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Cosa significa che sono state trovate “tracce di materia organica” su Marte

Mentre SpaceX continua a perfezionare i suoi lanci (che si parli di campagne pubblicitarie o razzi), la NASA continua a fare ricerca scientifica senza tregua. Vi ricordate del rover Curiosity? Quel simpatico aggeggio tecnologico, grande come un SUV e dal peso di circa una tonnellata che da cinque anni raccoglie ed analizza campioni sulla superficie del Pianeta Rosso?

Perché il protagonista dell’ultimo annuncio dell’agenzia spaziale americana è proprio lui, il nostro simpatico esploratore spaziale che ha scovato sulla superficie di Marte qualcosa che ha fatto impazzire tutti i giornali, facendo gridare la stampa alla scoperta di vita aliena.

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Che cosa ha alzato il polverone?

Dal suo arrivo sul pianeta, il rover ha passeggiato per circa 19 chilometri nel cratere Gale, che si crede essere il letto di un antichissimo lago essiccato. Qui, scavando nel sottosuolo per recuperare del materiale e riscaldando in una specie di forno questi sedimenti di almeno 3 miliardi di anni ad una temperatura di circa 500 gradi, i suoi strumenti sono riusciti ad individuare un insieme di materiali organici e volatili che ricordano la composizione delle rocce sedimentarie ricche di materiale biologico che abbiamo qui sulla Terra. Per quanto sensazionale, questa notizia in sé non è così travolgente dato che già in passato la NASA stessa ha pubblicato l’osservazione di tracce di materiale organico sul pianeta.

Un’immagine del foto scavato da Curiosity dal diametro di 1,6 cm. Immagine via NASA

Che cosa è cambiato questa volta?

La notizia davvero sensazionale di questa storia, come si legge nel report scientifico che è liberamente accessibile Science, sta nel fatto che Curiosity ha monitorato le variazioni stagionali di questo materiale organico nell’atmosfera marziana, in particolare quelle di metano (per gli amici chimici, CH4).

Il patter stagionale di metano presente nell’atmosfera marziana. I valori sono la media dei dati ottenuti in oltre 3 anni di misure. Immagine via SCIENCE

Queste misure, che si sono protratte per circa tre anni Marziani (che equivalgono a circa 6 anni terrestri), hanno mostrato per la prima volta un pattern che si ripete nella composizione atmosferica del pianeta, come se questo “respirasse.”

Questo metano potrebbe derivare da reazioni alla superficie tra rocce e acqua (o vapore acqueo nell’aria) — in altre parole, potrebbero esserci dei veri e proprio serbatoi di materiale organico nel substrato marziano che, con il caldo, lasciano sfuggire una parte di esso nell’atmosfera. Bisogna ovviamente considerare anche la possibilità di uno scambio di materiale all’interno del sistema solare; eppure, un modello che tiene conto di tutti questi fattori (e altri elencati nel paper) non riesce a descrivere in maniera completamente conclusiva il pattern misurato.

Questo dettaglio apre le porte all’ipotesi di un’origine biologica di questo metano, proprio come avviene qui nel pianeta Blu.

È giusto parlare di “segni di vita” su Marte?

“Non lo sappiamo ancora, ma questi risultati ci dicono che siamo sulla strada giusta” ha dichiarato Michael Meyer, lo scienziato al capo del “Mars Exploration Program” della NASA. Sebbene infatti Curiosity non sia riuscito a individuare l’origine precisa delle molecole organiche — se queste siano testimonianze di una vita passata, di cibo per questa vita o se si tratti semplicemente di materiale organico in assenza di vita —, rappresentano comunque una chiara evidenza del fatto che, in un passato distante, la superficie di Marte avrebbe potuto ospitare l’acqua, essenziale alla vita biologia per come la conosciamo, proprio come si è visto dai dati delle rocce nel cratere Gale.

Un’immagine dal Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) della NASA che mostra un cratere da impatto che assomiglia ad un girino a causa della valle scavata dall’acqua che probabilmente la riempiva. Immagine via NASA.

“Questo nuovo riscontro è emozionante, perché è relativo a rocce vecchie miliardi di anni,” spiega Jennifer Eigenbrode, biochimica e geologa co-autrice del report in un video appena pubblicato sul canale YouTube della NASA. “Il che significa che il materiale organico contenuto in esse è estremamente antico.”

“Non ci sta dicendo che c’è stata vita lì, ma che tutto quello di cui gli organismi avrebbero avuto bisogno per sopravvivere in quell’ambiente era a loro disposizione,” ha dichiarato inoltre la scienziata in un comunicato. Una condizione necessaria ma non sufficiente alla vita, per utilizzare un gergo matematico.


I piani della NASA comunque non si fermano qui: un nuovo rover (NASA 2020), assieme all’ExoMarsdell’ESA partiranno tra pochi anni verso il pianeta Rosso, per cercare di rispondere a una delle domande più antiche dell’uomo: siamo soli nell’universo?

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