Nella comunità childfree italiana, tra le donne che non vogliono figli

cicogna

Negli ultimi tempi nel nostro paese si sta diffondendo l’uso del termine childfree per indicare donne, ma anche uomini, che non vogliono diventare genitori. Il termine, già ampiamente attivo negli Stati Uniti da 10-15 anni ormai, significativamente indica non l’assenza o la privazione dai figli ma la libertà da essi. L’idea è quella di voler difendere—anche a livello collettivo—una scelta di vita al pari di altre e, contemporaneamente, rivendicare e rispondere al bisogno di uscire allo scoperto. Insomma, chi bambini non ne vuole, vuole anche poterlo dire tranquillamente, senza doversi continuamente difendere o giustificare.

Secondo la demografa Maria Letizia Tanturri, dell’università di Padova, il fenomeno giunge un po’ come compimento di due processi diversi. Da una parte quello in cui, a partire dalla rivoluzione industriale, la fecondità comincia a essere controllata: “Si comincia a non avere più tanti figli quanti ne arrivano, ma a distanziare e a posticipare la nascita del primo figlio,” spiega. Dall’altra, il processo dovuto ai movimenti di emancipazione femminile che hanno contribuito a smontare l’idea che la maternità sia l’unica scelta possible, per le donne.

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Ma il pregiudizio verso chi non vuole diventare genitore rimane, soprattutto in ambito femminile, come anche emerge da alcuni studi da lei condotti: “Quando avevamo fatto una ricerca qualitativa, anche con focus group [di donne tra i 40 e i 45 anni] non avevamo pensato che ci fosse stigma sociale,” ammette. “In realtà, [poi] avevano tirato un po’ tutte fuori che venivano criticate, che si dovevano giustificare e che non volevano dire che non volevano figli perché avevano in mente altri progetti.”

Come Stefania, una 26enne childfree originaria di Milano il cui sogno è sempre stato quello di far carriera—come sta facendo. Non ha mai voluto figli; nemmeno quando era piccola, nemmeno per gioco, quando le amiche si prendevano cura delle bambole. Non odia i bambini e non ha nessun problema con chi voglia essere madre, semplicemente vuole per sé una vita diversa. E per assicurarsela, a 23 anni si è sottoposta a un intervento di sterilizzazione.

“Lo ritengo il metodo anticoncezionale perfetto,” spiega. “È una scelta, [e dopo anni in una relazione stabile] volevo qualcosa che mi rendesse libera dalla pillola.” Viaggiando molto, anche in paesi dove l’aborto e la contraccezione non sono garantiti, essere sterilizzata la fa sentire più tranquilla. E non doversi preoccupare di una gravidanza indesiderata, l’aiuta anche nell’intimità: “Non riuscivo ad avere rapporti sessuali da tanto che ero nervosa [all’idea che l’anticoncezionale non funzionasse],” confessa.

Nel mondo, la sterilizzazione volontaria femminile—che consiste in una procedura chirurgica per bloccare o chiudere le tube in maniera permanente, e pressoché irreversibile, per impedire allo sperma di raggiungere l’ovulo da fecondare—rappresenta ancora un metodo contraccettivo diffusissimo (la pillola è più diffusa nei paesi dell’Europa Occidentale, in Canada e in Australia, ma la sterilizzazione è spesso la scelta più popolare tra le donne asiatiche o dell’America del Sud). In Italia, tuttavia, è il meno utilizzato; e nonostante si faccia un gran parlare delle under 30 senza figli che si sottopongono all’intervento, anche all’interno della comunità childfree queste rimangono una minoranza.

Anche Chiara* ha 20 anni e non vuole figli, né ora né mai, ma non parla volentieri della sua scelta perché, ogni volta che la cosa esce fuori, c’è chi le dice con aria di saperla lunga che cambierà idea e chi ancora sembra non aver capito che essere donna non significa automaticamente dover divenire madre.


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“Avevo già la mia idea, ma non sapevo come definirla,” spiega. “Dicevo: ‘Ok, lo penso ma non ne parlo,’ rimanevo nell’ombra, non ero nemmeno sicura di poterlo dire perché non mi sentivo sostenuta.” Alcune sue amiche hanno già messo su famiglia o stanno per farlo, il suo ex fidanzato avrebbe voluto dei bambini, un giorno—era difficile ammettere di avere aspirazioni completamente diverse. Poi, circa un anno e mezzo fa, ha scoperto online la comunità childfree.

“Per tanto tempo non mi sono sentita rispettata,” confessa. Adesso, anche se solo virtualmente, è vicina a persone che accettano e comprendono la sua scelta, persone con cui potersi confrontare senza temere giudizi, e questo l’aiuta a vivere la propria esperienza in maniera più serena. “Il mio parere è che [il fenomeno] sia sempre esistito, ma prima non potevamo esprimerci. Con l’avvento di internet cresce anche la comunità, [ma] non è una cosa nuova, emerge di più perché la situazione lo permette.”

Come lei, molte delle donne che non vogliono figli non ritengono necessario sottoporsi a un’operazione definitiva, che comporta comunque i suoi rischi clinici. E d’altra parte, non è nemmeno così semplice trovare un medico disposto a praticarla, soprattutto su donne giovani, nonostante sia consentita per legge anche nel nostro paese.

Stefania aveva cominciato a raccogliere informazioni sulla sterilizzazione a 12 anni, dopo la prima mestruazione, e da adulta si è rivolta proprio alla rete childfree per farsi consigliare uno specialista. “In un modo o nell’altro, pagando o non pagando, in Italia o all’estero, l’avrei fatta. Era una cosa che volevo da sempre,” dice. La sua famiglia non si è mai opposta, mentre il suo compagno—con cui continua a stare insieme anche oggi—era contrario; su una decisione così personale però, non si sarebbe lasciata influenzare. “Se non ti va bene, la porta è quella,” gli aveva detto al tempo.

Eppure, per quanto libera, sicura e soddisfatta delle proprie scelte, anche Stefania si ritrova a fare i conti con i limiti imposti dai modelli femminili tradizionali. “Nel contesto lavorativo faccio più attenzione [a identificarmi come childfree],” spiega. “Nessuno vuole assumere una mamma, ma d’altro canto dire apertamente che non vuoi figli va contro un modus vivendi radicato.” Spesso se la cava con una mezza verità, dicendo di aver subito un’operazione che l’ha resa sterile.

E a chi si preoccupa dell’irreversibilità dell’intervento, ricorda che anche dopo aver avuto un figlio non è possibile tornare indietro—e a volte ci si pente anche di quello, nonostante ammetterlo sia ancora un grande tabù.

La demografa Tanturri invita comunque alla cautela: “Conoscendo i risultati delle indagini, [esistono casi] in cui chiediamo quanti figli vorresti avere e [le donne] rispondono che non ne vogliono, e poi all’indagine successiva si scopre che magari li hanno avuti,” ricorda.

Una cosa vale la pena far notare, però. Se è vero che dal 2008 al 2016 in Italia si è registrato un calo delle nascite di oltre 100mila unità, è altrettanto vero che il fenomeno delle donne e delle coppie senza figli per scelta è comunque molto contenuto, nel nostro paese. Come riporta l’indagine Istat del 2016, sull’aumento della quote di donne senza figli pesano molto di più ostacoli come le difficoltà economiche e il precariato lavorativo. E allora, invece di giudicare chi, per qualsiasi motivo, decida liberamente e legittimamente di non voler diventare genitore, sarebbe forse meglio interrogarsi su come sostenere chi un bambino l’avrebbe voluto e non si è trovato nelle condizioni di farlo.

*Il nome è stato modificato per tutelare la privacy dell’intervistata.

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