Breve storia del ‘Che Guevara fascista’

“Da sempre considero Ernesto Guevara detto il Che una figura di riferimento per il suo essere rivoluzionario e per la coerenza che l’ha contraddistinto nella vita e nella morte,” ha scritto l’anno scorso in un post su Facebook Maurizio Puglisi Ghizzi, consigliere comunale di Bolzano. Niente di sconvolgente: non fosse che Puglisi Ghizzi è stato eletto con CasaPound.

A prima vista potrebbe sembrare un altro caso di destre e fascisti che cercano di appropriarsi delle icone della sinistra a suon di bufale e citazioni fuori contesto, ma nel caso di Che Guevara c’è più di questo. Secondo Ugo Maria Tassinari, esperto di estrema destra e autore del libro Fascisteria, “all’interno della destra radicale italiana esiste una tradizione guevarista, che negli anni Sessanta guardava al Che e ai movimenti di liberazione del terzo mondo in chiave anti-russa e anti-americana.”

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Questa corrente ha coinvolto anche esponenti di spicco della destra italiana—come il medievalista Franco Cardini, uno che alla morte di Fidel Castro ha scritto una lunga lettera aperta sul sito di destra Barbadillo in cui esprime ammirazione per la rivoluzione cubana e per il Che e Fidel. Titolo: “Quando noi fascisti eretici incontrammo Castro.”

L’estrema destra italiana, tuttavia, ha un rapporto conflittuale con il Che; e questa lunga fascinazione si è coagulata nel mito di un Che Guevara “nero” speculare a quello sulle magliette, ha vissuto alti e bassi, è stato frutto di controversie e interpretazioni differenti, e nell’ultimo decennio è sopravvissuta in forme minoritarie—ma comunque significative, a modo loro, perché evidenziano alcune tendenze culturali e comunicative del neofascismo di oggi.

Il libro che ricostruisce la storia di questa corrente e di quest’immagine di Che Guevara come eroe nazionalista e anticapitalista è L’altro Che. Ernesto Guevara mito e simbolo della destra militante (2009) dell’ex inviato dell’Espresso Mario La Ferla. Secondo quest’ultimo non si tratta solo di un paradosso, anzi: “L’amore che la destra ha nutrito [per Che Guevara] è senz’altro superiore a quello sventolato dalla sinistra per molti anni […]. Per lo meno, quest’amore a destra sembra più genuino, più spontaneo, quasi ‘puro’ […]. A destra il rivoluzionario Guevara non è mai stato ‘sfruttato’ per fini politici. Era soltanto un personaggio tutto d’un pezzo, da amare o da odiare, senza però secondi scopi.”

Già nella prima metà degli anni Sessanta la destra aveva cominciato a interessarsi a Che Guevara—nel 1961 il Fronte Universitario d’Azione Nazionale, l’organizzazione studentesca del MSI, l’aveva omaggiato durante l’occupazione dell’università di Firenze. Alla morte del Che, avvenuta il 9 ottobre 1967, i primi a onorarne la figura furono i comici del Bagaglino, cabaret romano di destra, che composero la ballata “Addio Che”—incisa su un 45 che, sull’altro lato, portava la famosa canzone di destra “Il mercenario di Lucera” dedicata ai mercenari di destra che combattevano in Congo con i separatisti del Katanga.

E sempre da ambienti di estrema destra viene la prima biografia italiana (da cui verrà tratto anche un film) di Che Guevara, El Che Guevara. Vita e morte del vagabondo della rivoluzione, scritta da Adriano Bolzoni—un ex volontario della Repubblica di Salò, poi diventato giornalista per testate di destra come il Borghese e il Secolo d’Italia.

Sempre secondo La Ferla, “è stato il Sessantotto a fare esplodere l’amore per il Che,” che per la destra rappresentava—e rappresenta tutt’ora—un eroe che invece della carriera o dei vantaggi personali ha scelto di combattere e morire per un ideale.

Il successo del Che presso i giovani della destra radicale è “via via aumentato grazie agli interventi di scrittori e intellettuali, non soltanto di destra, che hanno avvicinato Ernesto Guevara a personaggi famosi che facevano già parte dell’immaginario collettivo della destra ribelle,” ha detto La Ferla nella stessa intervista. Dal punto di vista culturale, c’è da segnalare il contribuito dato dai pensatori della nuova destra francese come Jean Thiriart e Alain De Benoist, ma soprattutto Jean Cau, ex segretario di Jean-Paul Sartre poi passato all’estrema destra che nel 1979 ha pubblicato Una passione per Che Guevara. Qui l’immagine del Che come un eroe disinteressato ai vantaggi personali materiali e pronto a dare la sua vita per la causa viene elevata ulteriormente, e lo stesso viene descritto come una specie di “sacerdote laico della religione rivoluzionaria.”

Non tutti, però, la pensano così. Secondo il ricercatore Elia Rosati, esperto di estrema destra e autore di CasaPound. Fascisti del terzo millennio, la ricostruzione di La Ferla è esagerata. “È stato rivalutato veramente a partire dagli anni Novanta, prima erano quattro gatti,” mi ha detto. “Ma comunque parliamo di una tendenza davvero di nicchia.” Secondo Rosati, ai fascisti “del Che piaceva il suo essere un guerriero anti-americano che combatteva per l’indipendenza dei popoli. Ma il suo essere comunista era un punto di debolezza per i fascisti, quindi era un onore delle armi tributato a un nemico piuttosto che una fascinazione.”

Fatto sta che a tributare al Che l’onore delle armi sono esponenti non da poco dell’estrema destra italiana. Ad esempio Gabriele Adinolfi, ex fondatore del gruppo neofascista Terza Posizione, secondo cui “negli anni Sessanta un intero mondo orfano della RSI, o nato dagli orfani della RSI, ritrovò nella lotta per l’indipendenza dei popoli contro il colonialismo qualcosa della sua anima e della sua guerra.” Una figura chiave di quella lotta secondo Adinolfi era l’ex presidente argentino Peron, che aveva ottimi rapporti con Fidel Castro e Che Guevara. “Queste sono le ragioni per le quali in Italia i primi a onorare la figura del guerrigliero caduto furono uomini di matrice ‘nera’.”

Nel 2007, in occasione del 40esimo anniversario della morte del Che, un articolo di Adinolfi intitolato “Lotta e vittoria comandante! Perché da fascista lo onoro” ha dato il via alla riscoperta di Che Guevara negli ambienti dell’estrema destra contemporanea. “Il Che è la vittoria dell’eroismo nelle fila degli iconoclasti, ha fatto più lui—nei gesti e nelle gesta, intendo—per quello che definiamo Tradizione, di qualsiasi azione anticomunista del dopoguerra,” ha aggiunto più tardi in un’intervista.

Negli anni seguenti, tra il 2009 e il 2011, CasaPound ha preso spunto proprio dal libro di La Ferla per organizzare una serie di iniziative per “imparare ad amare” Che Guevara a Roma, Matera, Salerno e Forlì, mettendo insieme “intellettuali di diversa estrazione politica” per superare quei pregiudizi che troppo spesso “portano alcuni a ritenersi gli unici custodi dell’immagine di Che Guevara e altri a denigrarne totalmente le imprese.”

L’anno scorso è stato il 50esimo anniversario della morte di Che Guevara. A Nardò, in provincia di Lecce, il sindaco Pippi Mellone, definito “fasciocomunista e vicino a CasaPound” gli ha intitolato una strada.

Più recentemente, infine, il vicepresidente di CasaPound Simone Di Stefano ha espresso grandi apprezzamenti al Che nel corso di una conferenza con il giornalista Nicola Porro. “Io odio così tanto quelli che si mettono Che Guevara sulla maglietta che li vorrei far sentire più stronzi di quello che sono,” ha detto Di Stefano in quell’occasione. “Nei suoi tempi e nei suoi modi, Che Guevara avrà sbagliato sicuramente tantissime cose […]. Ma quantomeno, quando già aveva preso incarichi di governo e poteva farsi la sua vita tranquilla a Cuba, prende e va a farsi ammazzare da un’altra parte perché credeva nelle sue idee. Allora è questo che CasaPound ha preso come modello.”

Secondo Rosati, Che Guevara—così come Fidel Castro e Chavez—piace ai fascisti perché il socialismo latinoamericano è molto retorico e patriottico: il famoso slogan della rivoluzione cubana “patria o muerte” ha un ovvio appeal per l’estrema destra. Ma in definitiva, il “Che Guevara fascista” è caduto un po’ in disgrazia: “Il paradigma del legionario che combatte ovunque per l’indipendenza dei popoli è un po’ passato di moda ed è stato sostituito da quello dell’uomo forte che salva il suo popolo alla Chavez, Gheddafi o Putin,” mi ha spiegato.

“Il Che era troppo ideologico, soprattutto perché era diventato un simbolo per più di una generazione di comunisti. CasaPound fa conferenze su tutto, da Rino Gaetano a Marx, ma lo fanno solo per far parlare di sé,” ha aggiunto Rosati. “Da una parte è un modo per costruire un contesto post-ideologico, che gioca sempre a favore di una rivalutazione del fascismo, dall’altra fa parte del loro spirito futurista e provocatorio.”

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