In Italia ci sono 59 basi militari americane. È il primo avamposto statunitense in Europa per numero di bombe nucleari schierate, e il quinto al mondo per numero di installazioni militari. Sono 70 in tutto, ed è un arsenale custodito in sole due basi: 50 ad Aviano in provincia di Pordenone, 20 a Ghedi in provincia di Brescia.
A rilevarlo è la Federation of American Scientist, organizzazione fondata nel 1945 a Washington e che si occupa di analizzare i numeri legati alla presenza di armi nucleari nel mondo.
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“Né il governo statunitense, né quello italiano confermeranno che ci sono armi nucleari,” si legge in un report del FAS sulla base aerea di Ghedi. E, almeno sulla carta, in Italia non ci sono nemmeno basi ufficialmente classificate come americane. Si parla infatti di “garrisons,” avamposti Nato che ospitano oggi materiale, equipaggiamento e personale militare americano.
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La documentazione fotografica e gli studi condotti dal Nuclear Information Project del FAS ci dicono che le strutture di Ghedi e Aviano sono ancora oggi pensate per ospitare armamento nucleare—le prime bombe nucleari vennero schierate proprio a Ghedi nel 1963. Prima di tutto perché nel paese del bresciano è ancora oggi di stanza il 704esimo squadrone MUNSS dell’aviazione statunitense, un’unità “responsabile della sicurezza fisica, della manutenzione e della logistica” di bombe B61s, quelle attualmente schierate in Europa—come si legge in un report.
Altri tre squadroni Munitions Support sono schierati in Germania, Belgio e Olanda, in tre basi che hanno armamento nucleare. In più a Ghedi sono stati fotografati camion WMT della Nato, utilizzati per la manutenzione di questo tipo di bombe. E l’aeroporto è la base dei “diavoli rossi” del 6° stormo dell’Areonautica Militare Italiana, che ha in dotazione cacciabombardieri Tornado, una tipologia di velivolo che può essere armato con bombe nucleari.
La base di Aviano è invece oggi base del 31esimo Fighter Wing dell’aviazione statunitense, che ha due squadroni che volano su F-16, anch’essi a capacità di armamento nucleare. Fino ai primi anni Novanta Aviano era una base poco utilizzata – veniva chiamata “valle addormentata” – ma è successivamente diventata pienamente operativa grazie ai 610 milioni di dollari spesi per il progetto di ampliamento della base e la costruzione di 300 nuove strutture.
Un progetto attuato anche grazie alla concessione dello Stato italiano di 85 ettari a titolo gratuito e allo stanziamento, nel 2004, di altri 115 milioni di dollari. D’altronde l’Italia è un paese che – per utilizzare le parole dell’ex ambasciatore statunitense in Italia Mel Sembler – dà al Pentagono “virtualmente qualsiasi cosa” venga richiesta, come rivela un cablo di Wikileaks.
Ad Aviano sono in corso dei lavori di manutenzione e ammodernamento delle strutture di difesa della base che – secondo i documenti del FAS – sarebbero dovuti ad un innalzamento degli standard di sicurezza sin qui adottati. Rischi che possono essere anche di natura terroristica, come dimostra l’arresto – nel luglio scorso – di due sospetti terroristi che avrebbero avuto tra i loro obiettivi anche la base di Ghedi.
VICE News ha intervistato il direttore del Nuclear Information Project del FAS, Hans Kristensen, per cercare di capire quali siano in Italia i rischi effettivi che si corrono nel custodire 70 bombe nucleari. Kristensen, uno dei maggiori esperti di nucleare al mondo, in carriera ha lavorato anche a Greenpeace e come consulente speciale per il Ministro della Difesa danese.
VICE News: Qual è l’impatto strategico delle armi nucleari statunitensi schierate in Italia? Dal punto di vista strategico, è necessario mantenere una capacità nucleare?
Hans Kristensen: L’impatto strategico è stato nell’ultimo ventennio di natura politica, ovvero le armi nucleari in Italia hanno rappresentato simbolicamente l’impegno statunitense nel difendere l’Europa. Ma con l’intensificarsi della crisi tra Occidente e Oriente l’impatto sta lentamente diventando militare. L’opera di ammodernamento delle strutture militari in Italia attualmente in corso, porterà ad avere bombe nucleari teleguidate con una migliore precisione. Una maggiore capacità militare che l’Italia sarà in grado di utilizzare una volta completato il passaggio ai cacciabombardieri F-35A. Inoltre, l’Italia è l’unico paese membro della Nato che dispone di due basi nucleari (Aviano e Ghedi) con più bombe nucleari americane (un totale di 70) di qualsiasi altro paese europeo della Nato.
Le armi nucleari possono essere considerate ancora oggi uno strumento utile per gli scenari che Stati Uniti e alleati si trovano a dover affrontare?
No. Le crisi attualmente in corso hanno mostrato che le armi nucleari non sono utili per il tipo di scenari di sicurezza che affronta oggi l’Europa. Queste sfide devono essere affrontate con strumenti diplomatici, economici, e con strumenti militari convenzionali.
Crede che gli Stati Uniti siano ancora alla ricerca di un confronto con la Russia, anche in termini di capacità nucleare?
No, non nel senso di voler cercare un conflitto. Ma la Nato sta rispondendo alla Russia in termini militari—sia con il dispiegamento di forze armate in Europa, sia con esercitazioni militari in tutto il continente. Queste operazioni sono giustificate, in maniera esplicita, come una risposta alla Russia. Ma per gli Stati Uniti le armi nucleari hanno poca valenza in questo contesto. Preferiscono utilizzare armamenti convenzionali laddove questo possa essere un vantaggio significativo sulla Russia. Anche se ci sono segnali che evidenziano come gli Stati Uniti abbiano cominciato ad adattare le proprie operazioni nucleari in supporto dell’Europa e in risposta alla Russia, e al summit Nato di Varsavia del prossimo anno si discuteranno le eventuali modifiche da apportare al ruolo delle armi nucleari americane nei paesi europei, inclusa l’Italia.
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Quali sono i rischi principali associati alla presenza di armi nucleari in un’area?
Ci sono due rischi primari. Il primo è che qualsiasi arma nucleare può rimanere coinvolta in un incidente, principalmente durante il trasporto, che potrebbe potenzialmente far disperdere materiale radioattivo. Il secondo è che qualsiasi struttura che contenga armi nucleari quasi automaticamente diventa un obiettivo per altri paesi che hanno capacità nucleare.
Come ha già mostrato nei suoi report, sono in corso dei lavori all’interno delle strutture in cui sono custodite le armi nucleari in Europa (incluso in Italia) che sarebbero la prova che questo arsenale sia stato per decenni custodito in condizioni di sicurezza insufficienti. Quali sono le prove più evidenti che rafforzano la sua posizione?
Il cambiamento è la prova più lampante. In ambito militare si è pensato a lungo che non ci fosse bisogno di strutture difensive, ma adesso sembra che abbiano deciso che l’approccio fosse sbagliato e che nonostante tutto sia necessaria maggiore sicurezza attorno. In parte questa decisione è ancora legata all’aumento delle misure di sicurezza che ci sono state in seguito agli attacchi terroristici del 2001 e alle guerre in Medio Oriente.
Secondo lei, quanto è alto il rischio oggi in Italia, legato alla presenza di questo tipo di armi?
È impossibile da quantificare con esattezza, sicuramente è un rischio più alto oggi di quanto non fosse dieci anni fa, altrimenti non avrebbero speso i soldi per costruire nuove strutture di difesa.
Nei prossimi anni, si aspetta un graduale smantellamento dell’arsenale nucleare statunitense dispiegato in Europa?
Verosimilmente ci sarà una graduale riduzione, ma un completo ritiro sembra improbabile, viste le attuali condizioni di sicurezza in Europa.
Quanto siamo lontani oggi dall’8 dicembre 1987, una data che – come disse allora Mikhail Gorbacev – doveva segnare “lo spartiacque che separa l’era del rischio montante di una guerra nucleare da un’era di demilitarizzazione della vita umana”?
Siamo in una nuova fase dove il pendolo è oscillato all’indietro e il rischio nucleare sta nuovamente crescendo a causa di una proliferazione di armi nucleari in più paesi e la ricomparsa di una diffidenza e di una competizione militare tra Occidente e Oriente.
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Foto di apertura via AF GlobalStrike via Flickr sotto licenza Creative Commons.
Le altre immagini sono tratte dal rapporto pubblicato dal FAS.