Interviste raccolte da Alice Rossi ed Elena Viale.
Tutti alle superiori abbiamo avuto una compagna di classe che si è fatta tatuare sulla parte inferiore della schiena le iniziali corsive del fidanzato iscritte in un cuore alato circondato da rose. In alcuni casi, quella compagna di classe siamo stati noi stessi.
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Con gli anni la nostra idea di “tatuaggio bellissimo” è cambiata, ma contemporaneamente è aumentato anche il numero di persone tatuate––e, di conseguenza, anche il numero di tatuaggi bellissimi o di merda a cui siamo esposti quotidianamente. In tutto ciò i tatuatori hanno continuato a fare il loro lavoro, e dato che hanno un sacco di storie da raccontare abbiamo chiesto ad alcuni di loro cosa provano di fronte all’ennesima richiesta di simbolo dell’infinito.
Qui di seguito trovate le nostre interviste a tatuatori di Roma e Milano, coi quali abbiamo parlato di tatuaggi di moda, regole più o meno condivise e parti del corpo che sono molto (poco) contenti di tatuare. (Le immagini invece arrivano dai loro account Instagram o pagine Facebook, ma non hanno a che fare col titolo).
VICE: Che stile fai?
Mino: Principalmente old school, ma veramente di tutto. I tatuatori—soprattutto a Milano—spesso considerano il proprio lavoro come un’arte e non come artigianato, quindi si rifiutano di tatuare questo o quello, e magari nemmeno prendono walk-in. Ma nel tatuaggio, più vuoi essere particolare più ti appiattisci su te stesso.
Cosa va di moda in questo momento?
C’è una “moda” interna al mondo del tatuaggio––dove va soprattutto un miscuglio di stili old school diversi, o il geometrico––e poi c’è la moda che vedi per strada. Lì, tra le ragazze soprattutto va il simbolo dell’infinito, e poi i tatuaggini piccoli sparsi per le braccia, lettere, frasi brevi o cose grafiche. Tante e piccole tipo una malattia della pelle, il contrario di quello che farebbe un appassionato di tatuaggi. Dopo che se l’è fatto Rihanna, vanno tanto anche i tatuaggi sotto le tette. Almeno così vedi un po’ di tette.
Giusto. Ma tu ti rifiuti di fare qualche tatuaggio? A livello di oggetto e di zone.
Per me è un lavoro artigianale, per cui se mi si chiede una cosa io la faccio e la faccio al meglio che posso. Per esempio ho appena finito di fare una fatina. Se sono cose tipo il proprio nome traslitterato in cinese—che non ha senso, perché la gente usa i programmi su Internet, ma in cinese la m non esiste e tu pensi che ti stai scrivendo Marco—cerco di dissuaderli. Se lo vogliono lo stesso, alla fine lo faccio.
[Relativamente alle zone] sconsiglio e non tatuo cose che renderebbero un’idea negativa del mio lavoro: per esempio le dita, perché per la callosità della pelle il tatuaggio sbiadisce subito e male.
Internet ha aiutato il mondo del tatuaggio o no?
Da un lato ovviamente sì perché con Instagram e via dicendo è più facile farsi conoscere. Dall’altro, quando la gente va su Internet considera solo una piccola parte dei disegni, e arriva in studio e ti dice “voglio questo” senza darti la possibilità di creare un dialogo e consigliarli.
LUCA MAMONE, ROMA
VICE: Cosa va di moda ora come ora tra i “non insider”, e com’è cambiata la clientela da quando hai iniziato?
Luca: Oggi il cliente viene per avere la cosa che vede di più in giro, che è il realistico a colori. Negli anni Novanta è stato il tribale, il marchesiano, il polinesiamo, il dayaki, poi c’è stata una fase in cui tutti quanti chiedevano il giapponese. [ A livello di clientela], in vent’anni ho visto cambiare totalmente le cose; da quando il calciatore ha sdoganato il tatuaggio è diventato una cosa normale. Oggi il cliente qualsiasi può chiedere sia il tatuaggio piccolo o la scrittina sia un totale, non c’è più distinzione.
Come ti comporti con zone più complicate come mani, collo e faccia?
In generale non c’è una zona che mi rifiuto di tatuare a priori, è circostanziale. La differenza rispetto a prima è che se negli anni Novanta vedevi una persona con un tatuaggio in faccia era qualcuno che aveva a che fare in maniera molto profonda o col tatuaggio o con una determinata sottocultura, non era un “coglione” qualsiasi. Ora è diverso, molto probabilmente si è invertita la cosa: ci sono tante persone che si tatuano in faccia e poi in realtà sono dei coglioni.
Se a livello di zona da tatuare un rifiuto può dipendere dall’età o dalla consapevolezza, a livello di soggetti come funziona?
Se mi rifiuto a priori di fare un soggetto vuol dire che è qualcosa di veramente veramente brutto o infattibile tecnicamente. Spesso è una sfida: il cliente viene con un’idea blasfema, e uno cerca una mediazione––penso che qualsiasi soggetto possa essere realizzato in una maniera fica. Poi a livello stilistico, se il cliente non si muove dalla sua convinzione, cerco di indirizzarlo verso un tatuatore che sappia realizzare quella cosa in maniera migliore.
Al giorno d’oggi un tatuatore può considerarsi solo ed esclusivamente un artigiano?
È molto raro. Si è perso un po’ quello che secondo me è un aspetto importante del tatuaggio, che è un lavoro molto artigianale. Per quello cerco sempre di non rifiutare nulla, nei limiti del possibile. Ci deve essere sempre un equilibrio tra le due cose, tra il lato artistico e la realizzazione del tatuaggio che si fa su un’altra persona e non su un supporto inanimato su cui puoi fare quello che vuoi.
VICE: Tu fai sia piercing che tatuaggi. In studio quali vi chiedono più spesso?
Mike: Adesso si è un po’ calmato, ma primavera c’è stato un boom di infinito che diventano uccelli, soffioni che diventano uccelli, uccelli che diventano altri uccelli, le silhouette degli uccelli che vanno via. E poi il planisfero sul polso al contrario come quello di Chiara Ferragni. Poi tante altre cose che ci piace fare tipo rose, pugnali, ancore, rondini.
La gente arriva qui che già sa cosa vuole?
Cinquanta e cinquanta, entra quello che ti dice “ciao vorrei una rondine” e ha già uno spunto da cui ridisegnare qualcosa di unico, oppure ti dice “vorrei una rondine qui, fai te.” Poi ci sono quelli che entrano e ti dicono, “ciao, vorrei un tatuaggio.” “Sì, che tatuaggio?” “Boh, cosa mi consigli?” “Ci sono 700 mila cose da fare.” “Eh, qualcosa di particolare.”
Io entro e ti dico “voglio la faccia di Arisa sulla mano,” tu mi dici che è una cazzata, ma io insisto. Alla fine me lo fai?
Allora, eticamente cerco di sconsigliare il più possibile, prima di tutto perché quando chiedi una mano è abbastanza pesante. Mani, collo e dita sono punti sempre molto in vista, non li puoi coprire. Poi dipende dalla persona, dall’età. Comunque 100 volte su 100 sconsiglierei Arisa.
C’è il momento in cui dici no, questa cosa non la faccio?
È soggettivo: da parte del tatuatore se ti chiedono un ritratto di Che Guevara o Mussolini, tu vuoi solo fare un bel ritratto. Poi il ritratto di Che Guevara è più tollerato rispetto a quello di Mussolini, per noi però fare uno o l’altro non cambia niente. Per noi il tatuaggio è un disegno. [Ma] se uno ti chiede una cosa che sai che si rovinerà non glielo fai, è il tuo nome associato a un lavoro che non verrà bene.
NICHOLAS SAGONI, ROMA
VICE: Cosa tatui tu, e cosa si fa tatuare la gente?
Nicholas: Io tatuo tradizionale, e Roma in generale è una città in cui va molto il tradizionale. Il tatuaggio “commerciale” invece è sempre quello fatto di stellette e scritte varie, numeri romani… e poi ovviamente c’è ancora la gente che si tatua il suo nome.
Capita mai che di fronte a quella che reputi una scelta di merda ci sia una mediazione da parte tua?
Certo, c’è chi arriva e non ha la minima idea di cosa vuole, ma spesso c’è anche quello che chiede le stelle sul petto o i fiori di loto sparsi sul corpo, che per me sono cose super allucinanti. In quei casi cerco di parlare a lungo col cliente per consigliargli il meglio o ampliare le sue vedute a livello di body art. Poi però alla fine la gente è libera di fare quello che vuole, ovviamente.
Quindi pensi che alla base ci sia anche una mancanza di consapevolezza?
Ci sono diversi tipi di clientela: trovi l’appassionato, l’intenditore che gira per studi e comincia a vedere i vari stili che gli possono interessare, che conosce i tatuatori, e poi trovi il cliente che si tatua solo perché è una moda, e si tatua qualsiasi cosa pur non conoscendo ciò che ha addosso. C’è poca informazione, insomma. Ora per molti basta farsi marchiare senza sapere cosa ci si porta dietro.
Però con Internet il tatuaggio è anche molto più accessibile.
Sì, Internet ha cambiato tanto le cose, da una parte c’è molta più visibilità e possibilità di farsi conoscere. Al tempo stesso però, se prima magari andare in uno studio di tatuaggi aveva quell’alone di mistero, ora quell’aspetto manca.
MASCIA REINA DEL GRANDE, MILANO
VICE: Da quanto tatui e dove?
Mascia: Tatuo da sette anni e lavoro on the road, non ho uno studio fisso tutti i giorni. Amo il neo traditional, il dot work e il geometrico.
Arrivo io e voglio un tribale e il mio nome in cirillico, me lo tatui? E mani e collo, li fai?
Cerco sempre di far capire al cliente che non tutto è tatuabile, mischiare stili, fare cose troppo piccole, nomi di fidanzate, etc… ho una pazienza infinita! A volte ci metto giorni e giorni. In più no, non tatuo mani e collo e viso perché penso che la nostra società non sia ancora pronta , non mi interessa. Lo faccio solo su persone molto tatuate o colleghi.
Cosa si sta facendo tatuare più spesso la gente?
La moda di solito la dettano i vip. Quest’anno per la maggiore sono andati: simboli degli infiniti con nomi dei figli annessi, ho fatto anche tanti origami e scritte. Infiniti e scritte! Aggiungerei un discreto numero di farfalle. Anche in questo caso comunque la mia domanda è sempre la stessa: ma sei sicuro/a di volere una cosa che ha la maggior parte delle persone?
[Per quanto riguarda gli stili], di solito sono ciclici. Abbiamo una forte influenza del realistico, negli ultimi tempi. E old school e giapponese sempre presenti.
Ci sono dei tatuaggi che hai fatto e che ti penti di aver fatto?
Mi pento magari di aver osato mentre ero solo un’apprendista e di aver fatto tatuaggi forse troppo grandi, oppure di aver dato retta al cliente e non al mio istinto. Errori di gioventù.
RICCARDO PESCHIAROLI, ROMA
VICE: Cosa hai tatuato di più ultimamente?
Riccardo: Non c’è un soggetto in particolare. Per fortuna spesso le persone che si tatuano da me mi lasciano carta bianca, e questo mi permette di tatuare ciò che mi piace senza cadere nella monotonia. Ma se c’è una cosa che amo tatuare e che tatuerei tutti i giorni sono i volti di donna.
Qual è un problema-tipo che puoi avere col cliente?
Spesso le persone sono convinte che le idee che hanno nella propria testa possano essere sempre riportate su pelle… non sempre è così, perché il tatuaggio ha un limite chiamato pelle umana. Se credo che una cosa non sia tatuabile cerco di non effettuarla o di trovare un compromesso.
Negli ultimi anni il tatuaggio ha raggiunto popolarità tra tutte le fasce d’età, quindi puoi ritrovarti a tatuare ragazzi appena maggiorenni o persone che lo fanno per la prima volta in tarda età. Questa “visibiltà” ha fatto sì che la richiesta, soprattutto tra i più giovani, si traduca in una maggiore “visibilità” a livello di parti del corpo. Così a differenza di decenni fa trovi ragazzi con sul corpo nemmeno un tattoo ma con collo mani e faccia tatuati, una cosa che a mio avviso è semplicemente ridicola.
E tu cosa fai di fronte a richieste del genere?
Posso consigliarti parti dove una volta finita l’euforia del tatuaggio non devi pentirtene per tutta la vita. Credo che tutti coloro che si chiamano tatuatori dovrebbero comportarsi così e educare al tatuaggio i propri clienti. Purtroppo è un processo lungo e tortuoso, ma che a mio avviso può portare a non vedere più oscenità.
MATTEO PIRONTI, MILANO
VICE: Tu tatui dal 1992. Che stile fai? E quali sono invece gli stili e i tatuaggi che vanno per la maggiore?
Matteo: Io faccio giapponese, e poi mi piace molto partire dalla fotografia però facendo tatuaggio, non iperrealismo come fanno adesso. In generale direi che i tre quarti dei tatuatori a Milano fanno tradizionale, e poi iperrealistico, trashpolka, acquerello.
Quanto ai soggetti, posso tracciarti tutta l’evoluzione: siamo partiti con follettini, poi i delfini, gli ideogrammi, le scritte gotiche, i soffioni col volo di rondinelle, l’infinito… Ora sui lavori grossi sta tornando la ricerca del disegno personalizzato, però ho visto anche gente chiedere il braccialetto della Hunziker—da ricerca di individualità siamo arrivati alla ricerca di essere uguali agli altri.
Quand’è che è cambiato il rapporto delle persone coi tatuaggi?
Diciamo che il grosso sblocco c’è stato nel ’92-’93, quando hanno iniziato a tatuarsi i calciatori e i gruppi della Fininvest. L’idea era di cominciare dal braccio alto, la schiena, il polpaccio, il polso.
La mia filosofia è che una volta il tatuaggio era una cosa garantita sei mesi dopo la morte, adesso tanta gente viene e dice ” se mi scoccio lo tolgo col laser.” Non è l’ottica giusta. In più quando ho iniziato io abbiamo fatto un giuramento come quello dei medici: non si facevano tatuaggi politici, no pornografia, no minorenni. Adesso non c’è più questo codice etico, siamo commercianti.
Cose strane che ti sono capitate?
Quando c’è da traslitterare è la fine. Già è difficile spiegare che in un’altra lingua magari quella frase non funziona, che c’è un sistema concettuale diverso, che c’è un alfabeto fonetico e uno idiogrammatico… Se vuoi il cinese, sappi che il tuo nome non lo puoi tradurre, prendi un concetto come “forza”. Alla fine stanco del fatto che le mie parole cadessero nel vuoto mi sono tatuato “involtino primavera”, un po’ per metterla sul ridere
Un esempio dei lavori di Deborah. Immagine via @deborahnecci_santasangre
DEBORAH NECCI, ROMA
VICE: Da quanto tatui, e cosa ti chiedono più spesso?
Deborah: Tatuo da circa otto anni dopo un lungo percorso nel mondo del tatuaggio. Mi chiedono spesso tatuaggi tradizionali, perché questo è lo stile che prediligo, ma in realtà dipende molto dal cliente. Ultimamente per esempio ho tatuato molte tigri e donnine in stile old school.
Com’è cambiata la clientela in questi anni? Sia a livello di composizione che di atteggiamento nei confronti del tatuaggio.
La clientela è variegata e decisamente più numerosa rispetto ad anni fa. Si va dai giovanissimi, addirittura minorenni, a persone molto più grandi––il mio cliente senior è stata una donna di 82 anni. In generale, comunque, può accadere che una persona voglia un tatuaggio senza avere la benché minima idea di cosa tatuarsi, e non è sempre facile trovare un punto d’incontro. Il fatto è che molti oggi non scelgono il tatuaggio per passione ma a causa dei modelli imposti dalla moda… oggi tutto fa moda. C’è chi però da qui scopre un mondo e se ne appassiona.
Pensi che l’Italia abbia delle particolarità in questo senso?
Secondo me sì, l’Italia ha delle particolarità rispetto ad alcuni paesi europei. Ha ad esempio una grande percentuale di persone tatuate e lo stile che si è andato diffondendo maggiormente negli ultimi anni è proprio lo stile tradizionale, anche se ultimamente le tendenze stanno un po’ cambiando.