vedere alcune copie del Corriere Italiano, con centinaia di annunci e informazioni su come la comunità italiana vivesse in quegli anni.
Quando le chiedo il primo ricordo di quando era piccola, mi dice: “I Cappelletti”, e aggiunge “Ovvio, sono delle Marche! Sono molto italiana e molto nordamericana, posso distinguere le mie due identità. La cosa che credo mi renda più italiana è il senso della famiglia… ed il cibo!” mi dice. “Siamo comunque cittadini globali. L’immigrato, viene in un posto nuovo e si adatta. Anche la mia famiglia ha contribuito a fare di Montréal il posto che é adesso.”

Alcuni utensili costruiti dagli italiani durante il loro internamento


Tra i reperti che l’archivio possiede, anche degli utensili costruiti durante il periodo di internamento degli Italiani in Canada, perché la propaganda fascista contribuì ad inasprire il clima di tensione attorno alla comunità italiana, e nel Giugno del 1940 circa 17.000 Italo-canadesi furono dichiarati “enemy allies”, alleati del nemico. Circa 700 persone furono internate, senza aver commesso alcun reato; l’unica colpa era di essere di origini Italiane. Tra di loro anche il famoso pittore Guido Nincheri, poiché in uno dei suoi più grandi affreschi nella Chiesa della Signora della Difesa, nel centro della Little Italy, su commissione aveva dipinto tra gli uomini illustri della chiesa e dell’ambiente politico Mussolini.

L’affresco di Guido Nincheri nella Chiesa della Signora della Difesa, Montréal


Vado a vedere la Chiesa della Signora della Difesa, e mentre aspetto che apra per la messa, mi dirigo nella Pasticceria Alati-Caserta che è esattamente lì davanti Come si deduce dal nome, le specialità pasticcere sono quelle campane e io faccio incetta di mini code e sfogliatelle da portare ai mieipadroni di casa, mentre i proprietari continuano a impilare nei frighi, torte che sono state prenotate. Ce ne saranno circa settanta.

La Chiesa ora è aperta e posso guardarmi intorno, notare i bellissimi affreschi di uno degli artisti più rinomati del Nord America, seppur Italiano.

Come mi dice Nancy, moltissimi immigrati hanno apportato contributi incredibili alla vita canadese. Penso, ad esempio, che se gli italiani non fossero arrivati in Canada, forse non ci sarebbero mai stati i terrazzi all’aperto. Fu infatti il Bar Diplomatico di Toronto, del signor Mastrangelo, ad introdurre l’usanza di uno spazio all’aperto di fronte ai locali, cosa che era naturale in quasi tutti i bar del sud Italia e che presto andò di moda anche a Toronto. Integrando le proprie abitudini e tradizioni sociali, gli italiani hanno aiutato a migliorare la città, cosa che è stata possibile anche grazie all’apertura mentale della classe politica. La possibilità degli immigrati Italiani, come per la comunità greca, cinese e delle altre, di poter uscire dai loro piccoli mondi di quartiere fu data grazie alla decisione del governo federale del Canada di adottare il multiculturalismo come politica ufficiale. L’accettazione.

Adesso fra le seconde-terze generazioni c’è chi ha deciso di distaccarsi dalle aziende di famiglia, e chi invece sta elevando e modernizzando il business dei loro nonni, proprio come Stefano Faita e Michele Forgione, che hanno aperto la Pizzeria GEMA, consigliatami da Nancy. Un pò più gastronomica delle altre in giro, sempre nel cuore di Little Italy; decido di passarci il giorno dopo. Il concept di pizza d’asporto stile drive è qualcosa che ho visto raramente.

La pizzeria Gema da asporto.

Il menu d’asporto si limita a gelati e pizze con una sorpresa, la Mozzarella di Bufala Quebechese. Siccome sono una gran fan del formaggio prendo una Stefano: mozzarella di Bufala del Quebec, Taleggio, pecorino, gorgonzola e menta.

La pizza mozzarella di Bufala del Quebec, Taleggio, pecorino, gorgonzola e menta.

C’è una fila enorme e mi metto ad aspettare pensando a questa mozzarella di Bufala del Quebec, un grande melting pot che rispecchia la multiculturalità del Canada. Mi avvio verso casa addentando una fetta e penso a quale sarà il futuro delle popolazioni migranti in Italia.

Che questa pizza alla mozzarella di bufala del Quebec possa essere il predecessore, in Italia, dell’harissa tunisina al peperoncino di Soverato o il jollof nigeriano con il Riso Arborio della Pianura Padana? Sarebbe bellissimo.

Apriamoli sti porti.

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