In un cupo libro di fantascienza il miele di città sarebbe nero o grigio, odorerebbe di scarico delle auto o di fogne piene d’urina; nel barattolo galleggerebbero pezzi di asfalto e catrame a rafforzarne il gusto.
Invece no, il miele di città che si trova oggi – da Milano a New York, da Londra a Seul – è buono, sano e forse anche migliore di quello che arriva dalle campagne. Esagerazione o meno, che si chieda pure all’apicoltore Mauro Veca de Il Miele di Elia a Milano, che da anni produce miele in alcuni parchi del capoluogo lombardo, buonissimo e sanissimo, alla faccia delle baggianate da catastrofismo gastronomico.
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Le api, come d’altronde quasi tutti gli altri animali selvatici che scappano dalle coltivazioni come i cinghiali o le stesse zanzare, stanno meglio in città che in campagna
Mauro Veca è un figo, un rambo nel fisico ma con il carattere docile come un dodo. Non si ammala da almeno 10 anni, produce miele per professione ma fa anche didattica per insegnare a rispettare la vita e il valore delle api. Sono loro infatti che impollinano la maggior parte dei fiori terrestri, quindi meritano un posto d’onore nell’assegnazione dei premi sulla sostenibilità mondiale.
Mauro produce miele a Milano città, ha circa 20 alveari distribuiti al Parco delle Cave, alla Cascina Battivacco (dove si produce anche riso di qualità), agli Orti Condivisi di via Padova (insieme a Legambiente), al Monastero di Chiaravalle e, assai chic, anche nel Giardino della Triennale. A Milano, insieme a lui, ci sono anche tanti altri apicoltori urbani, per esempio alla Scuola di Niguarda o al Parco Nord, ma il più delle volte non sono neanche censiti. Anche se chi produce miele con i suoi alveari deve dichiararlo obbligatoriamente alle autorità.
Sembra qualcosa di assurdo, ma come diavolo si fa il miele in città?
Per apicoltura urbana s’intende semplicemente il fare il miele all’interno di un contesto cittadino, urbano o metropolitano. Per chi pensa che la campagna sia ancora come l’ha lasciata Heidi oppure Pollon con i suoi dèi dei boschi, si deve ahimè ricredere. Paradossalmente negli ultimi decenni le nostre campagne si sono svuotate degli abitanti e di conseguenza le grandi leggi del mercato globale hanno trasformato la maggior parte di quei luoghi e l’agricoltura in un processo industriale di produttività dissennata: sfruttamento dei terreni, utilizzo ingente di farmaci e fitofarmaci per far crescere e proteggere le piante, antibiotici e pesticidi, coltivazioni monotematiche che impoveriscono il suolo, ecc.
Le città invece si sono trasformate in un ambiente da proteggere, insieme alla massa di uomini che ora le affollano. Il mondo alla rovescia, insomma, con le campagne per lo più inquinate e le città tutelate.
Gli apicoltori urbani hanno documenti di laboratorio che dimostrano tracce di inquinanti ben al di sotto dei valori massimi consentiti per legge.
E in tutto ciò le mitiche api dove sono finite? Quelle rimaste in campagna muoiono precocemente per via dei farmaci usati in agricoltura e, come se non bastasse, fanno pure fatica a trovare le diverse tipologie di fiori (in campagna ci sono campi sterminati ma coltivati con pochissime varietà di piante). Le altre api, come d’altronde quasi tutti gli altri animali selvatici che scappano dalle coltivazioni come i cinghiali o le stesse zanzare, stanno meglio in città che in campagna: più biodiversità, meno pesticidi nonostante l’inquinamento atmosferico e abbondanza di foraggi tutto l’anno. Incredibile, ma vero.
Molta campagna italiana invece è ormai un laboratorio delle multinazionali dell’agricoltura.
Mauro Veca si racconta in un minuto: “Ho conosciuto le api a 30 anni: è stato un caso, perché non avevo mai incontrato l’apicoltura all’università. Ho studiato agraria ma in questa facoltà l’apicoltura è considerata solo ‘agricoltura marginale’ per la poca produzione. Quindi niente studi teorici. Poi un giorno ho avuto una proposta di lavoro dall’Associazione Apicoltori Provincia di Milano, per un’assistenza tecnica per norme igieniche, confezione, produzione, ecc. Ho seguito per un anno il presidente e da quel momento ho capito che sarebbe stato quello il mio lavoro. Quando ho iniziato ho scelto un luogo lontano dalla città per non creare disturbo a nessuno; ho fatto il nomadismo delle api in collina e in montagna, credendo che più si stava lontano dalla zona urbana meglio potevo fare il miele. Invece mi sbagliavo, e sono i dati scientifici a dirlo!”
Ormai tutti conoscono i problemi dell’inquinamento atmosferico nelle città e pensare che questo dato determini un miele altrettanto inquinato non è corretto. A prova di ciò gli apicoltori urbani hanno documenti di laboratorio che dimostrano tracce di inquinanti ben al di sotto dei valori massimi consentiti per legge. A volte le analisi rivelano dei mieli di città assolutamente perfetti, alcuni ancora più “illibati” di quelli ottenuti in campagna. L’ape è in grado, evidentemente, di raccogliere il nettare selezionandone la qualità. Mauro spiega un concetto semplice ma illuminante: “Più andavo avanti a studiare l’argomento più scoprivo che in campagna le api producono poco e muoiono più facilmente. Allora perché non creare un miele tutto milanese, direttamente in città?”.
Ormai il miele arriva soprattutto dall’estero (Europa dell’est in maggioranza) e lì la vigilanza non è molto ‘sentita’.
Nelle città l’inquinamento è risolvibile in tempi relativamente brevi, basta promuovere una legislatura giusta, inflessibile e veloce per tutelare l’aria che respiriamo. Molta campagna italiana invece è ormai un laboratorio delle multinazionali dell’agricoltura, il loro parco giochi dove sperimentare nuovi prodotti chimici ogni anno. In città poi ci sono molti parchi, viali alberati, serre pubbliche e private con tante piante diverse, mentre in campagna c’è poca biovarietà vegetativa, tutta funzionale al valore di produzione di una o di un’altra singola pianta. Sono scomparse le zone incolte e i campi abbandonati, quelli ricchi di piante spontanee che alle api piacciono tanto. In parole povere: l’agricoltura è diventata industriale, le città si sono trasformate in luoghi sostenibili dove vivono tante persone, le api stanno meglio in città. Il sillogismo contemporaneo.
In questo caos d’importazione e tutela del consumatore esiste anche un altro mostro: il “miele non miele”, ovvero quello ottenuto solo dall’attività umana con una miscela di zuccheri vegetali.
Mauro Veca rincara però la dose: “L’inquinamento più pericoloso è tuttavia quello dell’apicoltore disonesto che usa le sostanze chimiche per curare e controllare le api, come antibiotici e acaricidi non autorizzati, che fanno male e possono contaminare il miele. In Italia per fortuna ci sono regole ferree che controllano ogni passo del processo mellifero, ma ormai il miele arriva tanto anche dall’estero (Europa dell’est in maggioranza) e lì la vigilanza non è molto ‘sentita’. Ma se pensiamo che quasi i 2/3 del miele nei supermercati è straniero, un po’ mi cago sotto!”.
Tra un po’ ogni città avrà il suo miele, come d’altronde le proprie verdure, la frutta, gli allevamenti di animali.
In questo caos d’importazione e tutela del consumatore esiste anche un altro mostro creato dalla mente perversa dell’uomo, il “miele non miele”, ovvero un miele ottenuto solo dall’attività umana con una miscela di zuccheri vegetali: è un prodotto di sintesi, sembra miele ma non lo è.
Per sgamare la sua anima fasulla però ci vogliono analisi precise e costose, quindi nessuno lo fa ed evviva lo statu quo dell’ignoranza. Per fortuna l’italiano ama mangiare ‘italiano’ e il miele è uno dei prodotti più consumati dentro i confini nazionali. Questo grazie anche a una tradizione nell’apicoltura che ci ha portato a essere tra i più bravi professionisti al mondo in questo settore.
Subito vengono in mente Andrea Paternoster in Trentino, Carlo Amodeo in Sicilia, Alfonso Bianco in Abruzzo, Roberto Sala Danna in Emilia e ovviamente Mauro Veca a Milano, che ha creato grazie ai suoi alveari alla Triennale di Milano un miele cittadino di grande qualità. Il Miele Triennale, appunto.
“Il miele di città non ha un’essenza botanica prevalente perché non esistono distese di acacia o di castagno a Milano. È difficile – se non impossibile! – ottenere mieli monoflorali, quindi sono millefiori per forza.
Il Miele Triennale viene fatto in primavera-estate nel Giardino, con un bellissimo alveare didattico realizzato dal designer Francesco Faccin. Per questo progetto è stato inserito anche nel Calendario Lavazza 2018, dedicato proprio a chi ha saputo dare un forte contributo alla sostenibilità mondiale!” racconta fiero Mauro Veca. Il Miele Triennale è talmente importante che questo Natale la stessa Triennale ha deciso di regalarlo a tutti i suoi più importanti collaboratori.
Tra un po’ ogni città avrà il suo miele, come d’altronde le proprie verdure, la frutta, gli allevamenti di animali. Pronti a un futuro bucolico, ma nel bel mezzo delle città?