L’unica intervista italiana a Mac DeMarco

mac demarco studio gear

Mac DeMarco non ha idea di chi sia Lil Nas X.


Non gliene si può fare una colpa, ma dice molto di quello che vuole dalla sua vita e dalla sua carriera, oggi. Dato che il suo album si chiama Here Comes The Cowboy, rompo il ghiaccio chiedendogli che cosa ne pensa dell’amore per il country che sembra aver colpito gli Stati Uniti al di fuori della bible belt. Gli cito le grida di esaltazione dell’intera stampa internazionale per Kacey Musgraves e, appunto, il caso di Lil Nas—rapper sconosciuto che, con un pezzo che campiona i Nine Inch Nails e un bel cappello in testa, ha sfondato prima su TikTok e poi le classifiche scatenando una discussione su cosa è country e cosa non lo è. Insomma, anche quell’avvoltoio di Diplo si è appena messo un paio di Wrangler per non perdere il treno.

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Bé, lui non mi sa dire niente e mi dice che “non userebbe proprio il termine ‘country’ per definire il suo album.” E quindi lo interrompo, gli spiego che era solo per ragionare un pochetto su uno dei temi più attuali del mercato musicale delle sue parti. Ma capisco subito che non è cosa, e che Mac preferirebbe parlare di altro. Potevo aspettarmelo, data la sua reazione alla polemiketta nata quando qualcuno gli ha fatto notare che un altro grosso album indie uscito l’anno scorso aveva “cowboy” nel titolo e un singolo intitolato “Nobody”.

“Non sono per niente bravo a restare al passo con nulla”, ha detto Mac a proposito. E ad ascoltare il suo disco, e a parlargli, sembra proprio vero. Here Comes The Cowboy è un disco a cui si vedono le costole, risultato di una dieta fatta di paraorecchie e indifferenza alle cose del mondo. “Sei stanco di stare in città, ficcato in mezzo a tutta la bella gente / Hai bisogno di una vacanza, di un posto in cui nessuno sognerebbe mai di andare”, canta in “Finally Alone”. Chiedo quindi a Mac quanto di lui ci sia in questa voglia, detto terra terra, di levarsi dalle palle. “Sono tre anni che sono a Los Angeles ma saranno almeno dodici, da quando ho cominciato a suonare, che vivo una situazione di alti e bassi rispetto a dove mi trovo”, mi spiega.

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La copertina di Another One di Mac DeMarco, una foto di lui sull’acqua a Far Rockaway. Cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify.

Prima Mac stava a Far Rockaway, ai confini di New York City, in una casa sull’acqua piuttosto normale dove aveva invitato i suoi fan a venirlo a trovare con un messaggio inserito alla fine di Another One, il suo ultimo EP. “Mi ero trasferito lì perché, in un certo senso, volevo una vita normale. Era un bel posto, lontano da tutto, con l’aeroporto vicino. Ma dopo un po’ io e la mia ragazza ci siamo guardati negli occhi e ci siamo resi conto che ci voleva un’ora e mezza di treno ogni volta che volevamo andare in città. Quando ho deciso di comprare casa con lei, quindi, abbiamo pensato di cambiare ogni cosa. E a New York oggettivamente costava troppo.”

Il punto è che Mac ha trent’anni e, come tutti i ragazzi della sua (e della mia generazione), ha iniziato a dover gestire gli esaurimenti che la maturità nel 2019 porta con sé: gli affitti esagerati, gli effetti deleteri dei social media sulla propria tranquillità, i gratuiti toni guerreschi dell’opinione online. In “Preoccupied” lo dice in modo piuttosto esplicito: “Hai aperto la mente / E l’hai riempita di stronzate / Hai chiuso a chiave il tuo cuore / Senza nemmeno saperlo / Deve essere un segno / Dei giorni in cui viviamo / Siamo preoccupati / E nessuno lo nasconde“.

“Quelle parole parlano di quello che stanno diventando gli esseri umani, in particolare per come internet ci sta cambiando”, mi spiega Mac. “Penso che molti di noi si stiano facendo fregare a livello emotivo, proviamo cose che non ci sarebbe mai venuto in mente di provare se non fossimo lì a scrollare o a farci fregare dal clickbait. È come se ci fossero dei trucchetti sempre pronti a fregarci, e il trucchetto più grande sta nel fatto che nessuno pensa di essere lui quello che sta venendo fregato”. Sono parole che sento molto, dato che con internet e le sue logiche gridate ci lavoro e la cosa ogni tanto mi fa stare male.

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Fotografia di Coley Brown

“Io non ho più Instagram”, mi risponde Mac. “C’è un sacco di gente che ha la mia, la nostra età e non ha la minima idea di come muoversi su internet, ma sono più i ragazzi più giovani e la gente più vecchia a preoccuparmi. I primi hanno conosciuto solo questo internet più… pubblico? E i secondi, invece, si sono solo lanciati su questa strana cosa che tutti stavano usando senza pensarci troppo”. Per Mac, e per me, internet era “un posto strano per gente strana dove guardavi solo cose strane e parlavi con altra gente come te”, adesso è solo “un’enorme macchina pubblicitaria che fa stare male la gente perché OMMIODDIO NON HO PRESO ABBASTANZA LIKE SU INSTAGRAM!”

In tutto questo, spiega Mac, trova un centro di gravità permanente nella sua ragazza, Keira, a cui dedica la dolcissima “K”: “Man mano che il vento soffia via gli anni, baby / Più mi conosco / E man mano l’amore che provo per te cresce”. Per Mac l’amore non è slancio verso un oggetto desiderato, è reciproca conoscenza e miglioramento: “Non so davvero perché / Resti al mio fianco / Ovunque io vada”, cantava anni fa Mac su “My Kind Of Woman”, a suggerire il bisogno di una spalla a cui appoggiarsi man mano che il suo cazzeggiare con gli strumenti diventava una carriera.

Nell’ombra del minchione senza un dente che si infilava una bacchetta di batteria nel culo si poteva già indovinare la persona che Mac è oggi. “Chamber Of Reflection” era, per esempio, un pezzo contemplativo arrotolato attorno a un dubbio: se sto bene quando mi guardo dentro, non è che sono solo un reietto? Non è che sto allontanando tutto quello che sta fuori? Il problema, secondo Mac, è che molti si sono fermati alle goliardate da palco e alle interviste buffe.

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La copertina di Here Comes The Cowboy di Mac DeMarco, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify.

“Penso che la mia carriera non rispecchi proprio alla perfezione la persona che sono oggi. In questi anni ho notato che non sono stato io a ‘scolpire’ la mia reputazione, l’idea di ciò che sono in quanto individuo. È la gente definisce che cos’è la mia musica, definisce me in quanto persona, e una volta che questa immagine si è formata del tutto è difficile modificarla”, mi dice Mac. È quello che intende quando dice “Non puoi tornare a essere nessuno” in “Nobody”. Il mio pensiero torna a Far Rockaway: magari invitare i suoi fan era un modo per mostrargli il vero Mac, e non quello di cui si erano fatti un’idea ascoltando i suoi pezzi?

A quanto pare, no. Mac voleva incontrare le persone che avevano capito quello che era e che quindi si sarebbero fatte lo sbattimento di andare fino alla sua porta. Non quelle che lo seguivano su Instagram “per farsi due risate. Non voleva “mostrare il vero me”, voleva “conoscere loro“. Mac va avanti: “Dietro c’era anche la voglia di eliminare quell’idea del musicista come cool guy, del tipo che suona in una band… sono idiozie. Ero solo un tizio normale che viveva in una casa di merda in periferia a New York. Credo che la mia missione, da qualche tempo, sia diventata spiegare alla gente che io e la mia band non siamo niente se non degli strambi canadesi ubriaconi, sovrappeso e non proprio affidabili [weird overweight sketchy drunk Canadian guys, nda].”

Chiedo a Mac se la sua identità italiana c’entra qualcosa con tutto questo—magari come tanti stanno facendo in questo periodo storico ha esplorato il passato della sua famiglia, in cerca di una guida? “In questo periodo storico qua in Canada e negli Stati Uniti ci stiamo tutti facendo domande sulle nostre origini, essendo tutti di terza e quarta generazione”, ribatte lui. “Ci sono anche situazioni un po’ così, tipo gente che scopre di essere al 15% di qualche parte del mondo e all’improvviso HA UN’IDENTITÀ CULTURALE! Non è molto cosa mia, anche se la capisco e la apprezzo”. Ad ogni modo, Mac pensa che la sua famiglia sia napoletana. Non ha mai incontrato suo nonno e dice che sua nonna “faceva finta” di essere una “New York Mama che ti riempiva di cibo”.

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Fotografia di Coley Brown

A tendere fili tra l’Italia e Mac c’è però la nostra storia musicale. Qualche tempo fa Mac usò un classico dell’italodsico, cioè “Dolce Vita” dell’italianissimo Ryan Paris, nel suo documentario Pepperoni Playboy. Il vecchio Ryan se ne accorse e registrò un messaggio in un inglese splendidamente imbarazzante per ringraziare Mac, e lui rispose proponendogli di collaborare e dandogli la sua mail. Ancora, però, i due non si sono incontrati: “Abbiamo cominciato a scriverci ma non ci siamo mai incontrati di persona, non so bene dove viva ma quando siamo venuti in Italia non c’è stata occasione,” mi spiega.

Voglio però capire meglio che cosa abbia attratto Mac a “Dolce Vita”: “Sono attratto dai testi così”, continua. “Sono strani, quasi non hanno senso, è come se li avesse scritti un ragazzino. Ma grazie a questo hanno una certa bellezza e innocenza. Ascolto molti artisti giapponesi che quando cantano nella loro lingua se ne escono con cose iper poetiche, e poi quando si danno all’inglese ti viene da dire… ma perché hanno scelto queste parole? Ed è figo, è anche liberatorio in un certo senso.” Colgo l’occasione per parlargli delle band punk giapponesi che cantano in italiano. Lui, da cultore della zona, sembra interessato.

L’ultima cosa che chiedo a Mac è di spiegarmi come vive il tempo che passa. Non così male, mi sembra, ad ascoltare “All Of Our Yesterdays”: “Tutti i nostri ieri se ne sono andati / E non significa che il tuo sogno sia finito / E il tuo cuore non ha rallentato / È un peccato lamentarsi / Una volta che tutti i nostri ieri se ne sono andati via“. “Sono anni e anni che faccio ‘sta roba e mi sembra di aver compresso un sacco di esperienze di vita in uno spazio molto piccolo,” spiega lui prima di salutarmi. “Sono stato in un sacco di posti, ho fatto un sacco di cose e conosciuto un sacco di persone. Ed è successo tutto così velocemente che quasi non me ne sono reso conto. Quando mi metto a scrivere i miei dischi mi chiedo sempre a che punto sono arrivato, ‘Che cazzo è successo? Stavolta forse questo sentimento mi è arrivato addosso un po’ più forte di prima. E dirlo mi fa stare meglio.”

Mac DeMarco suonerà al Circolo Magnolia di Milano lunedì 8 luglio.

Elia è su Instagram.

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