A Crema lo conoscevano come “Don Mercedes,” per via delle auto di lusso con cui amava girare in città. Fondatore del Banco Alimentare e figura di spicco di Comunione e Liberazione, il 66enne Mauro Inzoli si trovava a suo agio sia sul pulpito che tra i potenti della politica regionale.
Al convegno sulla “famiglia tradizionale”, organizzato dalla Regione Lombardia l’anno scorso tra forti polemiche, c’era anche lui. Seduto in seconda fila, dietro a Roberto Maroni.
Videos by VICE
Un personaggio importante, venerato, temuto e protetto nell’ambiente ciellino. Per questo ci sono voluti anni prima che la verità sul sacerdote venisse a galla: a fine giugno Don Inzoli è stato condannato in primo grado a 4 anni e sei mesi per pedofilia.
Otto gli episodi di violenza sessuale accertati dai giudici, ma secondo il pm Roberto di Martino, potrebbero essere un centinaio. “Casi non contestati, perché o prescritti o per i quali non vi erano gli estremi per procedere.”
Tra il 2004 e il 2008, Inzoli avrebbe abusato dei minori, tra i dodici e i quattordici anni, sia nell’ufficio dove teneva gli esercizi spirituali che negli alberghi di villeggiatura di CL.
La vicenda di “Don Mercedes” è arrivata in tribunale nonostante i numerosi tentativi di “insabbiamento” della Chiesa. Dopo le accuse di pedofilia nei suoi confronti, infatti, la Santa Sede aveva condannato Inzoli a “condurre una vita di preghiera e di umile riservatezza come segni di conversione e penitenza.”
Poi, il Vaticano si è rifiutato di trasmettere gli atti alla procura di Cremona che lo stava indagando.
Seppur probabilmente il più noto, quello di don Inzoli è solo uno dei diversi casi di pedofilia che hanno interessato la Chiesa Cattolica negli ultimi mesi.
In provincia di Frosinone don Gianni Bekiaris è stato rinviato a giudizio a inizio luglio con l’accusa di abuso su minore. Secondo gli inquirenti, il parroco avrebbe violentato ripetutamente un bambino che all’epoca del primo contatto aveva solo otto anni.
Una settimana più tardi, a Milano, don Alberto Lesmo è stato condannato in primo grado a un anno e dieci mesi per aver avuto rapporti sessuali a pagamento con un 15enne tossicodipendente. Una circostanza emersa mentre il ragazzo si trovava ricoverato in ospedale dover aver tentato il suicidio.
E ancora a Brindisi, dove un parroco è stato arrestato con l’accusa di atti sessuali continuati e pluriaggravati nei confronti di un chierichetto di 10 anni.
Episodi che sono solo la punta dell’iceberg, secondo Francesco Zanardi di Rete L’Abuso, associazione che riunisce le vittime di violenze sessuali da parte dei preti.
“Noi abbiamo accertato circa 250 casi in Italia solo negli ultimi 15 anni,” dice a VICE News Zanardi, vittima di ripetuti abusi da parte di un parroco negli anni Ottanta. “Ma, a mio avviso, questi sono solo il 10-15 per cento di tutti i casi, dato che le denunce sono ancora molto poche.”
Le pressione psicologica della comunità, l’impossibilità di accettare l’accaduto e la paura di essere emarginati sono tra i motivi che spesso bloccano le vittime a denunciare.
“Come dimostrano anche gli psicologi, i tempi di maturazione del trauma di un abuso del genere sono lunghi,” spiega Zanardi. “Ci vogliono fino a 15 anni prima che una persona colleghi i suoi malesseri di vita a quell’atto, quella violenza.”
Purtroppo, però, se le denunce sono tardive, i fatti cadono in prescrizione e le vittime faticano a ottenere giustizia.
A complicare ulteriormente la situazione si aggiunge spesso la scarsa collaborazione delle autorità ecclesiastiche.
Non sono pochi i casi in cui la Chiesa cerca di nascondere i fatti e far passare le violenze sotto traccia, nella speranza che si possa risolvere tutto internamente.
A oggi, infatti, non è ancora chiara la posizione della Chiesa sull’obbligo di denuncia da parte dei vescovi. Per la Commissione Pontificia Antiabusi ci sarebbe “una responsabilità morale ed etica di denunciare.” La Conferenza Episcopale Italiana (CEI), l’assemblea permanente dei prelati italiani, crede invece che, nell’ordinamento italiano, il vescovo “non abbia nessun obbligo giuridico”.
Leggi anche: Tra i ‘cacciatori di pervertiti’ che si fingono bambini per scovare sospetti pedofili
Se l’abuso viene segnalato a una figura ecclesiastica, e non alla magistratura ordinaria, il prete verrà poi indagato e giudicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, un tribunale del Vaticano.
Nel processo canonico la pena massima è la revoca dei voti con la conseguente riduzione del prete allo stato laicale. Alternativamente, l’ex Santo Uffizio può optare per una punizione più ‘morbida’ come la “pena medicinale perpetua” inflitta a don Inzoli: psicoterapia per 5 anni e divieto di ingresso nella sua diocesi.
“Praticamente in tutti i casi si finisce per spostare il sacerdote e trasferirlo in una delle varie cliniche, dove vengono curati i preti pedofili,” sostiene Zanardi. “In realtà non sono vere cliniche, ma case di accoglienza gestite dalla Chiesa.”
“Mettono lì il prete così nel caso in cui il magistrato chiede l’arresto preventivo loro possono dire ‘si trova in una zona protetta’. Anche se poi è libero di fare quello che vuole.”
In quelle stesse case di accoglienza, i sacerdoti abitualmente rimangono anche dopo aver ricevuto la condanna per pedofilia. Raramente finiscono in carcere.
Se ai sacerdoti viene concessa una seconda occasione, le vittime devono affrontare una lunga vita di sofferenze. Il riconoscimento dell’abuso può essere solo una piccola consolazione.
“Le conseguenze sono pesanti e si ripercuotono sulla famiglia e sui figli,” dice Zanardi.
“C’è chi soffre di malattie croniche come morbo di Crohn o psoriasi. Rimangono ferite comportamentali enormi. Io stesso faccio ancora fatica prendere un ragazzino sulle gambe.”
***Aggiornamento del 15 Settembre: Una precedente versione dell’articolo riportava alcune informazioni su un altro presunto caso di cronaca relativo all’argomento dell’articolo. Quel caso specifico è attualmente al nostro vaglio, e tuttora in fase di verifica.
Leggi anche: Chi sono, quanti sono e dove vivono gli italiani che abbandonano la chiesa
Segui VICE News Italia su Twitter, su Telegram e su Facebook
Segui Matteo Civillini su Twitter: @m_civillini
Foto di Peter Marquardt via Flickr, pubblicata su licenza Creative Commons