La madre di tutte le groupie

Ci piacciono i peni, ci piacciono le rockstar e amiamo i peni delle rockstar. Mentre molte star imprimevano le loro impronte nel cemento della Walk of Fame di Hollywood, altre leggende come Jimi Hendrix, Noel Redding e Jello Biafra impremevano i loro peni in erezione nell’alginato—quella roba che i dentisti usano per prendere l’impronta della dentatura—aggiungendo elementi all’impressionante collezione di calchi di pene custodita da Cynthia Plaster Caster. Perché l’ha fatto? Per andare a letto con loro, ovviamente. Erano gli anni Sessanta, e calchi e droghe non le sembravano due realtà così distanti. Oggi con le rockstar non ci va più a letto, ma sta scrivendo un’autobiografia. Le abbiamo chiesto di raccontarci alcuni episodi della sua vita.

VICE: Com’è iniziato tutto?
Cynthia: All’inizio sperimentavo un sacco di miscele di diversi prodotti, per capire come creare un negativo. Ho provato con l’argilla, i fogli di alluminio, la farina d’avena e persino la cera. Mi ero costruita il set perfetto. Tenevo tutto in una valigia con sopra scritto: The Plaster Casters of Chicago.

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Ma non hai cominciato subito a prendere i calchi delle rockstar, giusto?
No. Prima ho provato con alcuni amici. Io e la mia amica Diane giravamo per gli hotel con il set, e in men che non si dica tra le rockstar si era diffusa la notizia che a Chicago c’erano delle ragazze pazze che facevano i calchi dei peni alle rockstar. Appena qualche rockstar notava le nostre valigette ci chiedeva di salire nella sua stanza. Keith Moon si era detto d’accordo a provare a fare un calco con la cera. Fortunatamente, non avevamo niente con cui scaldarla. Solo dopo ho scoperto l’alginato, quella roba che usavano i dentisti per fare i calchi della dentatura. Lo uso ancora oggi.

Come sei arrivata a Jimi Hendrix?
Dava due concerti a Chicago. Uno al pomeriggio e uno alla sera. Diane e io siamo andate al concerto pomeridiano. Diane era l’addetta alla stimolazione e io mischiavo l’alginato.

Quindi faceva pompini al tizio di turno?
Sì, l’avevamo soprannominata “The Plater”. Dalla parola inglese “Plate” che significa pompino. Con Jimi eravamo nella sua stanza, insieme a tutta la sua band. Noi eravamo davvero emozionate. Mi ricordo che la sua presenza sembrava riempire la stanza. Era una stanza piccola, ma lui era così bello e aveva un culo che era uno schianto. Mi inginocchiai, per stare in una posizione comoda. Il pene eretto doveva essere infilato in una scatola riempita di alginato. Jimi lo ficcò dentro. È molto importante che i peli pubici siano unti durante tutto il processo, in modo che non rimangano attaccati all’alginato. Quella volta non erano unti bene e sono rimasti incastrati. Jimi era evidentemente infastidito. Se ne stava lì con il pene dentro quel bolo e io cercavo di sfilargli i peli uno ad uno. In quel momento ricordo che entrò il tour manager per ricordagli che doveva esibirsi a breve. Quando vide la scena disse, “Ah ok,” come se l’avesse già vista altre volte. “Ripasso dopo allora.”

Sei riuscita a liberare il pene di Jimi?
C’è voluto un po’ ma alla fine ce l’ho fatta. Versai subito il gesso nel calco e lo lascia lì per andare a vedere la sua seconda esibizione. Dopo lo show tornammo insieme in hotel. Ero curiosa di vedere com’era venuto il calco, e lo erano anche Jimi e il resto della band. Mentre lo toglievamo iniziò a sbriciolarsi ma io lo bloccai in tempo, e decisi di lasciarlo riposare tre giorni prima di estrarlo, per essere sicura al 100 percento che fosse secco.

Sull’appendiabiti dietro Cynthia ci sono i peni di: Eddie Brigati, Ronnie Barnett, Mike Diana, Bill Dolan. Foto di Ursula Barker

Normalmente quanto ci vuole?
12 ore minimo.

E quanto ci deve stare dentro il pene perché l’alginato si modelli?
Un minuto, un minuto e mezzo.

La storia di Jimi continua?
Si è conclusa in maniera scontata. C’era una festa dopo. Io andai a letto con Noel, Jimi era fatto e a un certo punto se ne andò mentre io me tornavo a casa con la sua parte migliore. Il suo pezzo purtroppo uscì in tre parti. Ma le ho attaccate con la colla a presa rapida ed è venuto alla grande.

E con Noel che è successo?
Oh, ci siamo divertiti. Un paio di mesi dopo tornarono da me e presi anche il suo calco, che ricordava un po’ una coda di un maiale.

Cioè, il suo pene ha davvero la forma di una coda di maiale?
No. Noel, ovviamente, era un po’ deluso e non lo trovava divertente. Io lo trovo carino e non è stata l’unica volta che il risultato è venuto un po’ strano.

Ma Jimi Hendrix non era la tua prima esperienza da groupie, giusto?
No. La prima band per cui ho fatto la groupie sono stati i Rolling Stones. Erano a Chicago per registrare 12×5. Chiamai l’hotel per chiedere della stanza di Bill Wymans. In verità lui non mi interessava molto, ma pensai che tutte le altre ragazze che chiamavano avrebbero chiesto della stanza di Keith o quella di Mick, e che in quel modo la receptionist non avrebbe sospettato che cercavo la band. Funzionò e mi passarono la sua stanza, ma io attaccai. Andai là con una mia amica. C’erano anche altre ragazze ad aspettarli. Quando arrivarono rimasi a bocca aperta e gli corsi in contro. Mi buttai su uno di loro, ed ero talmente eccitata e confusa che finii su Andrew Loog Oldham, il loro manager. Iniziò subito a provarci con me. Non avevo ancora mai baciato un ragazzo ed ero impacciata. Lui era come un tornado, mentre io me ne stavo là immobile. La mia amica Kathy seguì il gruppo di sopra e mi lasciò sola nella lobby. Era di sopra a spassarsela con Keith e Mick quando all’improvviso arrivò Andrew con una pistola e iniziò a puntarla contro chi era nella stanza, finché qualcuno non gliela tolse. Kathy scese da me con un volto pallido e impaurito e mi disse che queste cose non facevano per lei. Ma per me era solo l’inizio.

I Kiss hanno scritto una canzone per te, avevate qualche tipo di relazione?
I Kiss non sono tra le mie band preferite. All’epoca non li avevo mai visti e non ero mai andata a un loro concerto. Posso solo fare delle speculazioni sul perché Gene Simmons mi abbia dedicato una canzone. O voleva un calco del suo pene e la canzone era pensata come un messaggio, o voleva che la gente pensasse che io gli avevo fatto un calco.

Qual era la tua rockstar preferita?
Ray Davies.

Hai un suo calco?
No, anche se lui voleva farlo. All’epoca vivevo a Los Angeles e girava voce che lui volesse rendere eterno a tutti costi il suo pene. Io non ci credevo molto. Lo incontrai a una festa e gli chiesi conferma, e lui disse di sì, ma io ero comunque scettica. Un giorno me lo trovai alla porta di casa, ma non c’era nessun’altra delle ragazze con me, quindi gli dissi che lo avremmo fatto un’altra volta.

È tornato?
Con gli anni ho imparato che bisogna prendere le occasioni al volo. Come catturare una preda

Chi aveva il cazzo più bello?
Direi David Yow. Il suo calco è stupendo.

Foto di Jeff Economy.

Cos’è che rende bello un pene?
Be’, i peni circoncisi hanno un sacco di dettagli in più. Un pene non circonciso è comunque bello da eretto, ma più noioso. Spesso si vede poco la cappella. Quello che amo della mia collezione è vederli tutti insieme. Di tutti i tipi e di tutte le grandezze.

Non sarà per le storie che ci sono dietro?
Certo, come anche per la musica. I calchi mi ricordano di quanto amo la musica. Ho scelto scrupolosamente i soggetti. Non si può sempre arrivare al cantante della band preferita, ma in quei casi ci si accontenta del bassista o del batterista.

Ti sei mai innamorata di una rockstar?
Non ho mai avuto relazioni durature con nessuno di loro. E loro non rimanevano a lungo a Chicago. Le band venivano per i concerti. Non li conoscevo davvero. Se avessi vissuto a New York o a Londra come loro forse sarebbe successo, ma così ci si divertiva e basta. Una, due volte. Ho vissuto un po’ a Los Angeles ma non è successo niente, in quel periodo ero stanca. E dopo un po’ una realizza che le rockstar non sono persone con cui stare. Pretendono troppo, sono innamorate solo di se stesse e hanno bisogno di continua attenzione. Tra noi erano più che altro orge e sveltine.

Le femministe che ne dicono della tua arte?
Non ho fatto tutto questo in una prospettiva femminista. Non volevo provocare nessuno. Le femministe della vecchia scuola non ne hanno capito l’aspetto divertente. Fondamentalmente io l’ho fatto per divertirmi. Si trattava di sesso, e ovviamente del senso di euforia dato dall’idea di stare con una star. Era questione di poter salire al loro livello e ritrovarcisi alla pari.

Ma non l’hai mai considerata un’arte? I calchi intendo.
No. Frank Zappa la definì un’arte e io gli dissi che era pazzo. La chiamò una forma d’arte espressionista.

Come lo hai conosciuto?
I Mothers of Invention erano in tour con i Cream. E io li desideravo. Soprattutto Eric Clapton. Mi trovavo in una stanza con Eric e lui disse, “A me piacerebbe ma un mio amico lo farebbe ancora più volentieri.” L’amico era Frank Zappa. Un mese dopo Frank venne a Chicago e disse che era interessato alla storia delle Caster. Gli avevo raccontato che mi sarebbe piaciuto aprire un museo, e a lui quell’idea era piaciuta. Mi portò a Los Angeles e si mise a cercare i soldi per il museo mentre io continuavo la collezione.