Sei ragazzi raccontano le loro peggiori esperienze con il sesso

Le figuracce e i momenti di difficoltà a letto sono normale amministrazione. Tuttavia, dato che il sesso è un momento molto intimo e di solito ci riversiamo un sacco di aspettative, dimenticarsi di quella volta che tua madre ti ha scoperto nel mentre o tu ti sei addormentato non è facile. O meglio, se lo dimenticheranno tutti—se sei fortunato anche tua madre e la persona che in quel momento era nuda nella stessa stanza—tranne te.

Dopo aver chiesto a un po’ di ragazze di raccontarci le esperienze più imbarazzanti che hanno vissuto a riguardo, abbiamo fatto la stessa domanda ad alcuni ragazzi. Ed è venuto fuori che quando si parla di sesso&fallimenti si vergognano molto di più della controparte.

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LENZUOLA MARRONI

Uscivo con questa ragazza da quattro mesi, e tutto andava benissimo. Io presissimo, lei presissima. Erano ancora i tempi in cui non avevo la macchina e per andare a fare un giro a Milano prendevamo il treno. Una domenica infatti lo facciamo, ma sul treno di ritorno verso casa a me viene un mal di pancia fortissimo. C’era già confidenza, ma non quel tipo di confidenza da Patto d’Acciaio in cui si può parlare liberamente dei propri movimenti intestinali.

Quindi vado in bagno sul treno, ma ho il tempo contato perché il mio bisogno intestinale deve sembrare un bisogno urinario.

Mentre sto lì preso dal panico che tento di cagare velocissimo mi accorgo che ci sono due centimetri di carta igienica, e quindi devo pulirmi in modo piuttosto approssimativo.

Passano un paio d’ore e siamo a casa di lei sul divano che limoniamo, e io non ripenso più alla cacca del treno e alle difficoltà nel pulirsi. Andiamo in camera di lei e cominciamo a farlo, e a un certo punto ci mettiamo seduti… entrambi seduti con schiena dritta, lei sopra di me. Il lenzuolo è bianco.

Quando finiamo lei però si accorge che c’è una piccola striata marrone sul lenzuolo, e io entro nel panico. Allora colpo di genio: ipotizzo che lei abbia delle perdite, perché dovevano venirle le mestruazioni, e che sia stata lei a macchiare il letto tra uno spostamento e l’altro. A quel punto mi guarda con un misto di pietà e simpatia per la cazzata immane che mi sono inventato sul momento, e fa finta di credere che quel materiale non sia mio. È stato allora che ho capito che per me nutriva sentimenti seri. Siamo stati insieme altri cinque anni.—Francesco, 26 anni

NON C’È TRE SENZA QUATTRO

Era una normale serata in discoteca fra amici, quando incontro una ragazza che conosco e che sapevo essere interessata sia a me che a un mio amico lì presente. Convinto dai presenti, dai mesi di occhiate e dal tasso alcolico nel mio sangue decido di andare da lei e proporle uno scoppiettante ménage à trois. Dopo una minima esitazione lei ci sta. Tutto bellissimo, se non fosse che spunta una sua amica chiamata in causa come appoggio—persona simpaticissima, ma non tanto da voler far diventare il triangolo un quadrato. Cosa che invece, ovviamente, avviene con grande imbarazzo mio e del mio amico. Entrambi però sapevamo che uno di noi ci sarebbe rimasto più fregato dell’altro: bisognava solo capire chi e come.

Arrivati in camera—la mia—e quando tutti e quattro e avevamo iniziato a darci dentro—e io ero sicuro di essere riuscito a tenermi la ragazza che mi piaceva—il mio amico, con un guizzo all’ultimo secondo, chiama il cambio. Non potevo oppormi, non mi restava che accusare il colpo.

Da lì in poi è stata una mezza caporetto: la mia delusione si è manifestata sotto forma di imbarazzo lancinante e dopo aver più o meno concluso la mia parte malamente, l’unica cosa che volevo fare era accompagnare alla porta l’amica della ragazza. Il tutto mentre il mio amico si divertiva molto rumorosamente con l’altra. Dopo saluti carichi di delusione, ancora tutto nudo, avrei potuto rientrare in campo, ma ormai non mi sembrava il caso.

Sono rimasto in cucina ad aspettare che nella mia camera da letto (che aveva i muri di cartongesso) finissero di fare il loro. Per i mesi successivi sono stato deriso dal mio amico per la mia scarsa prestazione. Pure.— Marcello, 22 anni

LADRI DI MOTORINI

Avevo 21 anni, stavo con il mio primo ragazzo ed ero uno studente universitario. Al ritorno da un’uscita serale insieme, lui mi accompagna sotto il portone di casa di nonna a tarda notte; in quel periodo alloggiavo lì e dato che anche lui viveva con i suoi, i momenti di intimità erano limitatissimi.

E proprio perché non avevamo molte occasioni per stare soli, è successo che quella sera dopo aver parcheggiato lo scooter davanti alla cancellata, lui entra con me all’interno del condominio e al buio in prossimità delle scale limoniamo per darci la buonanotte. Ma si sa che i giovani che sfogano i propri istinti di rado poi esplodono quando ne hanno occasione, e infatti da quella pomiciata è partito un susseguirsi di palpeggiamenti in ogni dove fino a quando non mi son trovato con le spalle al muro e la sua mano nelle mie mutande. L’atto si conclude con un orgasmo tra eccitamento misto a paura di essere accusato per atti osceni in luogo pubblico.

Pochi secondi dopo sentiamo da lontano due colpi, ma chiaramente ignoriamo la cosa perché presi da altro. Successivamente è il turno del rumore di uno scooter acceso e istintivamente capiamo che qualcuno sta rubando il mezzo parcheggiato davanti il cancello: in pochissimi secondi mi ricompongo cercando di abbottonare alla meno peggio i pantaloni e scattiamo fuori dal portone come schegge, ma vediamo in lontananza il delinquente a cavallo dello scooter. A niente è servito corrergli dietro con tanto di casco lanciato in sua direzione.

Ricorderò sempre i miei pantaloni macchiati che invano cercavo di coprire con la camicia tra una parola di conforto e sdegno.—Mauro, 30 anni

VENTOLIN IN CAMPORELLA

Il preambolo necessario a questa triste vicenda sessuale è rappresentato dalla mia storia medica: sono da sempre asmatico, e tutta la mia vita è stata un susseguirsi di pneumologi, inalatori di salbutamolo solfato e spasmi bronchiali. Vivo talmente a contatto con il Ventolin da considerarlo quasi un’appendice esterna del mio corpo. Dopo anni di crisi, ormai sono pienamente cosciente dell’importanza che il mio inalatore riveste; ma un tempo non era così.

Quando avevo 21 anni mi fissai con la cameriera di un pub della mia provincia, e cominciai a passare ogni sera libera in quel posto—nonostante fosse una delle mete cardinali della cover band ufficiale di Vasco Rossi—nel tentativo di convincerla a uscire con me almeno una volta. Dopo infinite genuflessioni fisiche e dell’anima, lei per qualche motivo, esausta, accettò.

Nonostante tutta quella ritrosia, però, la serata andò benissimo fin dall’inizio: a cena rideva a tutte le mia stupide battute, mentre camminavamo per strada cominciò a manifestare quello che alcuni opuscoli utilissimi di Cioè indicavano come “ricerca di contatto fisico”, e mentre stavamo seduti su una panchina mi limonò.

Dopo un lasso di tempo refrattario che non saprei quantificare eravamo sul sedile posteriore della mia auto, e lei cominciava a togliersi i vestiti. Proprio mentre la cosa iniziava a farsi seria, però, cominciai a sentire una leggera oppressione toracica. Non ci feci caso e continuai, perché sapevo che a volte passa, ma il respiro aveva cominciato a farsi pesante. “Ok, ok, ok. Adesso, con molta disinvoltura, le dico che devo dare una botta di Ventolin. Sarà imbarazzante per qualche secondo, ma poi non ci pensiamo più.” E infatti lei la prese benissimo.

Cercando ovunque l’inalatore mi accorsi che mentre io stavo lì mezzo nudo in macchina, lui era a casa mia sul comdino, a più di 30 km di distanza.

Gestii la situazione per 1,3 secondi netti: mentre in preda al panico tentai di scusarmi boccheggiando mi rivestii e cercai di pensare a una soluzione rapida per non morire. Risultato: passai l’ora e mezza successiva girovagando in macchina alla ricerca di una farmacia che facesse il turno di notte, respirando come Roberto da Crema, mentre lei fissava il vuoto fuori dal finestrino.

Con il Ventolin finalmente tra le mie mani tentai, senza più alcuna dignità, di limonarla nuovamente, ma lei mi respinse gentilmente e mi chiese di riaccompagnarla a casa. L’ho rivista l’estate scorsa dopo anni. Ha fatto finta di non riconoscermi.—Niccolò, 28 anni

IL DIVANO MALEDETTO

Sarà stato il primo anno di liceo, e avevo cominciato a uscire con una ragazza che era in classe con me. Ci frequentavamo da un po’ e come tutti fanno a un certo punto decidemmo di fare sesso—a mio discapito posso solo dire che era la prima volta per entrambi, eravamo nel salotto di casa dei genitori di lei e io avevo imparato giusto la settimana prima a indossare i preservativi quando, dopo diversi tentativi, la tecnica corretta mi era apparsa in sogno. Già tutto questo è abbastanza imbarazzante, ma penso sia uno stadio per cui (con o senza sogni rivelatori) siamo passati tutti.

Fatto sta che quel pomeriggio facemmo un po’ di prove generali di dentro e fuori, e io passai le due settimane successive a mandarle bigliettini in cui le proponevo nuovi incontri con tanto di conclusione dell’atto. Qualche tempo dopo, senza che l’avessimo fatto una seconda volta, lei mi lasciò dicendo di non sentirsela ancora.

Dieci anni più tardi (nel frattempo non ci eravamo più sentiti, perché lei aveva cambiato scuola e Facebook non esisteva ancora) ci siamo ritrovati nella stessa compagnia, ma a me pareva che ci fosse sempre un po’ di imbarazzo tra di noi. Finché, una sera, le ho chiesto se le avevo fatto qualcosa nel periodo in cui eravamo stati insieme, qualcosa di così grave che le impedisse di essere a suo agio con me dopo così tanti anni. Scherzando le ho anche detto che avevo smesso di mandare bigliettini alle ragazze, chiedendole scusa per la mia ansia da sesso.

Lei, me lo ricordo ancora, ha sgranato gli occhi e mi ha detto con un po’ di perifrasi che quella volta che avevamo fatto sesso non lo avevamo fatto veramente, cioè—senza perifrasi—io mi ero fatto il divano e lei aveva fatto finta di niente per non farmi sentire una merda. Lei era rimasta tutti quegli anni nel dubbio che io lo sapessi ma non avessi il coraggio di scusarmi o non lo sapessi. Io, invece, non ne avevo la minima idea. Dinamica: lei era sdraiata sul divano, io sopra di lei, e tentando di introdurmi mi ero infilato in quel pertugio naturale che separa ogni culo dal suo divano. Per un po’, dopo quella confessione, sono arrivato a dubitare della mia stessa esistenza.—Emanuele, 31 anni

VOMITO A LETTO

Per festeggiare la fine degli esami universitari decidiamo di organizzare un grande house party nella nostra casa a Londra. Quando le bottiglie di tequila cominciano a scarseggiare e la gente comincia ad andersene, salgo in bagno a fare pipì. Mentre espleto i miei bisogni la porta si apre improvvisamente, e senza molte esitazioni entra la mia compagna di corso norvegese. In un primo momento credo ovviamente che ci sia stato un piccolo equivoco. Poi, però, quando mi infila la lingua in bocca le intenzioni diventano più chiare.

Vista la prossimità della mia camera e la relativa sbronza di entrambi, pensiamo sia una buona idea fare sesso. Mentre stiamo facendo sesso la sua faccia diventa sempre più pallida. Lei non dice niente, presumo per imbarazzo, ma è chiaro che gli shot stiano avendo un effetto catastrofico sul suo sistema gastrointestinale.

Non appena la mia mente offuscata riesce a processare questo presentimento, lei si gira e riversa una chiazza di vomito giallastro tra il cuscino e il lenzuolo. Mentre io sono ancora immobile e pietrificato, poi, inizia a piangere semi-istericamente e prova a pulire residui di tortillas misti a tequila dal mio letto. Le dico che “non fa niente” e che, a quel punto, è meglio che vada a casa in taxi.

L’odore del vomito è nauseabondo e così decido di passare la notte sdraiato sul pavimento del soggiorno con un sacco a pelo. Il cuscino lo dovrò poi buttare. Una chiazza sul materasso, nonostante l’uso degli smacchiatori più corrosivi d’Inghilterra, è sempre rimasta.— Mattia, 24 anni

Illustrazioni di Rino Lionetto. Visita il suo sito.