Lo scorso 9 maggio, al termine di una vasta operazione in cui era coinvolta anche la DEA (Drug Enforcement Agency, il dipartimento antidroga statunitense), le forze dell’ordine greche hanno arrestato 15 persone e sequestrato oltre 670 chilogrammi di marijuana proveniente dall’Albania.
Stando alle indagini, dietro a questo traffico di droga ci sarebbe un’organizzazione guidata da Klement Balili, indicato dai media greci e albanesi come “il Pablo Escobar dei Balcani,” e che attualmente potrebbe essere nascosto in Grecia.
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Balili non è una persone qualunque: nel 2006 era stato arrestato per il coinvolgimento in un altra operazione di narcotraffico, che aveva portato al sequestro di 750 chilogrammi di sostanze stupefacenti.
Questo non aveva comunque impedito a Balili – nel 2014 – di essere nominato direttore dei trasporti di Saranda, una città nel sud dell’Albania che confina con la Grecia. Questo ruolo istituzionale, secondo le accuse, sarebbe stato utilizzato per “muovere la droga e conoscere in tempo reale le mosse di magistrati e poliziotti.”
Secondo il Corriere della Sera, la rete di Balili si sarebbe estesa fino all’Italia. Citando fonti investigative, il presunto narcotrafficante sarebbe stato avvistato più volte a Milano “per incontri ufficiali e di prestigio,” per puntate di shopping in Galleria e corso Vercelli, e infine per “colloqui più ‘informali’ con connazionali che si muovono tra Milano e provincia.”
I clan albanesi – sostiene un ufficiale dei carabinieri sentito dal Corriere – sono molto attivi nella zona di Abbiategrasso e nel pavese, e pur non esercitando un “vero controllo territoriale” sono a tutti gli effetti dentro il mercato del narcotraffico locale.
A ogni modo, come riporta un articolo di ADUC, lo stesso Balili e la famiglia sarebbero ben inseriti nella politica e nell’economia locale albanese.
I fratelli Balili, infatti, hanno “diverse attività economiche” nel sud dell’Albania, e controllano “una società di trasporti trasporti con la Grecia, una di vigilanza, una di pesca.” Uno dei fratelli, inoltre, è stato eletto sindaco di Delvina (sempre nel sud dell’Albania) come rappresentante del Movimento socialista per l’integrazione – partito che è il principale alleato di governo del premier di centrosinistra Edi Rama.
Sarebbe proprio questi “legami politici” ad aver salvato Balili dall’arresto, almeno secondo le denunce dei media e dell’opposizione albanese di centrodestra.
Un deputato del Partito Democratico, Albern Ristani, ha dichiarato che Balili avrebbe legami con alti funzionari statali (inclusi dirigenti di polizia) e “rapporti diretti con i ‘cugini’ del ministero dell’interno, conosciuti come i fratelli Habilaj, con i quali coopera nel narcotraffico. Attraverso di loro, Klement Balili è riuscito a ottenere un contatto diretto con il ministro dell’interno Saimir Tahiri.”
Nel settembre del 2015 il Partito Democratico albanese aveva chiesto le dimissioni di Tahiri, accusandolo di proteggere un gruppo criminale che trasportava la marijuana dall’Albania all’Italia con aerei ultraleggeri.
Il presunto coinvolgimento del ministero dell’interno in questa rotta del narcotraffico era stato evocato da Dritan Zagani, un poliziotto antidroga fuggito dall’Albania dopo aver indagato proprio su questi voli.
Secondo Zagani – che è stato a sua volta accusato di “aver smerciato droga e venduto informazioni a investigatori italiani della Guardia di Finanza” – della banda farebbero parte i “cugini” del ministero dell’interno albanese, e per nascondere i carichi di droga si sarebbe utilizzate “auto di Stato.”
Insomma, il crimine organizzato sarebbe così arrivato ai più alti livelli dello stato albanese – al punto tale che, come ha detto lo stesso Zagani in un’intervista alle Iene, alcuni poliziotti albanesi “non sono collusi con i narcotrafficanti, sono loro stessi dei narcotrafficanti.”
Tornando alla vicenda del “Pablo Escobar dei Balcani,” comunque, alcuni media albanesi sostengono che le autorità non possono intervenire finché non ci sarà un mandato di arresto internazionale nei suoi confronti.
Dal canto suo Balili ha respinto tutte le accuse nei suoi confronti, liquidandole come una campagna diffamatoria orchestrata dal Partito Democratico albanese a fini politici.
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Foto di apertura via The National Crime Agency su Flickr in Creative Commons