La morte è dappertutto. Magari può sembrarti tetro, ma la verità è che per ogni essere vivente arriverà la fine. È l’unica certezza che abbiamo fin dall’attimo in cui nasciamo e forse è l’unica cosa che dà un senso alla nostra esistenza.
Eppure, la maggior parte di noi è estremamente a disagio quando pensa alla fine della vita, a tal punto da provare ansia e terrore estremi in alcuni casi. A prescindere dal tuo rapporto con la morte, a un certo punto ti troverai ad affrontare una domanda fondamentale: in un mondo ferito in cui nulla importa davvero, che segno vuoi lasciare del tuo passaggio?
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Per indagare più a fondo su questo argomento, ho parlato con un po’ di amici del loro rapporto con la morte e ho chiesto loro di immaginare come vorrebbero essere ricordati tramite una lapide. Il risultato è una mescolanza di negazione, disillusione e riflessioni deprimenti sulla vita.
“Ogni cosa può disfarsi”
“Sono anni che raccolgo idee per la lapide. Appena me ne viene in mente una, me la appunto. Le ho anche postate su Twitter per un po’, ma poi ho cancellato l’app. ‘Ogni cosa può disfarsi’ è la migliore, secondo me. Si può anche fare in modo ironico scrivendola in diamanti, così, mentre il mio corpo si decomporrà, i diamanti resteranno uguali.
All’età di 9 anni mi è stata diagnosticata la depressione cronica, a 11 il disturbo ossessivo compulsivo. Quando avevo 14 anni ho anche tentato il suicidio. Fortunatamente, dopo quel momento ho davvero vissuto la mia vita pienamente. Poi, qualche anno fa, sono sopravvissuta a un brutto incidente.
Sono cresciuta atea, ma quando sono nata a Numea [capitale della Nuova Caledonia] il cordone ombelicale è stato gettato nell’oceano, come auspicio che io mi senta libera e a casa in ogni luogo. Quindi ha senso che le mie ceneri vengano a loro volta sparse lì.
Sono discendente di un popolo indigeno che ha subito un genocidio, il che comporta probabilmente un grosso trauma ancestrale. Oggi, vivo come una missione far sopravvivere il nostro DNA oltre i confini della morte.” – An-Josefien, 31 anni
“Lorem ipsum”
“Forse è per via della mia età, ma trovo davvero difficile immaginare la morte. Non ho mai dovuto affrontare la morte di una persona cara, quindi è ancora un concetto abbastanza astratto per me, ecco perché ho scelto ‘Lorem ipsum’. L’unica cosa a cui penso di tanto in tanto è come reagirebbero i miei famigliari e amici se morissi domani. Chi verrebbe al funerale? Chi sarebbe più sconvolto? Ma è solo un ego trip.
Non sono particolarmente spaventato dalla morte, ma invecchiare mi preoccupa. I miei nonni hanno circa 80 anni e a volte mi dicono che hanno fatto tutto quello che volevano e sarebbero pronti ad andarsene, se dovesse capitare. Dopo gli 80, ho la sensazione che la vita consista soltanto in una lotta quotidiana con la morte.
Dopo la morte, credo che vivremo nei ricordi degli altri e basta. Niente paradiso, niente inferno, niente reincarnazione… solo un ricordo. Alla fine, è questo che vorrei lasciare. Un sorriso sulla bocca delle persone quando ripensano ai momenti passati insieme.” – Céleste, 21 anni
“Tutto qui? E io che mi preoccupavo!”
“Fin da quando ero piccolo, ho sempre avuto una paura quasi paranoica della morte. Tutti gli altri ragazzini non vedevano l’ora di diventare grandi, e io invece proprio non ne volevo sapere. E oggi so per esperienza che essere adulti fa schifo. Me lo sentivo!
Durante l’adolescenza sono riuscito a liberarmi di molte delle mie ansie o, beh, perlomeno così credevo. Sei mesi fa, un accumulo di stress e fatica e uno stile di vita malsano mi hanno causato una serie infinita di attacchi di panico. Per liberarmene ho dovuto imparare tutto da capo. È in questo contesto che ora sto cercando di indagare il perché ho così tanta paura della morte, una delle poche cose che posso aspettarmi con certezza dal futuro.
Non c’è una risposta semplice a questa domanda, ma la cosa più importante che ho identificato è il senso di colpa esistenziale che imponiamo su noi stessi con l’idea di realizzare il più possibile. Nessuno vuole trovarsi sul letto di morte con il pensiero di non essersi goduto appieno la vita. È una pressione enorme che ci impedisce di assaporare il qui e ora, o almeno non per molto.
Negli ultimi sei mesi ho lavorato sulla mia capacità di accettare e apprezzare le cose per quello che sono tramite la meditazione, la redazione di un diario e la terapia comportamentale. Ho ancora la FOMO, ma, invece di pensarci tutto il tempo, la accetto e le concedo solo un certo spazio nella mia vita. Ultimamente ho meno attacchi di panico e mi sento molto più in pace con me stesso.
Non credo che le persone si rendano conto che la felicità non è una cosa che si può ricercare. A volte, tutto funziona al meglio ma per qualche inspiegabile motivo proviamo comunque ansia o depressione. Allora ti rimproveri perché non apprezzi tutte le cose belle che hai e finisci per sentirti peggio.
Io ho smesso di concentrarmi sulle pietre miliari. Piuttosto, mi dedico alle cose che non mi mettono pressione inutile, come passare del tempo con le persone a cui voglio bene, incontrare persone che mi danno ispirazione e continuare a mettere in pratica le attività creative che mi danno motivazione. Naturalmente, non ho smesso di sognare in grande e a volte mi dico ancora cose come: ‘Cacchio, non ho ancora visitato tutte le nazioni del mondo.’ Ma percepisco meno ansia.” – Matthias, 31 anni
“Se stai leggendo, il mio fantasma ti perseguiterà.*
*A meno che tu non mandi una foto della mia tomba a cinque persone entro mezzanotte!”
“Una volta ero costantemente concentrata sul futuro: risparmiare, gettare le fondamenta per quello che sarebbe venuto dopo… Pensavo anche di dover sempre aspettare il momento giusto per fare una cosa, ma poi ho capito che il momento è adesso. Cerco di vivere più nel presente, godermi le cose e ridere il più possibile. Potrà sembrare un punto di vista immaturo, ma è tutto il contrario.
Per lavoro disegno vestiti e ho sempre sognato di diventare una star della moda. Era un obiettivo che volevo raggiungere a ogni costo: molto spesso sacrificavo salute e vita sociale in favore dei miei progetti. Ma ora che sono cresciuta sono più brava a mettere le cose in prospettiva: ci lavoro un po’ ogni giorno, ma allo stesso tempo mi godo la vita.
Voglio ancora avere un impatto sulle vite degli altri. È questo che rappresenta la mia lapide: anche dopo la morte, spero di riuscire a interagire con le persone. Se, mentre visiti un cimitero, riuscirò a farti ridere anche dall’Aldilà, la mia missione sarà compiuta.
E poi ho scoperto le opere di alcuni degli artisti che mi hanno ispirata di più soltanto dopo la loro morte. Quando provi un’emozione grazie a una canzone, una foto, una scultura… Per me la connessione che senti non si ferma all’opera, ma arriva fino all’artista che l’ha creata.” – Assia, 33 anni