Nello sconfinato e spettacolare panorama del Sudan orientale, è stato scoperto un insieme di tombe deposte nel corso di molteplici generazioni, la cui configurazione e ampia distribuzione ricorda la forma delle galassie. Lo studio che le ha rilevate ha combinato lavoro sul campo, strumenti cosmologici e tecnologie di rilevamento a distanza (o remote-sensing).
La regione collinare di Kassala, in Sudan, che si trova a ovest del confine del paese con l’Eritrea, è abitata dal popolo semi-nomade dei Beja da almeno 2.000 anni, ma la sua storia umana si estende molto più indietro nel tempo, fino alla preistoria. Nel mezzo del panorama arido di Kassala, ci sono moltissimi monumenti funebri, comprese tombe islamiche note come qubbas, che hanno origini ancora oscure, legate a diversi periodi e culture.
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Gli archeologi sudanesi hanno condotto lavoro sul campo per anni intorno a Kassala collaborando con gruppi di colleghi internazionali, ma la regione è rimasta comunque relativamente inesplorata, per via delle sua posizione remota e la mancanza di infrastrutture.
Ora, un gruppo di ricercatori guidato da Stefano Costanzo, dottorando in archeologia dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale,” ha usato immagini satellitari e rilevato oltre 10.000 monumenti funebri in un’area di circa 4.000 chilometri quadrati, rivelando come finora “gli studiosi abbiano drasticamente sottostimato la quantità di qubbas presenti nella regione,” spiega lo studio pubblicato a luglio 2021 sulla rivista open-access PLOS ONE.
Inoltre, Costanzo e colleghi hanno impiegato alcuni strumenti tipicamente usati negli studi cosmologici per determinare che le tombe sono posizionate in insiemi simili a galassie, con monumenti “principali” che agiscono da “centri di gravità invisibili” intorno ai quali si sono poi accumulate le altre tombe, spiega lo studio.
Il team—che include il co-autore Habab Idriss Ahmed, archeologo originario proprio di Kassala che lavora per la Corporazione Nazionale delle Antichità e dei Musei sudanese—ha raggiunto questo traguardo applicando per la prima volta strumenti di statistica spaziale sviluppati per la cosmologia a una ricerca archeologica.
“Questo tipo di studio aggiunge molte informazioni importanti per noi archeologi,” spiega Ahmed a VICE in una chiamata insieme a Costanzo. “Perché ci permette di conoscere la vera ampiezza della regione che ospita questi monumenti.”
“È stata una vera scoperta,” aggiunge Costanzo. “Alle volte dici: ‘Oh, abbiamo fatto questa scoperta,’ sapendo a cosa saresti andato incontro. In questo caso è diverso, perché pensavamo di trovare magari un migliaio di monumenti, invece ne abbiamo trovati 10.000.”
“Dal mio punto di vista è proprio incredibile,” aggiunge. “Non me lo sarei mai aspettato.”
Costanzo ha esaminato inizialmente l’area selezionata—che coincide con una regione poco popolata che collega la riva orientale del fiume Gash alle pendici dell’Altopiano Eritreo—usando immagini satellitari open-access. Poi ha marchiato tutti i monumenti riconoscibili e visibili nel panorama, confermando un volume inaspettato di qubbas.
I ricercatori non erano sconvolti solo dall’abbondanza di tombe nell’area, ma anche dalla loro distribuzione, che non appariva conforme alla analisi topologiche tradizionali. Filippo Brandolini, ricercatore all’Università di Newcastle e tra gli autori dello studio, ha avuto l’idea di usare il processo stocastico a cluster di Neyman-Scott (usato in genere, appunto, in cosmologia) per gettare luce sulla strana configurazione.
“Abbiamo iniziato a pensare che doveva esserci una ragione invisibile o impercettibile della distribuzione,” spiega Costanzo. “[Filippo Brandolini] ha fatto ricerche estese e ha applicato il processo di Neyman-Scott.”
Dare in pasto la configurazione delle tombe allo strumento cosmologico ha permesso di ricostruire una “cosmogonia delle tombe” composta da “cluster di punti satellite che orbitano intorno a un punto principale,” spiega lo studio. Questi siti principali, che fungono un po’ da nucleo della galassia, coincidono con i punti in cui le condizioni per la sepoltura sono ideali e ricchi di materiali di costruzione. Il team ha ipotizzato che i siti centrali potessero contenere le tombe più antiche e culturalmente importanti, e che le tombe più recenti si fossero irradiate partendo da lì, come le stelle in un disco galattico.
Sia Costanzo che Ahmed hanno sottolineato l’importanza della gente di Kassala per lo studio, perché le loro tradizioni orali e la loro cultura sono state fondamentali per il lavoro degli archeologi sul campo. I ricercatori sperano che questo studio possa portare a una maggiore attenzione e protezione di questi incredibili monumenti, che rischiano di essere saccheggiati da predatori attirati dalla corsa all’oro nella regione.
“L’archeologia è un lavoro di comunità,” dice Ahmed. “È molto importante coinvolgere le persone del luogo sia per la loro eredità culturale, sia per il ruolo che possono giocare nel proteggere questi luoghi.”
“Penso che il Sudan orientale, in sé, meriti più riconoscimenti ufficiali. Non è solo questione di proteggere questi siti dai predatori mettendo delle guardie; è necessario riconoscerli proprio come patrimonio culturale,” conclude Costanzo. “Sarebbe un risultato immenso per questo tipo di ricerca.”