Attualità

Possiamo smettere di ‘credere’ a Martina Dell’Ombra?

Il Protocollo Italiano d’Emergenza è molto chiaro: se avviene una tragedia devi immediatamente arrabbiarti. Non necessariamente per la tragedia in sé, di sicuro devi arrabbiarti con le reazioni sui social che ha provocato. In parte è anche una regola sensata, visto che ogni avvenimento drammatico porta con sé un bolo di battute-riflessioni-accuse-sdegno che sfiancherebbe Gandhi, ma per lo più è una sorta di automatismo.

In particolar modo è il rapporto con l’ironia a sembrare un po’ complesso e a dividere Facebook in due categorie: quelli che affrontano l’accaduto usando la satira e quelli che si incazzano con loro.

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È anche discretamente normale. Fare satira su un argomento su cui c’è un coinvolgimento collettivo molto forte e recente porterà a reazioni emotive estreme da una parte del pubblico. Allo stesso tempo lo sdegno deve essere un sentimento che regala grandi soddisfazioni e scariche dopaminergiche, perché qualsiasi tipo di gag su argomenti sensibili tende a regalare a chi le fa un aumento esponenziale di pubblico, fan, interazioni e via dicendo.

Ovviamente anche le reazioni del pubblico hanno le loro sfumature: si va dal Compare dell’Internet che coglie i differenti livelli del gioco, all’Arrabbiato che non riesce a credere alla perversione/cattiveria di quello che sta leggendo o guardando.

In Italia coltiviamo una serie di personaggi con cui ci piace incazzarci a cadenze regolari. Uno di questi è Martina Dell’Ombra, una ragazza normale con il grande sogno della politica (cit. Martina Dell’Ombra).

Il personaggio-troll che si è costruita negli ultimi due anni è sempre stato molto riconoscibile e coerente con se stesso: un monumento alla giovane borghesia pariolina/universale, mediamente analfabeta e inquietante. In ogni video Martina affronta un argomento politicamente rilevante, dirottando brutalmente il ragionamento verso conclusioni ugualmente surreali e verosimili nel loro populismo extreme edition.

Un buon esempio è il video in cui suggerisce delle *soluzioni* al problema dell’immigrazione:

Per farlo, prende degli orribili e difusissimi luoghi comuni (vedi: aiutiamoli a casa loro) e li porta a un parossismo tale da farli esplodere in schegge di follia totale, come la proposta di creare una linea d’abbigliamento apposita per gli immigrati che non si sanno vestire.

È un meccanismo efficace perché molto semplice e istantaneamente percepibile, ma soprattutto replicabile all’infinito su qualsiasi tema: in questo caso non importa la ricerca di originalità—le fregnacce di Martina Dell’Ombra funzionano esattamente perché sono scontate—ma solo l’intento derisorio verso la peggiore massa italica.

Eppure è incredibile come neanche la ripetizione né il raggiungimento di considerevoli vette di mancanza di senso siano riusciti a depistare una buona fetta dei commentatori dei suoi video—ovvero quelli che, ignorando il suo personaggio, sono fermamente convinti si tratti di ragionamenti seri.

D’altronde come potrebbe non essere serio qualcuno che suggerisca che nelle scuole napoletane venga aggiunta come materia di insegnamento “andare in motorino senza casco”? Mi sembra tutto assolutamente logico.

Tuttavia, anche noi che comprendiamo il suo meccanismo sappiamo stare molto bene allo scherzo: da quando è comparsa Martina Dell’Ombra è stato tutto uno scatenarsi di giornali che la “smascheravano”, da Wired in poi, così come di commentatori che, dopo aver dichiarato di sostenerla, sostengono che nello specifico caso di turno Martina abbia “proprio esagerato.”

Proprio come accaduto l’altro ieri, quando Martina ha pubblicato un video sul terremoto nel Centro Italia.


Non ci vuole molto a immaginare il tenore dei commenti generati dal video; ma siccome so che la vita è faticosa, ecco qui uno scambio esemplificativo individuato da me medesima.

È chiaro che anche stavolta buona parte dei commentatori abbia inteso alla lettera il video, senza percepire alcun piano di ironia, come è chiaro che il video abbia l’intento di generare questo tipo di reazioni. Non solo perché è esattamente questa falsata credibilità a rendere interessante un personaggio, ma anche perché, più in generale, una quota di provocazione può legittimamente abitare dentro una battuta, anche se il tema della battuta comprende dei morti e anche se i morti sono tanti.

Non mi credete? Credete a Louis Ck:

In questi giorni Martina Dell’Ombra non è l’unica ad essersi incasinata la vita con la questione dell’”ambiguità”: anche Lo Sgargabonzi nei suoi ultimi post a tema affronta notevoli secchiate di odio nei commenti.

Quello che è interessante in questo caso è il modo in cui Lo Sgargabonzi ha portato avanti la gag, sfottendo il pubblico con una serie di scuse per le battute infelici sul terremoto e segnalazioni utili, sostanzialmente neutralizzando hater e nemici del ragionamento a più piani.

Infatti quello che sembra sfuggire a molte altre persone è che spesso la tragedia o la vittima non sono l’obiettivo della satira, ma uno strumento. Inoltre, credo sarebbe abbastanza difficoltoso mettere su un tribunale delle barzellette che decida su cosa possiamo sganasciarci serenamente e cosa invece ci rende dei mostri.

Una delle funzioni della satira è costringere l’attenzione umana verso passeggiate vagamente meno comode, verso qualcosa di estraneo, a volte magari disturbante, ma allo stesso tempo vero e condivisibile. Per altro non è difficile osservare che proprio l’uso di simboli “forti” causa commenti e reazioni estremamente più violenti della battuta stessa, illuminando a giorno l’ipocrisia basilare di chi, per difendere quella che sente come dignità violata di alcuni morti per esempio, augura a sua volta una morte violenta all’autore sconosciuto di una battuta irrilevante sull’internet. Tutto perfettamente chiaro e coerente.

Non c’è bisogno però di arrivare alle funzioni della satira per rendersi conto che il pietismo da polli da batteria #prayfor è sterile per sua natura, non suscita alcun tipo di riflessione nonostante ne abbia l’intento dichiarato. E non ce n’è bisogno neanche per rendersi conto che è giusto e sano provare a scalfire un conformismo abbastanza inquietante e cementato in tutti i nostri cuoricini amanti delle bufale e delle bandierine sulla foto profilo.

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