Durante questa quarantena abbiamo un sacco di domande su cosa sta capitando al nostro modo di rapportarci con noi stessi, col mondo e con gli altri. Per questo abbiamo pensato a un appuntamento periodico, una specie di angolo in cui raccogliere i nostri pensieri, metterli sotto forma di domanda e lasciare che sia un esperto a rispondere. Questa è la terza puntata. Se avete dei temi da sottoporci per i prossimi episodi, scriveteci in DM su Instagram.
Domanda: All’inizio della quarantena un po’ tutti ci siamo fatti travolgere dall’entusiasmo per le videochiamate di gruppo. Del resto sono l’unico modo per accorciare le distanze, “uscire”, fare aperitivo in tanti. Ma per me la loro importanza è scemata presto.
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Ogni volta che ne concludo una, di videochiamata, mi sembra di non aver detto o sentito nulla di significativo. Dopo ho spesso solo un gran mal di testa. Le chiamate più intime, a due, sono le uniche in cui mi ritrovo. Ma c’è di più.
È come se mi stessi adattando a questa nuova condizione in cui io stesso sono l’unica “folla di voci” (non sempre belle) che voglio ascoltare, l’unica compagnia che voglio avere. Non mi sto isolando totalmente—continuo, coi miei tempi, a rispondere—ma mi chiedo anche: sono un po’ stronzo se i miei amici non mi mancano come credevo? O sono semplicemente diventato un adulto autonomo?
Risposta di Gianluca Franciosi, psicologo e psicoterapeuta: All’inizio del lockdown c’è stata una grande euforia per la “novità” delle videochiamate di gruppo. La ricerca quasi compulsiva del contatto è stata probabilmente molto utile nella fase iniziale, uno dei tanti tentativi di affrontare la nuova condizione. Ma per alcuni il tutto si riduceva a una comunicazione non sempre di qualità, in un riempitivo, in un accumulo di impegni che diventano fonte di stress.
Perché è avvenuto questo cambiamento? Perché dopo un po’ le videochiamate sono sembrate così faticose? Innanzitutto perché la comunicazione virtuale non è mai un reale sostituto alle uscite con gli amici. Per quanto tu possa vedere il viso o le espressioni degli altri, le videochiamate mancano di prossemica: non c’è vicinanza fisica, la gestualità è ridotta, toccarsi non è possibile.
Inoltre, durante una videochiamata abbiamo l’impressione di essere osservati da tutti contemporaneamente, persino da noi stessi, e questo ci mette maggiormente sotto pressione, diversamente da ciò che avverrebbe in una situazione di gruppo. Se esco in comitiva, parlo prima con due persone, poi mi sposto in un altro microgruppo, ancora in un altro, e non ho la sensazione che gli occhi di tutti siano sempre puntati su di me (o sul mio spazio privato alle mie spalle).
Infine, ci sono da mettere in conto anche le falle tecniche—connessioni scarse, pezzi di conversazioni perse, gente che si vede a scatti—che non permettono di creare l’atmosfera, che vanno a minare l’esperienza sociale e di intrattenimento. Insomma, a tutte queste cose inizialmente abbiamo soprasseduto, ma più passa il tempo e più è difficoltoso farlo.
Ovviamente anche sentire, una ad una, le persone con cui abbiamo uno stretto legame può dopo un po’ essere sfiancante. Le giornate sono spesso simili, le notizie sono quelle che sono e magari oltre a quello non c’è sempre molto altro di cui discutere o da raccontarsi. Questo per dire che la tua domanda “se non sento la mancanza delle persone sono uno stronzo o sono diventato un adulto autonomo” è legittima, ma non è molto a fuoco. Non voler sentire una persona non è per forza sinonimo di immaturità, come non è sinonimo di autonomia il bisogno di starsene per i fatti propri.
Piuttosto, il desiderio di ridurre al minimo i contatti, in questa situazione e in questo momento storico, è legato al volersi disintossicare da queste settimane in cui la quantità della comunicazione è aumentata, ma la qualità è drasticamente diminuita.
Il contatto sociale per noi è importante, non può essere eliminato, ma è un nostro diritto ricalibrarlo in base alle necessità del periodo. Per esempio facendo durare le chiamate il tempo che riteniamo opportuno, o dire “guarda, oggi non me la sento, preferisco fare altro” quando qualcuno vuole sentirti. È indubbio che dire di no risulti molto più difficile rispetto a una situazione reale, in cui inventarsi una scusa per non uscire è molto più semplice—ma è necessario per preservare la nostra salute mentale.
Quindi: non è che non ti mancano più le persone a cui vuoi un gran bene, piuttosto la tua “riluttanza” nei loro confronti deriva dal fatto che la qualità del vostro rapporto al momento è limitato a causa delle circostanze. Preoccuparsi per ciò che si prova è naturale, e se si vogliono tenere un po’ vivi i rapporti si possono vedere gli stessi film, fare sport da remoto insieme, leggere gli stessi articoli. Ma, anche qui, solo se vi va. Non deve essere un’ossessione.
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