Studiare i No Tav può crearti grossi problemi con la giustizia

Studiare sul campo il movimento No Tav può essere molto rischioso — soprattutto se la procura di Torino riesce a portarti a processo e farti condannare per “concorso morale” con i manifestanti. È quanto successo a due ricercatrici, una laureanda in antropologia dell’università Ca’ Foscari di Venezia ed una ricercatrice in sociologia dell’Università della Calabria.

Due giorni fa – al termine del rito abbreviato – l’allora laureanda è stata dichiarata colpevole di “concorso morale” in alcuni reati contestati a un gruppo di No Tav, e condannata a due mesi di reclusione con la condizionale. La collega dell’Università della Calabria, invece, è stata assolta.

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L’oggetto del procedimento è una manifestazione tenutasi in Val di Susa nel giugno del 2013. All’epoca, un gruppo di studenti che si trovavano al campeggio No Tav di Venaus si era recato alla sede della Itinera, una ditta che lavora al cantiere geognostico del Tav.

Nel corso dell’azione i ragazzi erano entrati nel cortile per distribuire i volantini; qualche mezzo era anche stato imbrattato con delle scritte; e infine, come hanno riportato gli stessi, altri due mezzi erano stati bloccati sulla statale per qualche minuto.

Una volta conclusa l’iniziativa i ragazzi si erano mossi in corteo nel centro di Salbertrand (provincia di Torino), e successivamente alla stazione ferroviaria, dove i carabinieri li avevano fermati e identificati. La vicenda, tuttavia, è proseguita nelle aule giudiziarie.


Tredici minorenni e una trentina di maggiorenni sono infatti finiti rispettivamente davanti al Tribunale per i minori di Torino e al Tribunale Ordinario. I capi d’accusa formulati dalla procura di Torino sono svariati: imbrattamento, invasione e occupazione di terreni, violenza privata aggravata e resistenza aggravata a pubblico ufficiale.

Tra gli imputati, appunto, figurano anche le due ricercatrici. Come spiega a VICE News l’avvocatessa Valentina Colletta, entrambe stavano studiando sul campo i “movimenti sociali, e in particolare il movimento No Tav”; e la ragione della loro presenza era dunque quella di fare “ricerca sul campo.” Riferendosi poi al fatto specifico, Colletta precisa che “le dottoresse non sono mai nel gruppo dei manifestanti, ma sempre a margine, in posizione di osservazione.”

Per i pm, continua l’avvocatessa, le due donne “con la loro presenza hanno agevolato la commissione di reati da parte di altri […] quantomeno a titolo di dolo eventuale,” poiché se si partecipa a una manifestazione No Tav bisogna “immaginare che possa degenerare in atti di rilevanza penale.”

Nonostante la posizione delle due imputate fosse materialmente identica – dal momento che sono state ritratte “sempre insieme e in posizione defilata” – l’accusa si è concentrata sul fatto che la laureanda abbia poi usato nella sua tesi di laurea la prima persona plurale nel descrivere quella manifestazione.

Quello che per la difesa è un semplice “espediente narrativo, peraltro suffragato dalle immagini,” per la procura si tratta invece di un “noi partecipativo, e che quindi lascerebbe ipotizzare un concorso non solo morale, ma addirittura materiale.” È questa l’unica differenza tra le due ricercatrici, nonché – molto probabilmente – l’elemento che ha comportato la condanna (che sarà comunque impugnata dalla difesa).

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Pur essendo un caso unico nel suo genere, non è certamente la prima volta che i magistrati torinesi allargano il campo della loro azione di contrasto al movimento No Tav. “Abbiamo avuto un giornalista condannato in via definitiva perché presente ad una manifestazione,” racconta Colletta, “e un altro rinviato a giudizio qualche mese fa [il cronista Davide Falcioni]. Poi ci sono i casi di Erri De Luca e di Gianni Vattimo, che sono più o meno ‘analoghi’.”

Il giudizio di Colletta sull’accaduto, pertanto, è “estremamente allarmato e preoccupanto.” Più in generale, prosegue, a Torino “si sta consumando una deriva preoccupante in termine di repressione e di scarsa considerazione di valori anche di carattere costituzionale, perché queste due ricercatrici stavano esercitando un diritto allo studio e alla ricerca scientifica.”

Di più: sempre secondo l’avvocatessa, questa “deriva,” – oltre ad aver prodotto “migliaia di indagati e centinaia di condannati” – è ormai in corso da tempo e parecchio radicata. “L’esito non mi ha sorpreso particolarmente,” conclude Colletta, “e non è un bel segno neppure questo — vuol dire che episodi del genere sono piuttosto frequenti.”


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