Come farti pagare se sei un DJ alle prime armi

Una persona con delle cuffie e un computer alla VFNO.

Foto di Riccardo Fantoni

Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

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Proprio in questi giorni è uscito in Italia We Are Your Friends, un film sul mondo dei DJ in cui Zac Efron che vuole fare il DJ e si innamora di Emily Ratajkowski. Questo è tutto ciò che dovete sapere sul film, che è interessante perché mostra come fare il DJ sia diventato una specie di status symbol.

Senza voler discutere più di tanto della questione, è innegabile che oggi chiunque sia convinto di poter diventare Steve Aoki con due chiavette USB e un microfono. E ammesso che in passato sia mai stato possibile, oggi è sempre più difficile capire la differenza tra un buon DJ e uno più o meno capace. Ma allora come si può fare per arrivare al punto in cui si viene pagati per suonare un DJ set?

Perché siamo tutti d’accordo che essere pagati per il proprio lavoro sia una cosa giusta e uno dei pilastri su cui si fonda la nostra società, ma in alcuni ambiti professionali—sopratutto in quelli artistici—non è una cosa così scontata. E tra questi ambiti c’è sicuramente la musica.

In particolare, per i DJ più giovani farsi pagare è difficile, principalmente perché sono circondati da una marea di altri DJ giovani pronti a prendere il loro posto. Per capire come uscire da questa situazione, ho parlato con alcuni DJ giovani ma già piuttosto affermati che gravitano intorno alla scena club di Milano.


Immagine via Noisey

La prima persona con cui ho parlato è stata Osiris, un cavaliere della techno milanese. Non so come funzioni per voi, ma di solito un buon DJ techno è uno che sa scegliere e mixare bene le tracce ed è capace di far oscillare l’umore del pubblico tra estasi e ansia—ecco, lui sa farlo.

“Di solito, quando ritorno a casa dopo un DJ set, ho in tasca gli stessi 15 euro che avevo prima. Se ho comprato le sigarette me ne restano dieci e 20 centesimi, per cui a volte mi capita di chiedermi il perché di quello che ho appena fatto,” mi ha detto.

La maggior parte delle volte in cui non stato pagato è stato perché ha deciso di non chiedere nulla: “di solito le persone per cui suono sono amici che ho conosciuto per la musica, e non mi piace chiedere soldi ai miei amici.” Nonostante questo, ovviamente, stima molto chi a fine serata gli riconosce comunque un contributo economico, anche se il suo cachet non è così alto.

Mi ha anche detto che di solito la riuscita della serata non influisce sul compenso—sempre che sia previsto un compenso—ma che gli è anche capitato di suonare in un locale che è rimasto vuoto e di ricevere meno soldi proprio per quel motivo. “Sono stato d’accordo con quella decisione. Ma mi è anche capitato di non ricevere assolutamente nulla e avere una sala che stava per scoppiare.”

In ogni caso, bisogna non aspettarsi niente ed essere pronti a tutto—un po’ perché l’ambiente è ad alto tasso di sostanze alteranti, un po’ perché è pieno di stronzi. “Una volta a fine serata sono andato a chiedere il mio compenso e il proprietario del posto mi ha spiegato che in realtà ero io a dovergli 20 euro di consumazioni,” mi ha raccontato Osiris. “Sono corso via velocissimo e sono anche inciampato, ma tanto venti euro non ce li avevo.


Immagine via Facebook

Un altro degli artisti con cui ho parlato è stato NOT for US, che è un po’ lo Zac Efron italiano. È stato uno dei finalisti dell’ultima edizione di Top DJ—il che gli ha facilitato un po’ le cose in termini di riuscire a essere pagato per il suo lavoro, anche se prima di finire in televisione è comunque passato anche lui per la tipica gavetta fatta di locali in periferia e feste in cui ti chiedono di mettere quella famosa.

Secondo lui, per emergere in un ambiente così competitivo bisogna dedicare molto tempo alle proprie produzioni e al proprio suono: “È avere un forte marchio di fabbrica, qualcosa che contraddistingua i tuoi suoni da tutto il resto e ti renda riconoscibile al pubblico.”

Per quanto riguarda l’aspetto economico, da quello che mi ha detto ha confermato l’idea che i giovani DJ non abbiano alcun potere contrattuale, “ma in fondo se vuoi suonare perché ti piace farlo, almeno all’inizio non ti importerà granché della parte economica.”Anche per NOT for US è stato così, ma dopo un minimo di gavetta ha capito come giravano le cose e ha iniziato a mettersi i primi soldi in tasca. “Comunque nulla che superasse i 100 euro a serata e alla fine si trattava sempre del risultato di una discussione, più che per ciò che avevo fatto in consolle”.

Ovviamente la partecipazione a Top DJ ha cambiato questa routine: “Sono stato messo sotto contratto da un’agenzia, quindi non mi occupo più della parte economica personalmente”. Questo gli permette di non dover discutere con i promoter ed evitare la parte in cui bisogna fargli capire che un DJ a zero budget è una mancanza di rispetto, prima ancora che verso il DJ, nei confronti di tutti quei disperati che decidono di trascorrere le loro serate all’interno del suo locale.

“Detto questo, sono convinto che i soldi non debbano sempre essere sempre una discriminante, ci sono eventi particolarmente interessanti per i quali non pretendo neanche di essere pagato, visto la pubblicità che comportano e le opportunità che creano. Il consiglio che mi sento di dare è di parlare della parte economica in modo chiaro e prima di dare la propria disponibilità, anche se sembra una cosa scontata se sei un DJ alle prime armi non lo è assolutamente”.

Ovviamente dovete mettervi bene in testa che i promoter sono consapevoli di avere la fila di persone in cerca di cinque minuti di gloria a spippolare in consolle, quindi “Dovete fare in modo che non ci sia nessun altro, distinguetevi, saranno il vostro stile e la vostra bravura a parlare (e guadagnare) per voi”.


Immagine via Facebook

Arid Blue è un ragazzo di Genova che si è trasferito a Glasgow per studiare, ma che ha iniziato a mettere i dischi quando viveva a Milano. È diventato piuttosto noto nell’ambiente milanese con il nome di Samsara Means War, il suo precedente pseudonimo. La sua gavetta è iniziata in quel di Genova tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, ma per i primi tempi non ha prestato attenzione al lato economico della sua attività, il suo unico obiettivo era farsi conoscere e avere la possibilità di suonare il più volte possibile.

“La prima volta che sono stato pagato per una serata era maggio 2012. L’evento faceva parte di un festival organizzato da un’associazione culturare genovese e la cifra è stata più simbolica che altro”. Negli anni ha frequentato quello che era il club di riferimento nella scena genovese per le serate non da zarri, “riposa in pace Milk Club”, e ha iniziato a farsi un nome nell’ambiente, stringendo legami con le diverse persone coinvolte, dai DJ ai gestori dei locali.

“Queste sono state le prime persone a offrirmi degli slot per mettere dischi, sia come set di apertura o di supporto agli headliner di questi eventi. Le prime volte ovviamente non venivo mai pagato, ma di nuovo non mi interessava. Avevo l’opportunità di mettere i dischi, fare esperienze e proporre musica che mi piaceva. Credo vivessi tutto ciò con lo spirito che fare questo tipo di gavetta sarebbe stato prezioso, e col senno di poi lo posso dire con certezza”. Probabilmente uno dei passi fondamentali per diventare un buon DJ è conoscere persone che condividano le vostre visioni della musica e la vostra ricerca di nuovi suoni.

Col tempo Arid Blue ha iniziato a beccare i primi ingaggi pagati, ma la questione dei soldi è sempre stata sullo fondo delle considerazioni sull’accettare di fare una serata o meno. “Prima di tutto consideravo il contesto e quanto avrebbe potuto contribuire nell’identificare il mio progetto. Sono convinto che fare i soldi non sia un buon principio se si vogliono avere più opportunità”.

Quando si è trasferito a Milano nel 2013 aveva già parecchia gavetta sulle spalle, ma venendo da Genova – musicalmente parlando – gli sembrava di dover ricominciare tutto da capo. “Invece, grazie a un po’ di esperienza accumulata nel tempo, sia musicale che non, il supporto e la fiducia di alcune persone (grazie a PTWSCHOOL, di tutto) ho avuto l’opportunità di mettere i dischi in un contesto come il Club To Club, o aprire a Happa o Peverilist, per fare due nomi”. Queste esperienza hanno combaciato con i primi cachet rilevanti della sua carriera: “Cifre che alle volte mi stupivano per quello che, di fatto, mi era stato chiesto. Anche in quei casi per me si è sempre trattato di una passione e non di fare i soldi”.

La questione sui requisiti di professionalità di un DJ dal suo punto di vista è tanto semplice quanto sconcertante. Per lui si è trattato di networking, ma solitamente le prime opportunità valide dipendono da quanto sei conosciuto in giro e da quanta fiducia ispiri, perché almeno all’inizio le considerazioni sulle qualità personali vengono in secondo piano o dipendono dalla mentalità di chi organizza, e anche in quel caso si tratta di un compromesso tra la propria sensibilità musicale e la necessità di far quadrare i conti del locale.

“Lo dico con schiettezza, la professionalità della mia prima serata era unicamente la mia voglia di mettere i dischi. Credo che valutare tutti gli aspetti tecnici, le prime volte, possa addirittura ostacolare la propria esperienza formativa in questo ambiente”. Certo, bisogna quantomeno avere un’idea generale di quello che si vuole proporre musicalmente parlando e un minimo di conoscenze tecniche per evitare spiacevoli imprevisti e mantenere una certa naturalezza in quello che si fa, ma tutti questi aspetti si coltivano serata dopo serata.

“Penso sia legittimo che chi viene chiamato per mettere i dischi venga retribuito, la questione è che non c’è un criterio di riferimento per stabilire come e quanto. Credo che una base minima, sulla quale poter addirittura esigere, siano cose come il viaggio, l’alloggio, la durata del set e forse le consumazioni. Tutto il resto credo stia da una parte nella sensibilità e responsabilità di chi organizza nel riconoscere attraverso un compenso il valore delle qualità per cui sei stato chiamato, dall’altra parte, nella valutazione personale delle proprie capacità e pretese”. Quindi, se non venite pagati per un DJ set che siete sicuri di aver fatto come Dio comanda, probabilmente è ora di cancellare il nome del tizio che vi ha fatto suonare dalla vostra rubrica, il che vale anche per i frequentatori di un locale che non paga i propri DJ: probabilmente non vale gli otto euro che gli mollate per ogni drink.

“Una volta qualcuno mi ha detto che uno dei tratti distintivi delle arti è la loro gratuità. Credo di essere rimasto colpito da queste parole perché è il modo in cui ho sempre vissuto l’essere coinvolto nella musica. Alla fine a me fa più piacere sentire che il pubblico apprezza il set ciò che propongo che quanto prenderò come compenso. I soldi sono importanti, ma meno di altre cose”.


Il Club To Club di Torino, immagine via Facebook

Sicuramente possedere le capacità tecniche, qualsiasi sia lo strumento utilizzato per il DJ set, ed avere una proposta musicale personale e selezionata con un minimo di carattere è il requisito fondamentale per un DJ. Purtroppo la maggior parte di chi offre lavoro ai DJ, soprattutto in Italia, non si cura di nessuna delle due cose. Durante questo sondaggio abbiamo parlato anche con uno dei musicisti più validi sulla scena milanese, che ha preferito restare anonimo perché “questi discorsi non hanno niente a che fare con la musica”.

“Spesso l’importante è che ci sia una persona/jukebox, possibilmente di bell’aspetto, che metta musica (magari qualcosa di tendenza in quel particolare momento) il che mi rende parecchio triste visto che va contro tutte le motivazioni per cui produco musica e cerco di proporla tramite i DJ set. Ho sempre pensato al DJ set come uno strumento per far scoprire o per scoprire musica nuova ed innovativa, oltre che per far ballare le persone. Fare un set esattamente con quello che si aspetta il pubblico che ti sta ascoltando trovo sia pessimo, se non addirittura offensivo, in alcune circostanze”.

Anche per lui il modo migliore per risaltare tra la massa probabilmente è impegnarsi in set coerenti ed innovativi, da suonare in posti dove possono essere apprezzati. Suonare in eventi in cui a nessuno interessa della tua musica è uno degli errori più frequenti che un DJ possa fare, è uno spreco di tempo che può avere anche conseguenze negative, perché il giudizio di chi non ha gli strumenti per comprendere la musica che state proponendo difficilmente si farà una buona opinione di voi. Farsi pagare è spesso in contrasto con le mire artistiche di chi mette i dischi, quindi talvolta, nella giusta situazione, si può scegliere di rinunciare al denaro in cambio di un nuovo stimolo creativo: “Una volta sono stato chiamato a suonare ad un open air organizzato da amici, che però mi chiesero di suonare con un compenso. Durante l’open air il mal tempo ha costretto gli organizzatori a spostare tutto all’interno di una struttura adiacente, una specie di sottotetto. Ne è venuto fuori una sorta di squat party non autorizzato e ho suonato per quasi quattro ore davanti a un centinaio di persone che erano rimaste fino all’ultimo. Non ho messo in tasca un centesimo, ma cazzo se lo rifarei”.


Immagine via Facebook.

Bianca Weiss Tabaton è una DJ che negli ultimi anni è stata resident di alcune delle serate più di successo della città. Pochi giorni fa ha annuciato che farà parte della prossima stagione di Akeem Of Zamunda. Anche lei viene da Genova e ha iniato a suonare per gioco, in un locale della città. “Lo si faceva per passione e divertimento, in cambio di qualche birra”, all’epoca non immaginava che potesse diventare un lavoro, ma dopo essersi trasferita a Milano e aver visto come giravano le cose, ha cambiato idea. “Ho iniziato a mettere musica in posti dove altre persone facevano i DJ di professione e ho capito che in questa città poteva essere anche per me una fonte di guadagno reale. Subito mi sono adeguata a quello che mi veniva offerto e piano piano, senza nemmeno pianificarlo, ma con molta umiltà, l’ho fatto diventare un lavoro”.

Da lì a poco è diventata resident in un club importante della città e ha iniziato a crederci anche di più. Il primo passo nella sua carriera è stata la consapevolezza delle proprie capacità, che è fondamentale per essere trattati con rispetto dai gestori, ma bisogna anche riuscire a rimanere con i piedi ben ancorati a terra. Conoscere bene quali siano le proprie capacità è il primo passo per poter essere trattati con rispetto dai gestori, ma devi saper rimanere (giustamente) con i piedi per terra e mantenere buoni i rapporti umani: “non c’è niente di peggio del DJ locale arrogante solo perché suona in un posto figo o perché gli girano bene le cose. Non stiamo salvando il mondo, e non siamo star internazionali”. Ed è questo il motivo per cui nessuno è andato a vedere il film di Zac Efron.

Per quanto riguarda la fatica di farsi pagare, “sicuramente l’era social ha giocato un ruolo fondamentale per chi come me si è potuto creare un personaggio e farsi conoscere, anche solo per sentito dire, in un posto così devoto all’apparenza come Milano. Le PR sono perciò fondamentali tanto quanto l’avere reali capacità dietro la consolle”. La città per Bianca è stata cruciale, anche per il legame che ha con il mondo della moda, serate organizzate da brand o eventi di marchi famosi sono una bella vetrina e hanno spesso un adeguato budget da dedicare alla parte artistica. Di pari passo con la voglia di monetizzare è fondamentale che rimanga ben accesa la passione, “perché se tu DJ non ti diverti e non esprimi la gioia e il piacere che hai nel mettere i dischi, difficilmente potrai incendiare il pubblico o far venire a qualcuno la voglia di chiamarti, pur bravo tecnicamente che tu possa essere”.

Durante il percorso sarà impossibile non imbattersi in una quantità incredibile di persone che proveranno a fare di tutto pur di non pagarvi, anche scomparire per mesi. “Bisogna imparare ad armarsi di tanta pazienza e anche di qualche brutta risposta. Dopo dieci anni in questo lavoro ancora ripeto che preferisco un sano ‘Hey, non c’è budget, ma la serata è figa’ alle promesse non mantenute”.