Ci sono notevoli differenze da conoscere su effetti, dosaggi e precauzioni da tenere nei confronti della cannabis assunta come cibo—per esempio nei biscotti o in molti altri modi—rispetto al più comune metodo inalatorio. Differenze che spesso sono ignorate o sottovalutate, ma che possono comportare anche alcuni problemi, come il rischio di non avere sotto controllo la quantità ingerita.
La prima differenza, nonché la più conosciuta, è il tempo che la cannabis impiega prima di dare i suoi effetti a livello cerebrale. Se con l’inalazione il Thc inizia la sua azione nel giro di pochi minuti, passando rapidamente dai polmoni al sangue e da questo ai recettori neuronali, quando la cannabis viene assunta come cibo il processo è molto più lento. Può passare un’ora o più prima che i suoi effetti si manifestino. Ma non solo, gli effetti sono anche sensibilmente più duraturi: se gli effetti di uno spinello svaniscono in massimo 3/4 ore, quando invece la cannabis viene ingerita possono durare anche 10 ore.
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Questo fatto comporta un primo fattore di rischio. Se fumando è semplice—e in un certo senso istintivo—prevenire il rischio di assumere troppa cannabis rispetto alla tolleranza del proprio organismo, visto che gli effetti si manifestano rapidamente, quando la cannabis è ingerita è presente il rischio, specie nei consumatori meno esperti, di assumerne troppa. Sia perché non è semplice avere precisa cognizione di quanta cannabis si sta assumendo tramite un biscotto o una ciambella, sia perché può passare molto tempo prima che i suoi effetti si manifestino—e si potrebbe avere la tentazione di assumerne ancora, credendo che non stia dando effetto.
È bene sottolineare che a nessun livello una “overdose” di cannabis può provocare decessi né problemi clinici gravi—a differenza di droghe pesanti e alcol—ma comunque può certamente portare a esperienze negative e a uno stato di transitorio malessere sia fisico che psichico. In altre parole, una overdose di marijuana non ammazza nessuno, ma può essere di certo molto sgradevole.
Un’altra differenza tra la cannabis inalata e quella assunta come cibo è di carattere biologico. Tra i metaboliti che il nostro corpo produce elaborando il Thc c’è il 11-Hidroxi-THC (11-OH-THC). Se nel processo di elaborazione della cannabis assunta fumando la quantità di THC trasformato in 11-Hidroxi-THC prodotta dall’organismo è bassa, nell’elaborazione della cannabis ingerita aumenta notevolmente, arrivando talvolta ad un rapporto 1:1.
Questo ha delle conseguenze sul modo in cui il vostro cervello reagirà. Infatti, il metabolita 11-Hidroxi-THC risulta più potente del THC, in quanto è maggiormente in grado di superare la barriera emato-encefalica cioè le cellule che hanno funzione di protezione del tessuto cerebrale dagli elementi nocivi. Questa è la ragione per cui la cannabis ingerita può provocare effetti più intensi rispetto a quella fumata, ed è anche la ragione per cui può essere difficile prevedere, almeno per un neofita, quali effetti produrrà su di sé, in quanto la quantità di 11-Hidroxi-THC prodotta dall’organismo varia da persona a persona.
Per concludere, mangiare alimenti composti di cannabis è una pratica che richiede consapevolezza, sia al consumatore che al “cuoco”. Regolare il contenuto di THC dei cibi a base di marijuana non è affatto facile, anche perché ogni alimento avrà dosaggi diversi e lo stesso vale per ogni tipo di erba. Un problema con il quale, non a caso, sta facendo i conti la nascente industria alimentare a base di THC in Colorado.
La cannabis assunta per via polmonare agisce rapidamente, dura meno ed ha un dosaggio semplice. La cannabis assunta dai cibi agisce lentamente, persiste per ore, ed ha un dosaggio complesso. Occorre tenerlo a mente per evitare esperienze spiacevoli.
Questo articolo è apparso originariamente su Dolce Vita Online