Música

Sono stata al concerto di Noname con Madame

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Capita, in realtà quasi mai, che scrivendo un’intervista si immagini/auspichi per essa un destinatario ben preciso. Chiacchierando con Madame, 17 anni da Vicenza (dato anagrafico questo che, nello sfortunato caso in cui fossi stata una teen-mom, avrebbe potuto fare di lei mia figlia) ho sentito crescere il desiderio di fare leggere quanto segue non tanto ai suoi, quanto ai miei coetanei. Perché mi pare, avendoci talvolta mio malgrado a che fare, che tra quest’ultimi serpeggi un sorta di repulsione a priori (diffusa, per altro, a tappeto anche tra gli over 40, ma a ben guardare anche in una buona fetta di ventenni, insomma, un casino) nei confronti degli adolescenti. Perché la trap, i social, la trap, la trap, bla bla bla.

E così tocca sentire gente non qualunque, ma che lavora nel settore, incensare Cosmo, per esempio, e allo stesso tempo rifilarti il pistolotto moralizzatore sui vari Sfera e Capo Plaza perché “parlano di droga”. Tocca, davvero, beccarsi il mugugnare di DJ, musicisti e organizzatori di eventi che rimpiangono Manu Chao e respingono in blocco un intero genere, dicendo, non senza una certa fierezza, che “io quella roba non l’ho mai neanche ascoltata”. Ecco, a queste persone, a cui sfugge l’innegabile equazione per la quale il modo più rapido e senza ritorno di invecchiare è quello di terrorizzarsi e fare muro davanti ai giovani e alle loro passioni, vorrei far leggere le parole di Francesca in arte Madame.

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Nemmeno maggiorenne, Madame ha già trovato il coraggio di buttarsi in una mischia in stragrande maggioranza maschile, senza accodarsi a suoni e temi già canonizzati, ma con un linguaggio del tutto nuovo, che per ora ha preso forma prima nelle pieghe sinuose di “Anna” e poi in quella bomba ipnotica che è “Sciccherie”. Con quel singolo, che ci ha fatto puntare gli occhi dritti su di lei e la sua chioma selvatica, facendoci pensare, come abbiamo scritto qualche mese fa, di avere davanti “non la prossima rapper del momento, ma un nuovo modello di rapper. E questo perché non assomiglia per niente a tutte le rapper del momento. Il suo punto di forza è proprio il suo essere sopra le righe, un elemento di rottura nella scena, con la sua genuinità e il suo anticonformismo in punta di piedi”.

Ora che anche Sugar ha captato le frequenze ad altissimo potenziale di questa artista, scoperta in primis dagli Arcade Boyz, i mesi a venire saranno di sicuro densi di cose; quali e quando, però, in teoria, era l’unico argomento da skippare, in un’intervista all’insegna della massima libertà. In origine credevo e un po’ temevo che io e Madame saremmo state attentamente sottoposte a vigilanza multipla, perché mi avevano avvisata che si sarebbe presentata in Santeria con genitori e amica del cuore al seguito. Ma il suo addetto stampa Luca è stato parzialmente preso in ostaggio dalla logorrea del sempre meno misterioso fotografo di Noisey, mentre mamma e papà non avevano alcuna intenzione di ascoltare la sottoscritta chiacchierare con la figlia, ma solo di cenare il prima possibile. Ho, invece, ritrovato parecchie puntate di Concertini, da Roshelle a Ghemon, presenti, così come moltissimi altri musicisti (Mahmood, Francesca Michielin, Tommy Kuti) all’unica data italiana della queen di Chicago, Noname. E proprio da lei, che è da poco uscita dall’anonimato con quel gioiello di disco che è Room 25, sono partita a parlare con la Madame.

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L’autrice e Madame

Noisey: Stasera si esibisce Noname: sei sua fan o sei qui più per curiosità?
Madame: La seconda. Mi piace scoprire gli artisti di primo impatto, senza conoscerli in modo approfondito, per vedere che effetto mi fanno. Oggi, comunque, ero in studio da Don Joe e Roshelle, che è presa benissimo dal live di stasera e m’ha fatto ascoltare dei pezzi di Noname. M’è sembrato una bella bomba.

Ti capita spesso di andare a concerti?
Sinceramente no, perché sono un po’ un lupo solitario. A volte scherzando dico che ho scelto di fare l’artista per non stare in mezzo al pubblico, ma per stare sul palco, da sola. Scherzi a parte, il motivo principale per cui non vado a così tanti concerti è che c’è troppa gente, la ressa mi dà un senso di soffocamento.

Sei claustrofobica anche tu?
Abbastanza.

Piccolo test di misurazione del livello di claustrofobia della Madame: ti chiudi a chiave nei bagni?
Molto spesso, sì.

L’ascensore lo prendi?
Dipende. Quello di casa sì, quelli super vecchi, con le corde a vista che vanno su e giù, mi fammi impressione e se posso evito. Diciamo che più degli spazi chiusi accuso la folla.

Okay, allora stasera stiamo in fondo.
Sempre!

Senti, mi racconti come sei stata accolta, così giovane e femmina, nella scena rap italiana?
Molto bene. Innanzitutto, va detto, sono stata introdotta da due youtuber, che sono gli Arcade Boyz, che ho corteggiato a lungo mandandogli bozze e pezzi, finché non sono riuscita a farli innamorare di “Sciccherie”. Da lì sono entrata in Arcade Army Records, e da quel momento i numeri hanno iniziato davvero a crescere. Il primo artista che mi ha scritto per complimentarsi è stato Garfo, poi ha iniziato a seguirmi Night Skinny, e poi è diventato tutto incredibilmente veloce, un piccolo passo alla volta sì, ma ogni passo era sempre più violento, in senso buono, e infatti il mio motto è proprio “lenti ma violenti”.

Me lo spieghi?
Fare le cose senza fretta, ma che siano quelle giuste, precise, che colpiscano. Un modo di vedere la musica che condivide anche Tredici Pietro, il terzo in ordine di tempo che mi ha scritto per dirmi che apprezzava “Sciccherie” e che è diventato un mio grandissimo amico, e questa è una delle cose più belle successe finora.

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Uno screenshot dal video di “Sciccherie”, cliccaci sopra per vederlo su YouTube.

Quindi non hai avvertito chissà che machismo tra i tuoi colleghi?
No, per nulla, ma io non sono esattamente la femmina… Femmina. Sono un po’ a metà: per dire ho sempre giocato a calcio, ho sempre ascoltato rap, ho sempre avuto amici maschi, non sono mai stata nella categoria “donna che sta con le donne”, e penso che questa cosa mi abbia parecchio aiutata a stringere buoni rapporti con i rapper. Faccio subito ballotta con i maschi, e loro, forse, non mi vedono tanto come una possibile partner, ma come una sorella. Pregiudizi nei miei confronti non li ho mai avvertiti, anzi, a volte mi sembra quasi di essere la più elogiata, proprio perché dicono “wow, è donna è fa ‘ste cose, ma spacca”. Io me la vivo proprio bene questa diversità dal genere predominante sulla scena.

Invece come vivi il cambiamento che, immagino, la notorietà ha portato nel tuo quotidiano?
Non parlerei di notorietà, perché non sono famosa, sono conosciuta da un po’ di gente che ama il genere che faccio. Spero di diventarlo, ma per ora volo basso, anche se sì, la mia vita è cambiata tantissimo. C’è un lavoro, ora, che fa parte in modo massiccio delle mie giornate, e da quando questo è diventato un lavoro mi sono sentita davvero catapultata in un’altra dimensione rispetto alle mie coetanee.

Ti senti più adulta?
Sicuramente. Ma quello già da prima della “notorietà”, forse perché vengo da una famiglia con genitori quasi sessantenni e ho un fratello di 25 anni, e sono sempre stata con i più grandi. Non ho fatto la prima elementare, e sono passata direttamente in seconda perché secondo le maestre sarebbe stato un anno sprecato.

Nessun effetto collaterale?
Per me è stato fantastico, anche se l’anno scorso sono stata bocciata perché mi sono presa un anno sabbatico dal liceo di scienze umane, abbandonandomi alla vita [ride].

E com’è un anno sabbatico a 15 anni?
Durissimo, in realtà. Un anno di tribolazioni vere e di ossessione per la musica. La musica è sempre l’origine di tutto, nella mia vita. Quell’anno, in sostanza, avevo trovato uno studio a Vicenza, con persone prese benissimo da quello che facevo e quindi ho iniziato a fare musica tutti i weekend e durante la settimana pensavo solo a quello. Di studiare, in quella fase lì, non me ne importava granché.

Facevi già rap?
Sì, sì. Poi dal rap sono passata alla trap ma la trap mi ha fatto schifo. Cioè, spiego: mi faceva schifo parlare di cose finte solo perché i temi che andavano erano quelli e dovevo adeguarmi. Mi faceva ridere fare delle canzoni dove parlavo di, per dire, vestiti che non avevo e magari manco mi interessava avere. Le mie canzoni trap finivano sempre per essere conscious, mentre il mio produttore di allora voleva che rimanessi sui soliti stereotipi, perché era proprio il momento di boom di Sfera, Dark Polo Gang eccetera. Poi sono andata in studio con Anna, nel senso che lei è proprio venuta con me fisicamente perché è un persona vera in carne e ossa, e volevo scrivere una canzone per il suo compleanno e, ovviamente, è venuta fuori “Anna”. Quel pezzo mi ha fatto capire con più chiarezza il genere che sentivo come mio. Scusa, sono logorroica. Per tornare alla domanda sull’anno sabbatico: se paragono il lavoro di oggi al “lavoro” di due anni fa, c’è una distanza abissale, quindi ti rispondo onestamente dicendoti che scrivevo quando ne avevo voglia, il resto del tempo dormivo, guardavo Netflix, fumavo. Ora basta, ho chiuso quella parentesi e ne ho aperta un’altra.

Oggi hai capito come gestire la scuola e la musica?
Abbastanza. Mi sono concessa quella pausa, e poi mi sono detta “okay, a posto, ora c’è da tirarsi su le maniche e fare tutto, sennò sono guai”. Poi da quando è arrivata Sugar ho capito che si stava facendo sul serio, e che non potevo più cazzeggiare in nessuno dei due ambiti. Sai, quando senti il nome di Caterina Caselli ti dai una bella raddrizzata. Persino mia mamma, che non ha mai creduto in questo percorso, grazie a lei s’è convinta che stavo davvero realizzando qualcosa.

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L’autrice e Madame

Quindi ora i tuoi accettano che farai musica nella vita?
Di più: supportano e apprezzano. Mio padre è il mio fan numero uno, mia madre inizia ad entusiasmarsi, il che è un risultato incredibile, dato che lei non ascolta mai musica.

Non sei cresciuta in mezzo ai dischi, dunque?
Sì, mio padre suona chitarra e pianoforte e sa tutto il repertorio di De André a memoria e mi ha passato questa passione per la musica italiana, per i cantautori. E di fatti ascolto ancora pochissima roba americana e moltissima italiana. E quando ho voglia di spararmi un capolavoro, torno parecchio indietro nel tempo, perché tra le cose contemporanee di capolavori non ce ne sono granché. A parte le cose di Izi e Rkomi, che sono i miei idoli assoluti.

Izi sta per tornare con un disco che mi dicono essere molto intimo, con dentro molta spiritualità. Che effetto ti fa?
Mi gasa moltissimo. Quando una canzone è introspettiva magari piace meno al grande pubblico, ma alle persone a cui arriva può cambiare la vita. Sia in Fenice che in Pizzicato le mie canzoni del cuore sono quelle con meno ascolti su Spotify.

In uno stand up di Netflix un comico italiano che si chiama Francesco De Carlo ha detto che la religione ammazza la nostra spiritualità, imponendo, vietando, mettendo tutta una serie di dogmi da rispettare che travisano il messaggio. Sei d’accordo?
Io sono nata in una famiglia cattolica, i miei sono credenti, anche se mio padre è più scettico (io, infatti, sono molto più simile a lui che a mia madre), domani che è Pasqua andranno a messa, io no. Però non sento di non avere alcuna spiritualità. Prima ho parlato di De André: lui era molto religioso, ma era al contempo anche super spirituale, e lo era facendosi mille pare mentali, mettendo in discussione quello che la Chiesa diceva, ma dandole, alla fine, anche ragione. Perché è vero che ci sono i dogmi, le regole, gli obblighi, ma in fondo c’è sempre un messaggio di amore: amare l’altro, amare se stessi. E secondo me quando si impara ad amare, le regole diventano automatiche, perché di base dicono non tradire, non rubare, non ammazzare e queste cose si fanno di conseguenza all’amore. Io, se si può dare come definizione, sono super pro-amore. Non credo in un Dio, ma se devo analizzare quello che dicono le scritture, beh, il messaggio è davvero forte, davvero bello. La Chiesa spesso lo corrompe. D’altronde la religione, come lo Stato, è sempre servita a controllare i popoli, non a far prevalere su tutto l’amore, che, se ci pensi, è il motore di tutto.

Avrebbe senso che anche la religione, come molte altre cose, oggi diventasse più fluida?
Sì, esatto, proprio così. Che non significa diventare tutti ignavi, per citare Dante, e non voler seguire nessuna bandiera, ma aprire la mente, rielaborare i concetti secondo il proprio senso del giusto e del bello, pescare un po’ di qua e un po’ di là e costruire il proprio senso delle cose. Che per me sarebbe, se non dovesse essere chiaro sufficientemente, che l’amore costruisce spiritualità e la spiritualità costruisce l’amore.

Sentendoti parlare mi chiedo ancora di più come mai ci sia tra gli “adulti” così tanta paura e così tanto discredito verso gli adolescenti. Tu che spiegazione ti dai?
Credo che la mia generazione stia portando tanti messaggi positivi, dal “se ci credi ce la fai”, che sento molto più forte e, appunto, credibile di prima, al fatto che c’è un’apertura mentale atomica, su grandi temi, come la sessualità, la razza, tutto, e questo è super positivo. Poi, magari, siamo parecchio individualisti, non crediamo tanto nella famiglia, nei valori tradizionali, ma smaniamo per raggiungere i nostri obiettivi.

E le ragazze come le vedi?
Le vedo belle concentrate. Non sognano più il matrimonio da principessa, ma sognano di diventare importanti, di fare politica, di diventare chirurgo. Non c’è più quel senso di “obbligo”, per esempio, del dover diventare madre: molte mie coetanee dicono tranquillamente che non lo vorranno mai essere, e questo in passato secondo me accadeva meno.

Rimanendo su tema femminile, che cosa ti chiedono di più le tue fan?
Mi chiedono soprattutto come si fa ad avere la forza per fare quello che faccio io. Poi mi dicono, più che chiedermi, anche se capisco che dietro a un “ti stimo per quello che hai fatto” c’è un sottinteso che dice “ma come ci sei riuscita? Dove hai trovato le palle per fare una roba così, a buttarti in un mondo così, andando contro corrente?”. Ecco, la domanda che in realtà mi fanno, senza farmela, è “dove hai trovato le braccia per nuotare contro corrente”. Questa scrivila perché è bellissima.

Certo. Però dimmi dove le hai trovate.
Ti rispondo con una farse fatta, anzi fattissima, ma vera: la risposta è dentro di noi. Non si tratta di conoscere le proprie potenzialità, perché secondo me uno quelle le conosce, perché se giochi a calcio e sei tu a segnare e non le tue compagne, lo sai che sei forte, no? Secondo me si tratta più di capire: “mi piace il calcio o mi piace la musica? Che cosa voglio davvero fare nella vita?” Guarda che questa cosa qui, per la mia generazione, che ha davanti mille possibilità, è difficile. Non si sa a cosa ambire. Si fa fatica e trovare un punto preciso e mirare solo a quello. Si tratta di andare alla radice della propria identità, chiedersi “Madame, ma tu fai musica per farla vedere a tutti quelli che ti hanno bullizzata da piccola, o perché ti piace davvero?”.

E c’è, una componente di rivalsa rispetto al passato in quello che stai facendo?
Sì. Non c’è solo un motivo per cui faccio le cose, ma ce ne sono tantissimi, intrinsechi, nascosti nel subconscio. Poi io studiando psicologia so quanto è incasinato il nostro cervello, e so che esiste anche una voglia di rivalsa nella mia musica.

E com’è la Madame quando sale sul palco?
Molto emotiva. Non riesco tanto a controllare le emozioni e le sensazioni. Per dire: se entro in una discoteca e c’è una persona che mi fa paura, io non ce la faccio a stare in quel posto, me ne devo andare. Prima dei live, passo mezz’ora a stare malissimo. Però dopo, sul palco, mi sento diversa, l’ansia c’è ancora, e a me arriva proprio quando la gente inizia a cantare la mia canzone, perché mi emoziono così tanto, sono così incredula che penso di non reggere. Poi respiro, riparto, mi inebrio e mi sento fattissima, tant’è che quando finisco chiedo a tutti com’è andata, perché io non mi ricordo niente. E pensa che ci arrivo lucidissima, in realtà, perché non bevo e non fumo, se non sporadicamente.

Lo fa per goderti tutto appieno?
Sì, mi prendo tutta la parte di merda e tutta la meraviglia. Perché se sei fatta mentre ti dedichi alla cosa che più ami, non stai neanche vivendo. Cazzo, sto facendo quello che mi gasa di più, e lo faccio stordita, intorpidita, sballata, che poi manco me lo ricordo? No, grazie.

Quando uscirà nuova musica?
A maggio. Vuoi sentire?

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Madame e l’autrice mentre ascoltano un suo nuovo pezzo

Ovviamente ho detto di sì, ho sentito, ma altrettanto ovviamente di questo non posso dire nulla, se non che ci ha dato spunto per riflettere sulla necessità o meno di spiegare la musica e in generale l’arte. Quando dico a Francesca che MYSS KETA, sempre in un passato concertino, mi ha detto di non avvertire più il pericolo di essere fraintesa, perché pensa che nel momento in cui si genera un’opera poi la si affida al mondo, che deve accoglierla e interpretarla, lei si dice ammirata, “perché ci vuole davvero molta sicurezza e maturità per non temere di essere male interpretati. Io ancora quella paura ce l’ho, tant’è che ho fatto un video con gli Arcade Boyz in cui spiegavo tutto “Sciccherie”, però, certo, capisco perfettamente il senso delle parole di MYSS e ambisco molto a raggiungere quella libertà. Deve dare una bellissima sensazione”.

Mentre entriamo in Santeria Social Club, sold out, e ci sistemiamo, come promesso, in fondo, vediamo Mahmood sgattaiolare verso il palco, e allora domando a Francesca se quest’ultimo Sanremo le ha fatto venire voglia di provarci, prima o poi, a salire su quel palco, e lei in un nano secondo mi ha già risposto che “sì, quello è un grande sogno. Cazzo, Sanremo, ci pensi? Sarebbe fighissimo”. E non faccio in tempo a risponderle, che le luci si spengono, per riaccendersi su un placo che Noname ha voluto bello affollato, perché il suo è un live tenuto su non solo dal suo flow e dalla sua personalità (che avercene, comunque) ma da una band più tre coristi che hanno subito portato il live su registri jazz, blues, soul. E mentre la voce di Fatimah ci racconta ora cosa brutali, ora violente, i suoi interludi con il pubblico sono, invece, pura gioia, puro divertimento, come quando, mio momento preferito, dice alla platea (che non l’ha mollata un secondo) di non giudicarla, “perché lo so che siamo nella capitale della moda, ma me non frega davvero un cazzo, per cui sono vestita così, this is my shit, non me ne vogliate”.

noname live milano
Noname

Noname porta un vero concerto, suonato, raccontato, rappato e cantato, vagamente Lauryn Hill, 100 percento Chicago, e avverto, dal senso di trepidazione di Francesca, che non è propriamente il suo. Così, alla fine, le faccio la domanda di rito che conclude il format, e le chiedo se le è piaciuto. “Sono felice di averlo visto”, mi risponde mentre fumiamo l’ultima, prima di salutarci, “perché ho amato la sua intensità, il modo con cui ha comunicato di continuo con il pubblico, preso benissimo, e quella è una cosa su cui vorrei lavorare tanto anche io, che aspiro a parlare tanto sul palco, ma sento di non essere ancora pronta al 100 percento. Musicalmente mi sono mancati i momenti davvero esplosivi, le manate in faccia. Avrei voluto una zampata in più, mentre, pur essendo molto di classe e molto cool, per me è rimasto tutto troppo ‘ambient’. Dovessi dare una sorta di giudizio finale, ti direi che sono molto felice di aver visto lo show di un’artista così elegante e comunicativa, ma mi è rimasta la voglia di sentire dell’arroganza, dell’aggressività”.

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Roshelle, Madame e Ghemon al concerto di Noname

Le chiedo se andrà a sentire Massimo Pericolo. “Sì, lui sicuro, mi piace tantissimo, e mi piaceva pure prima che esplodesse. L’unica cosa che mi chiedo su di lui è: ora che hai raccontato tutto il disagio, la depressione, la galera, la droga, eccetera, di che cosa parlerai ne prossimo album? Lo so, guardo sempre avanti e poco al presente, ma sento di vivere in un momento dove gli artisti vanno su e giù in un lampo, per cui non riesco a fare a meno di tenere ben salda la prospettiva”. Parola di Madame, 17 anni.

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