La notizia è di una gravità inconcepibile, di quelle che ti fanno perdere la fiducia nell’umanità: una bambina di nove anni è stata violentata dal “marito” di 35 anni, nella provincia di Padova.
Il primo a denunciare il tutto è stato Il Messaggero in un articolo—intitolato “Padova, sposa bambina a 9 anni: preso l’orco che la violentava”—che in breve tempo ha raggiunto migliaia di condivisioni. Introducendo come motivazione la religione dei due, musulmani—“Come da tradizione per questo tipo di cultura religiosa,” si legge nel pezzo—l’autore spiega che la bambina sarebbe stata venduta da una famiglia a un’altra nell’ambito di un matrimonio combinato. L’uomo, di 26 anni più grande, avrebbe dunque “messo in atto violenze vere e proprie, visto che la bambina un giorno si è addirittura presentata in pronto soccorso con un’emorragia.”
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L’episodio finisce subito sotto la lente della Procura, che apre un fascicolo. Anche i carabinieri “si sono immediatamente attivati per far luce sulla vicenda”: la bambina, infatti, è stata accolta “in un centro d’ascolto, aperto un anno fa da club Soroptimist e carabinieri di Padova, nella sede del comando provinciale. Dentro una delle stanze la bambina ha raccontato i propri incubi e i propri tormenti.”
A ruota, su questa orribile storia si fiondano molte altre testate—e come potrebbe essere altrimenti? Si parte dalla stampa locale, tra cui Il Mattino, Il Gazzettino e PadovaOggi, e si arriva al nazionale con Il Fatto Quotidiano , Il Giornale , TGCom24 e il “Buongiorno” di Mattia Feltri su La Stampa. La trasmissione radiofonica La Zanzara ci apre addirittura la puntata del 21 novembre.
A ruota seguono gli articoli di Libero—che la definisce “una storia che non viene dall’Afghanistan [o] dal Pakistan […] ma dall’italianissimo Nordest”—e del Secolo d’Italia , che critica le “donne progressiste dalla Boldrini in giù” perché “su questa discriminazione delle donne nelle religione musulmana […] non dicono una parola.”
Il Tempo invece pubblica un editoriale di Alessandro Meluzzi—fondatore del Partito Anti Islamizzazione—in cui si stigmatizza l’attenzione sugli “abusi denunciati da attrici 30 anni dopo” e “ci si dimentica delle ragazzine stuprate dagli islamici.” Anche Elena Donazzan, assessore alla Regione Veneto, considera la faccenda come “la riprova che l’Islam radicale è incompatibile con i nostri valori,” e invita i cittadini a “non voltarsi dall’altra parte, magari assuefatti dal buonismo o dal politicamente corretto, per il timore di passare xenofobi.”
A coronare la polemica politica ci pensa Matteo Salvini, che lancia uno status su Facebook CON LE PAROLE BEN EVIDENZIATE IN MAIUSCOLO PER SOTTOLINEARE LA MOSTRUOSITÀ DEL FATTO.
Il caso, insomma, monta incontrollato e incontrollabile. È la conferma di uno scontro di civiltà in atto; è una profezia di Oriana Fallaci che prende corpo; è un’invasione senza più freni. Finiremo tutti malissimo, e pure molto presto.
Solo che, ecco, ci sarebbe un piccolo problema: in questa storia non c’è nulla di vero.
“Fonti vicine agli investigatori,” scrive Il Giornale (che inizialmente aveva dato per buona la notizia), “hanno smentito categoricamente sia il fatto che l’apertura di un fascicolo in procura.” Anche i carabinieri di Padova, sentiti dal Fatto (che si è anche scusato con i lettori), cadono dalle nuvole: “Negli ultimi anni non ci siamo occupati di un caso del genere e anche se se ne fosse occupata un’altra forza di polizia sicuramente ne avremmo avuto notizia.”
Parlando con Valigia Blu, la presidente del Soroptimist International Club Padova Antonella Agnello confuta per filo e per segno l’articolo de Il Messaggero cui è partito il tutto: “Mai, e sottolineo mai, abbiamo parlato del caso riportato dal giornalista. Nessuno lo ha detto, né noi dell’associazione né i carabinieri. Non so da chi il giornalista possa aver ascoltato un’informazione del genere.”
In men che non si dica, i quotidiani rimuovono gli articoli dai rispettivi siti. Il Gazzettino si è difeso sostenendo che “la notizia non è frutto di una nostra fantasia: ci è stata data da una fonte ufficiale, qualificata e informata sui fatti”; nonostante ciò, prosegue l’ammenda, “se abbiamo scritto qualcosa di inesatto, ce ne scusiamo innanzitutto con i nostri lettori.”
Mattia Feltri, dal canto suo, si è scusato pubblicamente per aver basato il suo “Buongiorno” su quella che definisce “fake news,” pur dicendo che “il ragionamento non cambia” e che “la riflessione” sul fenomeno delle spose-bambine “sopravvive.” Il che non ha molto senso, visto che il “ragionamento” è inficiato da una premessa totalmente falsa. Ma poco importa, no?
Lo schema—già visto all’opera in diversi casi di cui abbiamo scritto su VICE—è ormai oliato e collaudato, e penso che si possa tranquillamente parlare di una sorta di ciclo della notizie false. Un ciclo che in Italia si può sintetizzare così: appare una notizia locale con protagonisti stranieri/musulmani/migranti; le testate nazionali riprendono senza alcuna verifica; subentra la polemica politica; arriva il post di Matteo Salvini; poi c’è la smentita di qualche giorno dopo, come se nulla fosse; e infine si riparte da capo, in un loop infinito.
Seppur relativamente minore, insomma, la falsa storia della “sposa-bambina” e dell’“orco” musulmano è in realtà indicativa di come funziona un certo giornalismo italiano. E la paradossale ironia del tutto è che questo giornalismo si dipinge da un lato come il paladino illuminato che combatte le fake news dell’Internet cattivo, mentre dall’altro fomenta indignazione a buon mercato e crea un distorto “senso comune” che rimane sedimentato nella coscienza collettiva, producendo danni non di poco conto.
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